MADRID: JUAN JOSÉ – Pablo Sorozábal, 10 / 11 aprile 2024

MADRID: JUAN JOSÉ – Pablo Sorozábal, 10 / 11 aprile 2024

JUAN JOSÉ 

Pablo Sorozábal

Libreto basto sull’opera di  JOAQUÍN DICENTA


Direzione MIGUEL ÁNGEL GÓMEZ-MARTÍNEZ
Regia JOSÉ CARLOS PLAZA


Personaggi e Interpreti:

  • Juan José JUAN JESÚS RODRÍGUEZ, LUIS CANSINO
  • Rosa SAIOA HERNÁNDEZ, CARMEN SOLÍS
  • Toñuela VANESSA GOIKOETXEA, ALBA CHANTAR 
  • Isidra MARÍA LUISA CORBACHO, BELEM RODRÍGUEZ MORA 
  • Paco ALEJANDRO DEL CERRO, FRANCESCO PIO GALASSO 
  • Andrés SIMÓN ORFILA
  • Cano LUIS LÓPEZ
  • Perico IGOR PERAL
  • Presidiario SANTIAGO VIDAL
  • Tabernero RICARDO MUÑIZ
  • Amica 1 RAQUEL DEL PINO
  • Amica 2 PAULA SÁNCHEZ VALVERDE
  • Amico 1 JOSÉ MANUEL GUINOT
  • Amico 2 JESÚS ÁLVAREZ CARRIÓN


scene e luci PACO LEAL
Costumi PEDRO MORENO
Coreografia DENISE PERDIKIDIS

Orquesta de la Comunidad de Madrid titular del Teatro de La Zarzuela

Produzione del Teatro de la Zarzuela (2016)

 

Teatro Nacional de La Zarzuela, 10 / 11 aprile 2024


Al pari di Jacques Offenbach, celebre per le sue opere buffe ed operette, che volle “redimersi” con un’opera, i postumi Les Contes d’Hoffman, l’aspirazione maggiore di buona parte dei compositori spagnoli di zarzuela fu quella di cimentarsi col melodramma: così Arrieta con Marina, Bretón con La Dolores ed un lungo eccetera in cui non fa eccezione il basco Pablo Sorozábal, nato a Donosti nel 1897, deceduto a Madrid il 1988, autore di popolarissime zarzuelas tra cui La tabernera del puerto del 1936, quella con la celeberrima aria per tenore “No puede ser” e anche della colonna sonora di “Marcellino pane e vino”, il film con il bimbo Pablito Calvo del 1955. La controversa e battagliera figura del compositore, ostacolato durante il franchismo per le sue tendenze liberali (e pensare che nel “sainete” La del manojo de rosas si cita ironicamente Mussolini!) a differenza del “rivale” Federico Moreno Torroba, il quale aderì al regime, con una ferrea formazione musicale maturata in Germania tra Lipsia e Berlino nel periodo tra i due conflitti mondiali, lo portò a scegliere per la sua opera Juan José, di cui oltre alla musica scrisse il libretto, un testo di un autore “maledetto”, Joaquin Dicenta (Calatayud 1862 – Toledo 1917) socialista e repubblicano nella Spagna a cavallo tra il XIX e XX secolo, dedito all’alcolismo, donnaiolo, frequentatore di bassi fondi popolati dal sottoproletariato madrileno. Con questo dramma, che ne riflette in buona misura la vita da bohemien, Dicenta acquisì la fama. Un soggetto sordido, vi prevale la violenza maschilista, l’annichilimento morale e fisico; vi confluiscono elementi veristi ed espressionisti, un ispanico incrocio tra Verga e Büchner, tra Cavalleria rusticana e Wozzeck.

La trama vede il protagonista, derelitto manovale analfabeta, innamorarsi di una donna priva di morale, la quale dopo averlo indotto al crimine che lo condurrà in prigione, l’abbandona per unirsi a Paco, il suo ex capo. Fuggito dal carcere con l’intenzione di uccidere il rivale, Juan José soffoca la donna che cerca inutilmente di chiamare aiuto. All’azione si uniscono Isidra, una vecchia ruffiana, l’amico Andrés, pure manovale e violento, con la compagna Toñuela ed altri personaggi tra cui spicca Paco, ricco e spaccone, ovviamente tenore.

La musica è molto interessante e nel corso di tre atti – eseguiti senza intervallo – l’ultimo diviso in due scene inframezzate da uno struggente intermezzo, si sviluppa tramite motivi conduttori riferiti ai diversi personaggi e con descrizione ambientale quasi calligrafica nell’uso anche di ritmi madrileni quali il “chotis”, il “pasodoble”, peró – come ora si usa in alta cucina – “destrutturati” in un linguaggio che ne vuole sottolinearne la radice popolare, ma con un senso drammatico, teatralmente tagliente. Si tratta di un canto di conversazione che sfocia nell’arioso, senza pezzi chiusi, con esigenze vocali estreme per i solisti, costretti a tessiture impervie, al declamato spesso prossimo al grido, vuoi per la disperazione che affligge i personaggi, vuoi per superare il denso ordito orchestrale, in cui gli ottoni e la percussione spesso hanno la maggiore.

L’opera, concepita in pieno regime dittatoriale (il testo di Dicenta venne tollerato dal regime in quanto considerato un “classico”) finita nel 1968, dopo un fallito tentativo di debutto nel 1979, vide la luce, in forma di concerto, a San Sebastian nel 2006. Al Teatro de La Zarzuela ebbe finalmente la “prima” in forma scenica nel 2016. Spettacolo ora ripreso per otto recite con doppio cast. A dirigere l’orchestra della Comunidad de Madrid, che per una volta è parsa meno concentrata e piuttosto rumorosa, è stato chiamato lo stesso Maestro che la diresse al suo debutto nel 2006: Miguel Ángel Gómez-Martínez. Il rapporto con la scena è parso piuttosto difficoltoso e, soprattutto, le dinamiche (ma forse andrebbe rivista l’orchestrazione) sono sembrate esagerate, in considerazione poi dello spazio non eccessivo del teatro, prevaricanti le pur robuste voci dei solisti.

Piuttosto lo spettacolo è parso semplicemente perfetto nel ritrarre ambienti miserabili: scene e costumi rispettivamente di Paco Leal, cui si deve pure la suggestiva illuminazione, e Pedro Moreno. Il regista José Carlos Plaza, oltre a curare nel dettaglio e meticolosamente l’ottima recitazione dei solisti, in assenza di coro muove la figurazione nella taverna del primo atto e poi nella scena del carcere nel terzo, con scatti autistici d’indubbio effetto, ma senza intralciare il lavoro degli interpreti, tutti ottimi sia da un punto di vista scenico sia per il difficile impegno vocale. Il doppio cast ha proposto artisti molto validi, pur con individualità diverse, molto apprezzati dal numeroso pubblico che ha affollato entrambe le recite seguendo col fiato sospeso la terribile vicenda. Così nella parte del protagonista si sono avvicendati i baritoni Juan Jesús Rodríguez, voce imperiosa, facile all’acuto, attore travolgente, e Luis Cansino, il quale con altrettanta efficacia vocale propone un personaggio più introverso, ma altrettanto credibile. Nella parte della bella Rosa si sono alternate Saioa Hernández, un autentico lusso per la vocalità rigogliosa con cui rende il personaggio dolente, ma nel contempo voglioso di libertà, sorta di Nedda mutuata da Pagliacci e Carmen Solís, dalla intensa voce lirica, ammiccante e anche ironica, perfetta scenicamente e vocalmente. Paco, il tronfio padrone che sfoggia il potere dei soldi, ha avuto nel tenore Alejandro del Cerro accenti quasi wagneriani, con una sfrontatezza vocale ed uno squillo che hanno reso in pieno il bullo di periferia; Francesco Pio Galasso, l’unico italiano, sebbene ormai madrileno di adozione, che può affrontare una simile parte, cantata per giunta con inflessioni locali, ha reso il personaggio con grande credibilità scenica e apprezzabile veemenza vocale che gli hanno garantito l’unico appaluso a scena aperta della serata. L’amica della protagonista, Toñuela, esige una vocalità lirica di grande spicco: benissimo sia la ormai nota Vanessa Goikoetxea, dalla carriera internazionale, che la giovane Alba Chantar, voce più leggera, ma penetrante. La parte della vecchia ruffiana Isidra se la sono divisa, con successo, i mezzosoprani Maria Luisa Corbacho e Belem Rodríguez Mora. Nel numero delle parti di fianco, particolarmente in risalto il basso Luis López Navarro, il carcerato Cano ed il tenore Igor Peral, Perico, che nella prima scena legge sillabando un quotidiano socialista.

Menzione speciale merita Simon Orfila, il basso di Minorca, impegnato in tutte le recite nella parte di Andrés, l’amico fraterno del protagonista. Un personaggio che, sebbene con risvolti comici che emergono in due arie, risulta il compendio di quanto aberrante può essere la condotta maschile, violenta e possessiva: inutile dire che si è difeso dicendo “nella vita non sono così!” eppure, una volta ancora, un dramma di fine ottocento è parso terribilmente attuale.  

Andrea Merli

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