BARCELLONA: La traviata – Giuseppe Verdi, 19 dicembre 2020

BARCELLONA: La traviata – Giuseppe Verdi, 19 dicembre 2020

LA TRAVIATA

OPERA IN TRE ATTI
Libretto di Francesco Maria Piave tratto da  La Dame aux Camèlias di Alexandre Dumas figlio
Prima assoluta: Teatro La Fenice 06/03/1853.
Prima a Barcellona: 25/10/1855, al Gran Teatre del Liceu.
Ultima esibizione al Liceu: 18/07/2015.
Prestazioni totali al Liceu: 251.

 

Direttore d’Orchestra Daniel Montané 
Regia David McVicar
Personaggi e Interpreti:
  • Violetta Valery Lisette Oropesa
  • Flora Bervoix Laura Vila
  • Annina GemmaComa-Alabert
  • Alfredo Germond Dimitry Korchak
  • Giorgio Germont Giovanni Meoni
  • Gastone Gerardo Bullon
  • Marchese di Obigny Tomeo Bibiloni
  • Dottor Grenville Felipe Bou
Scenografia e costumi Tanya McCallin
Coreografia Andrew George
Luci Jennifer Tipton
Produzione Grand Lyceum Theatre, Scottish Opera (Glasgow), Welsh National Opera (Cardiff), Teatro Real (Madrid)
Orchestra Sinfonica e Coro del Gran Teatre del Liceu
Direzione del coro Conxita Garcia

Gran Teatre del Liceu, 19 dicembre 2020


Tra mille tentennamenti, decreti vari e altrettante indecisioni, la stagione del Liceu che si inaugurava con la ripresa de La traviata in un collaudato allestimento di David McVicar, dopo essere stata sospesa poiché il limite di pubblico era stato imposto a sole 100 presenze (in una sala che ne contiene circa 2500 e che rappresenta il maggior teatro all’italiana in Europa) si e’ ripresa il 14 dicembre scorso quando, ragionevolmente in tutta la Spagna, nonostante il perdurare della pandemia di Covid 19, si è spuntato il 50% delle presenze e quindi nello specifico, circa 1100 biglietti a disposizione. Una cifra considerevole se si pensa alla situazione di paralisi totale che, inspiegabilmente (e qui potremmo divagare con mille ed una supposizioni) si mantiene in Italia.

Il Liceu la sera del 19 dicembre, a cui si riferisce la cronaca, offriva un aspetto rassicurante. Un posto si e l’altro no donavano un senso di “pienezza” confortante anche per noi del pubblico. La recita ha avuto inizio alle 19, per permettere di giungere a fine opera entro l’ora del “coprifuoco”, le 22. Un controllo solo del biglietto e l’invito a spalmarsi le mani di gel disinfettante, niente guardaroba, niente programma di sala (scaricabile gratuitamente, come del resto le foto, dal sito del teatro) e solerti mascherine, gentilissime va detto, a regolare poi il flusso d’uscita – fila per fila, come sugli aerei – e tutto è proceduto con estrema normalità.

Per accontentare il pubblico e gli abbonati, di questa Traviata sono previste moltissime repliche e vi si alternano diversi interpreti nei tre ruoli principali: addirittura quattro le Violette! A me è toccata in sorte, con mia intima gioia, Lisette Oropesa, soprano americano di origini latine (parla perfettamente spagnolo e italiano) di cui, lo confesso, mi sono letteralmente “innamorato” al primo ascolto, e cioé i relativamente recenti Masnadieri scaligeri. C’è qualcosa di indefinito ed indefinibile nella sua voce, che non è va detto di quelle baciate dalla natura e ha pure un leggero vibrato nella prima ottava, che mi tocca la “fibra”, ovvero per essere più romanticone il cuore. Aggiungiamo, a completare il quadro, la indiscutibile presenza e carisma scenico e, soprattutto, una totale padronanza tecnica e virtuosa del canto, su tutta la gamma, con messe in voce di straordinaria suggestione, con dinamica che spazia dal pianissimo al fortissimo e con una estensione ed un’emissione che le permettono, nel caso, di tenere a lungo il Mi Bemolle sulla cadenza finale della cabaletta che conclude il primo atto. La sua natura di lirico-leggero potrebbe sembrare un ostacolo in un ruolo come quello di Violetta, dove a partire dal secondo atto si richiedono una polpa ed un accento drammatici. Ed è non meno che sorprendente come la Oropesa, senza mai forzare un suono, ma giocando con il fraseggio ed i colori di una tavolozza ricca di sfumature riesca a superare gli ostacoli insiti in “Amami Alfredo” e poi in tutto il finale terzo, da “Gran Dio, morir si giovine”. Struggente l’Addio del passato, cantato con entrambe le strofe e riversa sul letto, “alla Olivero” per intenderci, meritatissimo il “brava” che mi e’ sfuggito incontenibile dalle labbra, mascherina permettendo, e soprattutto condivisibile il trionfo che l’ha accolta alla ribalta finale.

Successo altrettanto meritato quello riservato al “nostro” Giovanni Meoni, un professionista di antico stampo per la nobiltà del canto che in gran misura contribuisce a rendere, se non più simpatico, più umano Papà Germont. Canto morbido, carezzevole, voce brunita, timbro sincero. Una presenza la sua sempre rassicurante. Alfredo il 19 dicembre era interpretato da Dmitry Korchak, che dopo un inizio un po’ titubante nell’intonazione, ma pure Alfredo Kraus ammetteva che il momento più a rischio per il tenore in Traviata è proprio “Un di’ felice eterea”, ha dimostrato di avere tutte le carte in regola, compreso uno squillante Do acuto a coronare la cabaletta del secondo atto. Apprezzabile sia per accento che per la recitazione, molto irruente per scelta registica (ivi compresa una reazione violenta al padre, quasi volesse fare a botte, prima della cabaletta del baritono) e scenicamente perfetto.

Della lista dei comprimari, tutti “della casa” merita menzione il sonoro e gradevole barone del baritono Gerardo Bullon, mentre sia di Flora che di Annina sarà meglio tacere.

Si vorrebbe sorvolare anche sulla direzione d’orchestra di Daniel Montane’, che si alterna a Speranza Scappucci sul podio. Dinamiche spinte all’eccesso e tempi o dilatati oltre misura, o velocizzati come se si passasse dalla velocità dei 33 giri ai 78 al minuto. Tal dei tempi è il costume. Causa Covid, credo, niente banda interna per il primo atto: pazienza. Bene il coro (con mascherina) bene l’orchestra.

David McVicar segue la più saggia e collaudata tradizione, mantenendo epoca (a giudicare dai costumi femminili, 1870 circa) plausibile e lavorando molto (e molto bene) sui caratteri e nella recitazione. La presenza, o piuttosto onnipresenza, di Annina trova ampia giustificazione scenica anche quando in scena non ci dovrebbe essere; il Gastone un po’ frou-frou non fa piuù notizia, ma ci sta, simpatica l’idea di un Dottor Grenvil ubriacone, prima in casa di Violetta e poi da Flora, che si redime però per la scena in cui mente a Violetta nel terzo atto. E così, con mia intima soddisfazione, anche il medico fa la sua bella figura.

Andrea Merli

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