BARCELLONA:  Les contes d’Hoffmann – Jacques Offenbach, 21 gennaio 2021

BARCELLONA: Les contes d’Hoffmann – Jacques Offenbach, 21 gennaio 2021

LES CONTES D’HOFFMANN 

Jacques Offenbach

 

Direttore: Riccardo Frizza

Regia: Laurent Pelly

Personaggi e Interpreti:

  • Stella: Adriana Gonzáles
  • Olympia: Olga Pudova
  • Antonia: Ermonella Jaho
  • Giulietta: Ginger Costa Jackson
  • Musa/Niklausse: Marina Viotti
  • La Madre di Antonia: Laura Vila
  • Hoffmann: Arturo Chacón Cruz
  • Lindorf/Coppélius/Miracle/Dapertutto: Roberto Tagliavini
  • Spalanzani: Francisco Vas
  • Crespel/Luther: Aleksey Bogdanov
  • Schlémil/Hermann: Carlos Daza
  • Andrés/Cochenille/Frantz/Pitichinacchio: Vincent Ordennau
  • Nathanael: Roger Padullés

Orchestra e coro del G. T. Liceu

 

Gran Teatro del Liceu, 21 gennaio 2021


Mentre il morbo infuria nella terza ondata della pandemia e nel mondo intero si sospende ogni attività teatrale aperta al pubblico, salvo in alcuni casi proporre in streaming le opere in TV eseguite a sala vuota e, al massimo, con la presenza della privilegiata “kasta” dei giornalisti ammessi, i più fortunati, per dovere di cronaca, in Spagna – e pare in Lussemburgo – seppure a capienza dimezzata nei teatri si continua la normale attività e così il Gran Teatro del Liceu propone, rispettando tutti i protocolli del caso, la sua programmazione con ben nove recite de Les Contes d’Hoffmann, la “maledetta” di Offenbach.

L’imprendibilità dell’incompiuta – vai sapere cosa ne avrebbe ricavato il caustico compositore se fosse vissuto almeno fino al suo debutto e non fosse morto durante le prove – fa parte del suo fascino luciferino (vi fu chi si divertì a contare quante volte il diavolo viene menzionato nelle sue varie denominazioni nel corso dell’opera!) e dunque dopo le manomissioni di Guiraud, che giova ricordarlo era comunque un eccellente musicista, le cinque edizioni Chaudens tra il 1887 ed il 1907, la Oeser del 1976, la Schott del 1999, si approda finalmente alla “definitiva” di Michael Kaye e di Jean-Christophe Keck del 2009, in un frenetico rincorrersi tra castelli germanici, bauli in soffitta, manoscritti dati per bruciati e miracolosamente salvati in contenitori metallici, che fornirebbe materiale e drammaturgia per un’altra opera, ma che non potrà mai scrivere la parola “fine” a Les Contes e ci si immagina il sorriso sardonico di Offenbach da Lassù, in attesa che si scopra qualche altro vaso di Pandora.

Lo spettacolo firmato da Laurent Pelly e da Christian Rath per la regia, con la “drammaturgia” di Agathe Melinand (tal dei tempi è il costume), le scene di Chantal Thomas, i costumi realizzati a quattro mani da Pelly e da Jean-Jacques Delmotte, le luci di Joel Adam, non è nuovo per il Liceu dove arrivò nel 2013; si tratta di una coproduzione dei teatri di Lione, dell’opera di San Francisco e della berlinese Deutsche Oper. Pervade il tutto un costante grigiore ed una perenne penombra, forse le pieghe di anime sempre in conflitto, che penalizzano soprattutto l’atto veneziano, mentre il più riuscito pare quello della bambola, laddove questa canta ancorata e sostenuta da una gru, manovrata da tecnici in scena, che sale e scende e vola con le note ed infine, una volta in terra, balla freneticamente telecomandata. Detto ciò, ottimo il lavoro su solisti e coro, ed una lettura efficace e chiara.

Brillante il lato squisitamente musicale capeggiato dal bravissimo Riccardo Frizza che dal podio si lancia in una lettura appassionante e trascinante, evidenziando sì il lato mefistofelico e misterioso dell’opera, ma offrendo anche diversi guizzi ironici, come per esempio le sottolineature del trombone durante la “leggenda di Kleinzack” nel prologo. Seguito in ciò dall’ottima orchestra del Liceu e dal coro, molto partecipe nei movimenti scenici, istruito da Conxita Garcia. Alcuni tagli – il più vistoso quello dei couplets di Frantz, qui il tenore Vincent Ordennau, perfetto anche nelle parti di Andres, Cochenille e Pitichinacchio – sono stati imposti per “forze di causa maggiore” e cioè per garantire la fine dello spettacolo, iniziato puntualmente alle 18.30 entro le 22, ora in cui inizia a Barcellona il “coprifuoco” imposto dalla pandemia.

Nel cast, che si alterna nel corso delle recite, ben distribuiti i quattro personaggi che rappresentano la donna idealizzata da Hoffmann, iniziando dalla interessante Stella del soprano Adriana Gonzales, passando all’insinuante Giulietta del mezzosoprano Ginger Costa Jackson; bravissima la Olympia stratosferica in acuto della giovane e assai bella – il che non guasta mai – russa Olga Pudova, elemento da tener d’occhio. Ermonella Jaho, la unica confermata per tutte e nove le recite, ha conferito ad Antonia tutta la travolgente passione, dispensando un canto squisito arricchito da sognanti mezze voci e messe in voce, a dispetto di un vibrato stretto inizialmente molesto e dell’acuto che ormai pare avventuroso.

Emerge nel ruolo del protagonista, il poeta sfortunato, il tenore messicano Arturo Chacon-Cruz, che non ha un colore di voce particolarmente seducente, ma che offre una realizzazione completa e soddisfacente del personaggio, tanto per la tenuta in acuto e la perfetta musicalità, quanto per l’interpretazione convincente e molto partecipe. Una relativa sorpresa, per chi non lo segue sin dai suoi primi passi come il sottoscritto, la offre Roberto Tagliavini, a conferma – ce ne fosse bisogno – che Parma è terra anche di ottimi bassi. La sua incarnazione dei quattro “malvagi” è stata davvero ammirevole e per la aderenza vocale, compreso l’ottima e chiara pronuncia francese, che per la caratterizzazione: più burbero il consigliere Lindorf, bonariamente comico Coppelius (laddove il “cattivo”, caso mai, è quel truffatore di Spalanzani), mellifluo e sfuggente nelle sue improvvise apparizioni il Dottor Miracle ed infine Dapertutto, sarcastico ed ironico quanto crudele e spietato. Bravo davvero! L’applauso che lo ha accolto alla ribalta finale più che meritato. Benissimo anche Marina Viotti, mezzosoprano dalla voce calda, vellutata, ambrata, ma facile e tersa in acuto: a lei riservati i migliori ritrovamenti di Kaye e Keck, l’aria della Musa nel prologo, l’arioso di Niklausse “Vois, sous l’archet fremissant” nell’atto di Antonia ed il nostalgico e sognante finale, accompagnato dal coro. Ciò nonostante, a costo di apparire “musicalmente scorretto”,  sempre della vecchia Choudens l’aria di Dapertutto “Scintille, diamant” ed il settimino dell’atto di Giulietta.

Molto bene pure le parti di fianco, qui sempre molto esposte: la Madre di Antonia, intonata in quinta dalla brava Laura Vila, lo Spalanzani del tenore Francisco Vas, che nel 2013 impersonò i quattro ruoli comici, lo Schlemil ed Herman del sonoro baritono Carlos Daza, il preciso Nathanael del tenore Roger Padulles e buon ultimo il basso Aleksey Bogdanov, prima Luther e quindi Crespel.

La generosità di un caro amico di Barcellona mi consentirà di assistere ad una recita con l’altro cast giovedì prossimo 28 gennaio dal Quinto Piso, il loggione del Liceu. Ed è che io, Chaudens, Oeser, Kaye e Keck permettendo, non mi stancherò mai di ascoltare Les Contes!

Andrea Merli

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