BRESCIA: LA VOIX HUMAINE e CAVALLERIA RUSTICANA, 15 dicembre 2018

BRESCIA: LA VOIX HUMAINE e CAVALLERIA RUSTICANA, 15 dicembre 2018

Brescia

LA VOIX HUMAINE – Francis Poulenc

CAVALLERIA RUSTICANA – Pietro Mascagni

Teatro Grande, 15 dicembre 2018

Presa al volo l’ultima recita del dittico Poulenc-Mascagni proposto dal circuito Opera Lombardia in quel di Brescia, al magnifico Teatro Grande, il 15 dicembre.

Si tratta di un allestimento nato a Bologna e ripreso ora in coproduzione col Teatro di Bolzano e la Fondazione Haydn. Poco da aggiungere sulla produzione di Emma Dante (scene di Carmine Marigola, costumi di Vanessa Samino e luci di Cristin Zucaro) che funziona abbastanza bene ne La voix humaine di Poulenc e abbastanza male nella mascagnana Cavalleria rusticana. La trovata per la prima di ambientarla in quella che, a tutta prima, pare una camera di albergo e che pian piano si rivela essere la stanza di un ospedale psichiatrico, non è nuovissima, ma funziona sempre, specie se la regia esalta lo stato psicotico, a tratti confusionale, della infelice protagonista. Qui, in un ambiente ovattato e confortantemente rosa confetto alla Hello Kitty, si materializzano i suoi incubi e pensieri e prende così vita e visibilità la lunga telefonata. Inquietanti le due gemelle infermiere, che ricordano quelle del film “Shining” in versione adulta.

Indubbiamente la presenza di una cantante attrice carismatica qual’è Anna Caterina Antonacci esalta la chiave di lettura con una recitazione semplicemente da brivido, sapientemente dosata tra il canto e la parola detta con un’espressività che inchioda e coinvolge. Bravissima e ovviamente e giustamente applauditissima alla fine.

Successo che è arriso pure al capolavoro di Mascagni, da sempre tra i titoli favoriti di tutti i pubblici. Anche in questo caso la presenza di un cast assai ben assortito ha sopperito una messa in scena prevedibile e scontata, seppure teatralmente efficace. La Dante, si sa, si fa forte della sua compagnia riempendo la scena con ventidue tra attori e mimi e danzatori; può tralasciare il lavoro sul coro, bravissimo quello del circuito Opera Lombardia istruito da Diego Maccagnola, e sui solisti che paiono avulsi dal gioco di scena. Il tocco di kitsch, forse cercato, sta nelle quattro “cavalle-conigliette” che conducono il carretto (ovviamente siciliano) di Alfio. Colpo di scena – certo la Dante non è una sprovveduta – nel finale: una composizione umana della Pietà michelangiolesca.

Per molti potrebbe essere una lieta sorpresa scoprire nel tenore Angelo Villari un Turiddu maturo e valido sia vocalmente che scenicamente. Non lo è per me che seguo con interesse la carriera di questo nostro tenore, il quale con tenacia e studio si sta affermando tra i migliori della sua generazione in un repertorio che tocca parti da tenore spinto. Voce bella di natura, dotata di squillo e timbro maschio, gli ha garantito un’accoglienza trionfale alla ribalta finale. Successo che ha segnato pure l’ottima prestazione del soprano Teresa Romano, Santuzza passionale e veemente, ma incline anche al canto introspettivo e dolente: bravissima. E perfette sia Giovanna Lanza, mamma Lucia di lusso per intensità vocale e di interprete e la giovanissima promessa Francesca Di Sauro, Lola, mezzosoprano affascinante per il fisico e fresca di una vocalità generosa, ma ben incanalata nelle regole del canto. Il baritono koreano Kim Mansoo è vocalmente un ottimo Compar Alfio, scenicamente un po’ spaesato in mezzo a tanta virulenza mediterranea: perfetto nel ruolo del marito cornuto, più che nei panni del marito geloso e vendicativo.

Rimane la bella prova dell’orchestra de I Pomeriggi Musicali di Milano affidata a Francesco Cilluffo, una tra le più belle realtà in campo direttoriale italiano, che ha condotto con estrema sensibilità le “trine morbide” e le asperità di Poulenc, salvo poi scatenarsi con italico calore in Mascagni, di cui ha reso idealmente tutta la tellurica espressività.

 

Andrea Merli

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