LAS PALMAS DI GRAN CANARIA  ADRIANA LECOUVREUR – Francesco Cilea, 25 marzo 2021

LAS PALMAS DI GRAN CANARIA ADRIANA LECOUVREUR – Francesco Cilea, 25 marzo 2021

ADRIANA LECOUVREUR

Francesco Cilea

Direttore Francesco Ivan Ciampa
Regia Giulio Ciabatti

Personaggi e Interpreti:

  • Adriana Lecouvreur, Maria José Siri
  • Maurizio,Sergio Escobar
  • Michonnet, Youngjun Park
  • Príncipe de Bouillon, Insung Sim
  • Princesa de Bouillon, Silvia Tro Santafé
  • Abate, Francisco Corujo
  • Jouvenot, Magdalena Padilla
  • Dangeville, Andrea Gens
  • Quinault, Fernando Campero
  • Poisson, Iván Figueira

luci , Iban Negrín
Repetidora, Moraya Sánchez
scene,Laura Navarro

Orquesta Filarmónica de Gran Canaria

Coro de Amigos Canarios de la Ópera

direttore del coro Olga Santana
Pianista, Olga Nevalainen

 

 

Auditorium Alfredo Kraus, 25 marzo 2021


Mentre il morbo infuria nell’ennesima “ondata”, in Spagna e specificamente in quell’appendice isolana geograficamente africana e subtropicale, ma culturalmente e nazionalmente spagnolissima che è Gran Canaria, isola principale e capoluogo dell’arcipelago, si fa cultura, si fa musica, si esegue l’opera.

Un autentico privilegio” ho dichiarato nella breve intervista video che ha raccolto l’addetta stampa e relazioni pubbliche dell’ACO, la deliziosa Maya Lopez Hansson, perchè ormai anche la critica si muove col contagocce ed io, essendo italiano, fornisco il tocco esotico, sebbene ormai le Canarie trabocchino di connazionali. Un privilegio, si, in considerazione del forzato digiuno operistico nel Bel Paese, poter assistere ad una recita, la seconda di tre, di Adriana Lecouvreur. I protocolli e le precauzioni “anti covid” tutte contemplate, dal tampone obbligatorio per chi arriva alle Canarie, al distanziamento e mascherina per tutta la durata dell’opera, ivi compreso l’accesso al bellissimo Auditorium “Alfredo Kraus” in percorsi obbligati a seconda del posto assegnato. La fortuna, tutto è relativo, è che la sala è capace di oltre 1800 posti e quindi, poichè il governo canario ammette una presenza del 30%, 600 gli spettatori, praticamente tutti gli abbonati e anche qualche biglietto in più: al teatro Perez Galdos, assai più piccolo, ciò sarebbe stato irrealizzabile.

Certo l’Auditorium non ha il golfo mistico né un vero e proprio palcoscenico con quinte e soffitta. Inoltre, difficile da comprendere per chi non conosce le diverse realtà autonomiche in Spagna, a Las Palmas il “coprifuoco” scatta alle 22 e sebbene lo spettacolo si anticipi alle 19, deve finire in tempo per consentire al pubblico il rientro a casa senza incorrere in contravvenzioni. Si aggiunga che, onde evitare la possibilità di contagio, l’opera si esegue senza intervallo.

Tutto ciò è risultato fortemente penalizzante dal punto della realizzazione scenica e particolarmente doloroso anche musicalmente, poiché il pur bravissimo Maestro calabrese e conterraneo dell’Autore Francesco Ivan Ciampa si è visto costretto ad eseguire dei tagli feroci, che nemmeno il “Re delle forbici” Gavazzeni in stato di euforia si sarebbe sognato di fare. Ma non è il caso di lamentarsi, solo di rallegrarsi di questa splendida occasione che è comunque caduta come manna dal cielo in tempi di carestia.

E così, scherzosamente, dopo le “versioni Panizza” alleggerite nell’orchestrazione, abbiamo questa “versione Ciampa” che, visti i risultati, possiamo definire stupefacente, anzi miracolosa. Difficilmente dall’orchestra, la valida Filarmonica di Gran Canaria in questo caso, si sentono tanti colori e sfumature, cura per il dettaglio da far sembrare “nuova” un’opera che il sottoscritto ha frequentato in lungo e in largo collezionando le più illustri interpreti degli ultimi 40 anni: dalla Caballe’ alla Freni, dalla Kabaivanska alla Cedolins … e qui mi fermo perché ‘l’elenco si fa lungo. Nonostante i tagli abbiano messo a repentaglio la drammaturgia in più punti, va detto che musicalmente la fluidità degli atti è seguita con passaggi perfetti, senza che si notasse lo stacco e, soprattutto, l’assenza di intere scene. Momento magico, ovviamente, l’interludio sinfonico che precede nel secondo atto la sfida delle due donne; sostegno ideale del canto che, anzi, è stato stimolato a cercare vigore, ma soprattutto il phatos che ha reso tangibile l’emozione. Personalmente non ho memoria di un “Poveri fiori” così intenso.

Qui, però, scende in campo la protagonista, Maria Jose’ Siri, debuttante la parte che riprenderà (si spera con pubblico) alla prossima edizione del Maggio Musicale Fiorentino. Una presa di ruolo felicissima: che la Siri sia una cantante dotata di voce pregevole per timbro e tecnica è noto, che l’assunzione immediata (dati i tempi e le condizioni in generale in cui si produce uno spettacolo in queste latitudini) fosse così imponente dal punto di vista interpretativo è stata una relativa sorpresa. Adriana, proprio per quel mix di meta teatro che rappresenta la Diva che interpreta sè stessa, un po’ come Tosca ma anche di più, si presta a scivolare nel kitsch, nella recitazione alla “Francesca Bertini”, per intenderci, aggrappandosi alle tende. Nulla di tutto ciò. Facendo fede al motto intonato da Michonnet  “Men sincera è la stessa verità”, la Siri si è dimostrata superlativa già dal suo ingresso, bissato dopo un lungo e frenetico applauso: “Io son l’umile ancella”. Va sottolineato che, fortunatamente, la sua parte è stata eseguita quasi integralmente e dunque si è potuta apprezzare tanto nel duettino con Michonnet “Ah se potessi anch’io!” come nel successivo, struggente duetto con Maurizio, quello della “Dolcissima effige” per intenderci. Poi nel secondo atto, di nuovo con Maurizio “è dunque vero, il gran Maurizio voi” e quindi nella scena della diffida con la Principessa di Bouillon. Superata con estrema credibilità la scena del richiamo di Fedra, laddove intelligentemente ha dosato canto e recitazione con un vigore drammatico efficacissimo, tutto il quarto atto è stato da manuale. Ai citati “Poveri fiori” è seguito il finale davvero emozionante con un “Melpomene son io!” da brivido. In una parola: bravissima. L’appuntamento fiorentino pare dunque irrinunciabile.

Il resto del cast è parso assolutamente all’altezza. Iniziando dal vigoroso e generoso Maurizio del tenore Sergio Escobar, che ha retto benissimo la perfida scrittura che lo vede costantemente impegnato sul “passaggio” e che scende spesso in zona grave. Interprete focoso e innamorato di grande effetto. Bene pure la Bouillon del mezzosoprano Silvia Tro Santafe’ che a dispetto della figura minuta è riuscita a ritagliarsi una interpretazione decisa e tagliente, con una voce opportunamente ampia su tutto il registro e con una linea di canto esemplare. Bella sorpresa il giovanissimo baritono koreano Joung Jun Park, dalla voce molto importante e, seppure alle prime sortite in palcoscenico, sciolto e musicale. Fortemente penalizzati dai tagli il pur bravo Abate del tenore Francisco Corujo, il basso In Sung Sim, Principe di Bouillon dalla voce molto interessante, ed i Soci della Comedie, Magdalena Padilla, Jouvenot, Andrea Gens, Dangeville, Fernando Campero, Quinault e Ivan Figueira, Poisson. Il Coro ACO, ridotto a quattro elementi nel terzo atto e rigorosamente  “mascherinato”, è stato istruito come sempre da Olga Santana.

Rimane da dire dello spettacolo, prodotto in loco sempre complice il covid: il triestino Giulio Ciabatti ha pure lui fatto miracoli per cercare di tenere in piedi quella che correva il rischio di sembrare un’abbondante selezione in forma semi scenica. Poco attrezzo, proiezioni adeguate, ambientazione ai tempi della “prima” assoluta, 1902 al Teatro Lirico di Milano, e un buon dosaggio delle luci. Di più non si poteva pretendere laddove non c’era nemmeno la possibilità di garantire uscite ed entrate da porte diverse. Anche in questo caso gli si deve essere grati e riconoscere quella intraprendente iniziativa che ci rende famosi, noi italiani, nel mondo: quasi sempre in grado di cadere in piedi anche nelle situazioni più avverse.

Andrea Merli

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