MODENA: la Bohème – Giacomo Puccini, 13 ottobre 2019

MODENA: la Bohème – Giacomo Puccini, 13 ottobre 2019

La Bohème

Opera in quattro quadri su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
tratta dal romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henry Murger

 

Direttore Aldo Sisillo
Regia Leo Nucci

Personaggi e Interpreti:

  • Mimì Maria Teresa Leva
  • Musetta Lucrezia Drei
  • Rodolfo, poeta Matteo Desole
  • Marcello, pittore Carlo Seo
  • Schaunard, musicista Fellipe Oliveira
  • Colline, filosofo Maharram Huseynov
  • Parpignol Roberto Carli
  • Benoît / Alcindoro Gianluca Lentini
  • Sergente dei doganieri Paolo Marchini
  • Doganiere Stefano Cescatti


Scene Carlo Centolavigna
Costumi Artemio Cabassi
Luci Claudio Schmid
Maestro del Coro Stefano Colò
Maestro delle Voci bianche Paolo Gattolin
Regista collaboratore Salvo Piro

Orchestra Filarmonica Italiana
Coro Lirico di Modena
Voci bianche della Fondazione Teatro Comunale di Modena
In collaborazione con la scuola La Carovana

 

Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena
Fondazione Teatri di Piacenza
Allestimento in coproduzione con Fondazione Pergolesi Spontini, Opéra de Marseille

Teatro Comunale “Luciano Pavarotti”, 13 ottobre 2019


Se scrivete La Bohème “di Nucci”, vi ammazzo, la Bohème è e sarà sempre di Puccini!” Ci apostrofa con un tono quasi minaccioso l’ex “Rigoleo” nazionale, visto che con le ultime recite scaligere ha dato definitivamente l’addio al ruolo che per circa cinquanta anni ha rappresentato per il baritono di Castiglione dei Pepoli una seconda pelle. Leo Nucci si compiace, non senza un punta di autoironia, nel definirsi solo e semplicemente un “metteur en scène”, al servizio totale degli Autori di libretto e musica: “Sta già tutto in partitura!”, insiste. Ed ha assolutamente ragione. Del resto non è nuovo alla regia, ricordiamo “en passant” la Miller, l’Elisir ed il Boccanegra al Teatro Municipale di Piacenza, mentore Cristina Ferrari; promette assai bene in questa veste il “giovane talento” classe 1942. Per chi ha frequentato i palcoscenici di tutto il mondo diretto dai più illustri registi, possiede una vasta cultura ed entra nel profondo dello spartito, La bohème parrebbe uno scherzo da ragazzi, quasi un gioco. Lo spirito è anche quello, nel proporre la gaia spensieratezza, la gioventù e, quindi, la maturità raggiunta dagli scapestrati “bohemiens“, ma la zampata del leone si intravvede subito nella cura dei dettagli, nella totale sintonia tra canto e musica, laddove non un gesto, non un’azione sono lasciate al caso, o peggio si sfruttano dei pretesti per distrarre il pubblico dalle emozioni che, nella Bohème più che altrove, devono essere palpabili.

E così succede che un pensionato sessantottenne, che pure di Bohème ne ha viste centinaia, si sorprenda coi lucciconi già al primo atto, nel duetto conclusivo tra Rodolfo e Mimì, quando esplode l’amore complice quel diavolo d’un Toscanaccio, il Sor Giacomo. L’efficace impianto scenico costruito e dipinto da quell’autentico mago della scena all’italiana che è Carlo Centolavigna, gli strepitosi costumi, elegantissimi dove occorra e cromaticamente azzeccati quelli del popolo e dei bimbi come raramente è dato vedere, di quel gran sarto che risponde al nome di Artemio (il Cabassi del cognome pare quasi superfluo) le giuste luci di Claudio Schmid e la congiunta azione di Salvo Piro, aiuto regista, fanno il resto e provocano, nel bendisposto pubblico della recita domenicale, ansioso di assistere ad una “vera” Bohème, l’applauso al levarsi di sipario sul Quartiere Latino.

Pensa un po’ ” aggiunge Nucci, cui brillano d’entusiasmo gli occhi e che si occupa pure della regia televisiva dell’opera offerta in Streaming, un felice debutto per i teatri dell’Emilia Romagna “per la scena della soffitta ho preso spunto da quella del film di Disney Gli Aristogatti!” E mostra sul telefonino i fotogrammi da lui suggeriti allo scenografo. Infatti, “alla tana squallida” di Rodolfo si affianca sulla destra della scena il pianerottolo che ci permette di visualizzare l’arrivo di Mimì, l’ingresso di Benoit, da dove, infine, si dileguano tutti a fine atto primo. I dettagli di regia si sprecano: Rodolfo che sposta subito col piede e nasconde sotto il tavolo la chiave caduta a Mimì (“Che stronzo!” è sfuggito di bocca ad una giovane ragazza seduta al mio fianco e che, probabilmente, era alla sua prima Bohème e seguiva lo spettacolo immedesimandosi completamente) che cerca di portarla a letto mentre canta ammiccando “sarebbe così dolce restar qui”, ecc. Colpiscono, soprattutto, due elementi di assoluta novità, pur nell’impianto orgogliosamente tradizionale: l’umanità di Musetta che in due bimbe questuanti con la fisarmonica, in un breve quadro che precede il secondo atto, intravvede sé stessa e canta il suo valzer quasi fosse un’antesignana di Edith Piaf; poi, alla barriera d’Enfer, il tentativo di Marcello e Musetta di rappacificare la coppia Rodolfo e Mimì fingendo una comica disputa che finisce con un tenero abbraccio. E per finire il colpo di teatro: la soffitta illuminata dalla luce del sole al tramonto mentre Schaunard tira la tenda sulla grande vetrata, un mesto sipario sulla gioventù che fugge via.

Successo al calor bianco per tutti, anche perché la compagnia di canto e l’esecuzione musicale di orchestra e coro son parse superlative. Benissimo l’Orchestra Filrmonica Italiana ubbidiente al Maestro Aldo Sisillo, che ha scelto di allargare alcuni tempi per lasciar libero sfogo al canto, ma senza perciò far calare la tensione teatrale, anzi insufflando passione e veemenza. Tenuta ottimale anche nella complicata gestione del secondo atto, dove si è apprezzato molto il lavoro del coro, istruito con cura da Stefano Colò compreso quello delle voci bianche, in mano a Paolo Gattolin: non ha prezzo il piccolo “Pavarottino” che ha intonato con tempismo e vigore “Vo’ la tromba e il cavallin” con una perentorietà che non ammette repliche.

Cast assai giovane e ciò, in Bohème, spesso è un rischio, in questo caso un valore aggiunto. Puntuali e sonori i doganieri Paolo Marchini e Stefano Cescatti, notevole il tenore Roberto Carli con i “giocattoli di Parpignol” e ben caratterizzati, oltre che ben cantati, sia il Benoit che l’Arcindoro nell’aspetto e voce del valido basso Gianluca Lentini. Il  24enne basso azerbagiano Mahrran Huseynov è stato un ottimo Colline, dalla voce morbida, mai forzata, e si è giustamente guadagnato un’ovazione dopo la “Vecchia zimarra” cantata con grande sentimento e buon legato. Lo Schaunard del brasiliano Fellipe Oliveira si è apprezzato per la grande verve scenica e nel contesto non ha sfigurato, così come è sembrato un buon elemento, da seguire con attenzione, il bravo Marcello del baritono coreano Carlo Seo. Il soprano milanese Lucrezia Drei, Musetta, parte bene per l’indiscutibile avvenenza e per la disinvoltura in scena. Giustamente ha valorizzato il lavoro del regista e del costumista impadronendosi della scena ogni qual volta vi poneva piede. Musicalmente perfetta, voce ben emessa e timbro penetrante, completano il ritratto di un personaggio che ne è uscito a tutto tondo.

Sugli scudi, però, i due protagonisti che hanno riscosso esplosioni di applaausi a scena aperta dopo le rispettive romanze: Il soprano di Reggio Calabria Maria Teresa Leva tratteggia una Mimì intensa e pure determinata. La voce dal bel corpo lirico e timbricamente dotata, si piega in piani e pianissimi di rara suggestione e poi si lancia in acuti frementi, densi di una drammaticità inusuale. Commovente nel “Donde lieta uscì” e quindi nel duetto finale con Rodolfo. Questi il tenore sassarese Matteo Desole, appena trentenne. Voce privilegiata, dal timbro schietto, italiano e solare; squillante e brillante in acuto, valga per tutti il Do della “speranza” preso e tenuto spavaldamente. Stupisce poi per l’introspezione del personaggio, che domina alla perfezione sia nei momenti di estroversione con i compagni di avventura e soprattutto sa fraseggiare e trova accenti sinceri d vero innamorato e nei momenti in cui si strugge di gelosia. Finora lo si era ascoltato solo in piccole parti, mi auguro di riascoltarlo presto e mi consolo per lui, e per tutti, con queste nuove voci che fanno ben sperare per il futuro della nostra, bistrattata dai politici, Opera!

Andrea Merli

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