MILANO: MADAMA BUTTERFLY – Spazio 89 – 22 marzo 2017

MILANO: MADAMA BUTTERFLY – Spazio 89 – 22 marzo 2017

Giacomo Puccini
MADAMA BUTTERFLY

Libretto Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Fonti letterarie Madam Butterfly di John Luther Long  e
Madame Butterfly di David Belasco

Diretta dal maestro DAMIANO CERUTTI

Regia Yamala-Das Irmici

Personaggi d interpreti:

  • Madama Butterfly / Cio Cio-san (soprano) – YIM KYOUNG
  • Pinkerton, tenente della marina degli Stati Uniti (tenore) – DAVIDE LA VERDE
  • Suzuki, servente di Cio Cio-san (mezzosoprano) – CARLOTTA VICHI
  • Sharpless, console degli Stati Uniti a Nagasaki (baritono) – LUCA SIMONETTI
  • Goro, nakodo (tenore) – RICCARDO BENLODI
  • Lo zio Bonzo (basso) – LUCA VIANELLO
  • Il Principe Yamadori (tenore) – FRANCESCO AMBRUOSO
  • Kate Pinkerton (mezzosoprano) – ELEONORA BOARETTO
  • Il Commissario Imperiale – GABRIELE FACCIALÀ
  • L’ufficiale del registro – MATTIA ROSSI
  • Dolore (bambino, mimo) – ANTONIO TRAVAGLINI

Coro di VoceAllOpera (diretto da DAMIANO Cerutti)
Corale Polifonica Sforzesca (diretta da Fabio Moretti)

Orchestra Ensemble di VoceAllOpera

Le scene e i costumi sono prerogativa di Francesco Bondì.

E se a mentire fosse proprio lei? E se i “quindici netti netti” fossero in realtà più di trenta ed il piccolo Dolore, sebbene dotato d’occhio cilestrino e di riccioli d’oro, fosse figlio di un altro?

Quando pensavi di aver viste tutte le Ciociosan possibili ed immaginabili, dalla giapponesina tutta kimono e mossettine, alla schiava del mercato del sesso tenuta prigioniera in un container nel porto (mi riferisco specificamente all’allestimento di Tenerife, firmato da Giancarlo Del Monaco, che sembrò eccessivo persino a chi apprezzò quello più soft di Michieletto), arriva VoceAllOpera e ti spiazza.

Eh! Quel diavolo d’un Aliverta, si penserà subito. No, questa volta il nostro “Pierino” della regia lirica, l’inventore dell’opera low cost, ideatore del mobing “traviatesco” in metropolitana, ha ceduto le redini al non meno birichino Yamala-Das Irmici, autore di uno spettacolo in linea con la “politica” della compagnia e dunque a costo praticamente zero, ricco di idee e, soprattutto, di quell’entusiasmo condiviso con un gruppo per tutto ed in tutto encomiabile.

In uno Spazio 89, dal numero civico della strada Fratelli Zoia di Quarto Cagnino – sfido anche i milanesi a dire dove si trova senza l’ausilio di google maps – nell’estrema periferia nord ovest, si inizia facendo una coda di venti minuti per ritirare il biglietto: e già, si dirà, il “repertorio”. Quindi si entra in una sala in origine per concerti, rivoluzionata nella disposizione delle sedie. Sul palco l’Orchestra Giovanile di VoceAllOpera, una quindicina di elementi che potrebbero avere l’età presunta di Butterfly, lo spazio per l’azione ricavato dalla platea in mezzo alla quale alcuni – apparentemente del pubblico – stanno seduti. L’occhio “alivertamente” allenato ne riconoscerà più di uno e si intuisce che si tratta del Coro di VoceAllOpera cui si somma per l’occasione la Corale Polifonica Sforzesca, ben disismulato anche nella piccola galleria.

E fino qui l’happening non sorprende. Il primo atto scivola via quasi nella norma, anche se il baldanzoso Pinkerton, un atletico giovinotto col codino, non solo non è vestito da luogotenente della marina americana, ma si aggira con il cellulare facendo selfies e soprattutto il cascamorto con le ragazze più carine. Che sia un turista sessuale non se ne ha il minimo dubbio. Il console, piuttosto, veste un improbabile pantalone “stenterello” coi risvoltini (probabile omaggio alla moda attuale) calza degli impossibili calzini corti e neri esibendo spesso metà del polpaccio. Ciò che colpisce è il suo sfarfalleggiare, quasi e forse più di tutte le geishe messe assieme. Queste, in numero di quattro, sono, evidentemente le compagne della protagonista e sulla loro attività di “intrattenitrici” non sorge nemmeno la possibilità dell’equivoco. Che poi son proprio loro a deridere l’amica quando dichiara l’età mentendo e sapendo di mentire. Anche la “nobile dama” materna è una di loro e quindi la finzione prende il sopravvento. Lo zio Bonzo, che fa rima non con “gonzo” come vorrebbe l’originale libretto bensì con “stronzo” nell’accezione moderna del termine, si alza tra il pubblico, maledice e scaraventa via ogni giapponeseria possibile e, sbaraccando, lascia alla coppia come regalo un Happy Meal del Mc Donald condannandoli al Crispy Mc Bacon vita natural durante: altro che sushi!

Insomma, chi è questa Butterfly lo si capisce finalmente nel secondo atto, quando armata di fucile – non a caso pure lei è una Fanciulla del West – entra in scena a dimostrare che oltre alle serrature disposte dal marito è pronta a difendere il nido nuzial da chiunque, Suzuki o piuttosto Goro, ne minacci l’esistenza tra dubbi e proposte di nuovi accoppiamenti. Altra botta alla “tradizione” la fornisce il piccolo Dolore, molto in parte il bellissimo angioletto biondo rispondente al nome di Antonio Tagliavini, il quale è tutto preso a giocare con un tablet di cui soffre una psicotica dipendenza al punto da non sollevare mai lo sguardo dallo schermo su cui muove nervosamente le ditina, nemmeno quando la madre lo invocherà di guardarla in faccia al fine di lasciarne una traccia. Infine il cannone del porto è sostituito dai rumorosi botti dei tubi lancia coriandoli, al posto dei petali dei fiori. Ciociosan vi si arrotola simulando addirittura un orgasmo. Poi, durante la notte d’attesa la vedremo trasportare fuori scena un trolley ed un valigione, pronta già a partire per l’agognata America. Il suicidio, dunque, avverrà sì come da manuale, ma molto probabilmente per vedere infranto il “sogno americano”, quello di una vita borghese in California, nel villino di Pinkerton con tutte le comodità e gli elettrodomestici.

Se qualcosa si può rimproverare alla regia è dunque di non aver osato di più: poteva essere una novità dare al finale un tocco macabro, trasformando la geisha in una matricida. “Con onor muore chi non può serbar vita con onore” si potrebbe applicare anche al piccolo Dolore che, come ben suggerisce Goro, in America sarebbe solo un sonofabitch. Ma non è il caso di suggerire altre ipotesi sul finale della Butterfly che, volenti o nolenti gli Autori, rimane pur sempre “aperto”.

Lodato incondizionatamente il lavoro del regista e pure quello dello scenografo e costumista (parole grosse) Francesco Bondì, rimane da dire della parte musicale, notevolissima.

Iniziando dalla trascrizione arrangiata da Damiano Cerutti, tra i più apprezzati direttori che si sono alternati dirigendo per VoceAllOpera, che con il taglio opportuno del “risveglio di Nagasaki” nell’intermezzo, è responsabile di una lettura incalzante, senza cedimenti e doppiamente lodevole tenendo conto che senza monitor ed avendoli spesso fuori mira, dirige solisti e coro sparpagliati nelle posizioni meno “operistiche” possibili ed immaginabili. Il risultato, anche sonoro, di questa versione riserva davvero molte sorprese, pure nelle soluzioni cromatiche di uno spartito così articolato. 10 e lode.

Bravo il coro, pur di pochi elementi ma comunque più che sufficienti, nel brano a “bocca chiusa” che si è soffuso dall’alto e che ha provocato uno dei tenti applausi a scena aperta che hanno sottolineato il gradimento del pubblico, per nulla spaesato dalla situazione teatrale. Bravissima la Ciociosan del soprano coreano Yim Kyong A, per l’immedesimazione nella parte, per l’adesione alla regia – tutt’altro che facile e scontata – e per la tenuta vocale che, seppure in uno spazio ridotto, promette bene anche per palcoscenici “veri”. Perfetto nella sua rustica aggressività il tenore Davide La Verde, fisicamente adattassimo da sembrare americano negli atteggiamenti volutamente irritanti col cellulare sempre in mano. Ottimo vocalmente e credibile nella pur ostentata “frociaggine” il Console Sharpless del baritono Luca Simonetti, già apprezzato Don Bartolo nel precedente Barbiere di Paisiello. Ripete il successo ottenuto con l’esilarante Don Basilio il bass-bariton Luca Vianello, autorevolissimo Zio Bonzo. Al suo debutto quale Goro, il tenore Riccardo Benlodi, giovanisismo e fresco di debutto assoluto in quel di Reggio Calabria nelle Nozze di Figaro, dimostra una musicalità perfetta, una voce ben messa ed una gran duttilità scenica. Eleonora Boaretto si stacca dal coro per interpretare una Kate Pinkerton decisamente schifata dal comportamento del marito: ne risulta un cameo ben realizzato. Citiamo lo Yamadori del tenore Francesco Ambruoso, il Commissario del “non” cantante lirico Gabriele Faccialà valente musicista che si diletta a fingersi il baritono e ci riesce benissimo, il sornione Ufficiale di Mattia Rossi cui spetta l’unica famigerata parola “Posterità”, detta nel momento giusto e finiamo con una perla bianca: la Suzuki adorabile e cantata meravigliosamente bene da Carlotta Vichi, una professionista che si presta al gioco di VoceAllOpera con modestia e con coraggio, cosa che la inserisce di fatto nel novero dei “grandi”.

Successo, manco a dirlo, e pubblico assai soddisfatto. Sarebbe stato carino fare un’intervista post recita per coglierne le impressioni: ne avremmo sentite delle belle! Rimane solo, a conclusione, una considerazione che è una richiesta ed una denuncia nel contempo. Quando un teatro a Milano per dare spazio a questi germogli che ormai stanno crescendo a vista d’occhio e tra poco ci sfuggiranno di mano? Possibile che nessuno senta l’urgenza di fornire mezzi e gli spazi a questa recalcitrante gioventù pronta a sperimentare ed a mettersi in gioco per formarsi, per dare un’occasione a chi la Scala non se la può permettere di accedere alla cultura musicale? Quanto dovremo aspettare ancora? I “politici” di destra o di sinistra o di centro poco importa, dove hanno la testa? Mahhhhh….

Andrea Merli

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