REUS – Catalogna: Tosca, 9 marzo 2021

REUS – Catalogna: Tosca, 9 marzo 2021

TOSCA – Giacomo Puccini

opera lirica in tre atti di Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica

La prima rappresentazione si tenne a Roma, al Teatro Costanzi, il 14 gennaio 1900

 

Direttore d’Orchestra Sergi Roca

Regia Carles Ortiz

 

Personaggi e Interpreti:

  • Floria Tosca Carmen Solís
  • Spoletta Joan Garcia Gomà
  • Mario Cavaradossi Enrique Ferrer
  • un Pastore Susana García
  • Il Barone Scarpia Luís Cansino
  • Sciarrone Quim Cornet
  • Cesare Angelotti Alejandro Baliñas
  • un Carceriere Fabián Reynolds
  • il Sagrestano Pau Armengol

 

Scene Jordi Galobart

Costumi AAOS

Luci Nani Valls

Direttore del Coro Daniel Gil de Tejada

Coro Amics de l’Òpera de Sabadell

Orquestra Simfònica del Vallès

 

Teatre Furtuny, Circuito catalano d’Opera AAOS, 9 marzo 2021


La sostanziale differenza tra l’Italia e Spagna, in particolare qui l’autonoma Catalogna, nell’affrontare la pandemia del Covid è stata quella di non paralizzare sempre e comunque l’attività teatrale. Una cosa che nel Bel (speriamo ancora) Paese non si riesce a capire è che la cultura e l’arte fanno parte della vita dell’essere umano, ne più e ne meno dell’aria che respiriamo, dell’acqua che beviamo e del cibo che ingeriamo. Diciamo che sono il nutrimento dello spirito e che mantengono vivo, in chi ce l’ha funzionante ovviamente, il cervello, assieme ai sensi dell’udito e della vista non meno importanti degli altri.

Lo streaming, il film-opera, il virtuale che è sempre meno virtuoso, sono situazioni contingenti, che per fortuna ci hanno aiutato a sopportare il confinamento e l’isolamento, ma che da soli non bastano e, soprattutto, hanno saturato il possibile mercato e l’auditorio in generale. È anche chiaro che una situazione che ci ha colti alla sprovvista e che potrebbe ripetersi, purtroppo, ha stimolato l’inventiva umana, ha potenziato mezzi di comunicazione, i social per primi, ma l’uomo ha l’esigenza di ritrovarsi, di confrontarsi di vivere socialmente la propria esistenza.

Qui, in provincia – tale è il tarraconense – dove i problemi sono gli stessi che si vivono in Italia e nel resto d’Europa, dove le vaccinazioni arrivano, come in Italia, col contagocce, la vita continua inarrestabile e dunque l’opera si fa dal vivo, con tutte le precauzioni del caso per artisti e pubblico, per una capienza del 50% in sala e, se in gruppo familiare e di amici, anche con quattro persone (come nel mio caso) in un palco. Del resto le unità di terapia intensiva non si sono mai riempite per colpa con del pubblico che in teatro mantiene la mascherina, sotto il controllo di solerti quanto gentili mascherine a Reus pronte a redarguirti amabilmente se anche solo la tenevi sotto il naso, non parla, non mangia, non beve, non fuma come succede invece per strada ed anche in certi locali abilitati all’uopo.

E veniamo al dunque: per il sottoscritto si e’ trattato del “debutto” nello splendido Teatre Fortuny (il famoso pittore era oriundo del Paese) di Reus, un teatro all’italiana elegante, creato nell’Ottocento ma più volte rimodernato e che mantiene intatto il suo fascino coi palchi a balconata, cioè aperti, ed è pure abbastanza capiente salvo avere, in effetti, un assai piccolo golfo mistico e dunque alcuni strumenti, vuoi anche per il distanziamento necessario, hanno trovato posto nei palchi di proscenio. La città di Reus, “rivale” della vicina Tarragona la Tarraco dei romani il capoluogo della provincia, è piuttosto importante; supera i 300.000 abitanti e ospita pure l’aeroporto regionale. Una città dedita all’industria da tempi lontani, che ha dato i natali a molti artisti, oltre al Mariano Fortuny a cui è nominato il teatro, a Gaudi e dico niente. Il centro, dove ha sede il teatro ed e’ quasi tutto pedonale, presenta bellissimi palazzi “modernisti” – il liberty catalano – tra cui quello fantasioso di Puig e Cadafalch, a testimonio dell’opulenza, ma anche della lungimiranza di una società borghese progressista e illuminata.

Questa Tosca, infine, ha preso il via a Sabadell, città satellite di Barcellona, dove ha sede la AAOS (Asociacio’ d’Amics de l’Opera de Sabadell) lo scorso 24 febbraio e, dopo tre recite nel locale Teatre La Farandula, è stata portata in trasferta al Teatro Kursal di Manresa, all’Auditorio di San Cugat del Valles, al Teatro Auditori di Granollers, e dopo Reus si potra’ vedere a Viladecans, al Palalau de la Musica Catalana di Barcellona, al Teatre Municipal di Girona ed ancora al Teatre de la Llotja di Lleida. Questa meritoria istituzione, giunta al suo 39esimo anno di attività, si deve alla carismatica presenza e ferrea volontà della sua fondatrice, il soprano Mirna Lacambra (che ebbi modo di sentire quale Leonora nel Trovatore al Gran Teatre del Liceu, col tenore Pedro Lavirgen, il baritono Dino Dondi ed il mezzosoprano Zoe Papadakis, negli ormai remoti anni Sessanta dello scorso secolo) Maestra e talent scout cui e’ pure intitolato un prestigioso concorso di canto lirico.

Partiamo dal presupposto che la contingenza della pandemia ha obbligato alla scelta della conosciuta “versione Panizza” che riduce notevolmente le dimensioni dell’orchestra, il che non ha influito nella qualità del risultato grazie anche al professionale impegno della ben preparata e lodevole Orquesta Sinfonica del Valles – tra cui alcuni preziosi solisti, ad esempio il corno apprezzatissimo durante il “risveglio di Roma” che precede il terzo atto – guidata dal valente e sicuro Maestro Sergi Roca, il quale può vantare, a dispetto della giovane età un notevole curriculum in Germania e nei Paesi dell’Est Europa. Ha sorpreso la tenuta ed il gesto, che dal palco 14 del secondo ordine si poteva seguire con facilità, chiaro e, in particolare, la cura con cui ha seguito il palcoscenico, sostenendo il canto e respirando con i cantanti. Bene pure il coro, ridotto ovviamente anche egli di numero ma senza percio rinunciare alle voci bianche nella scena col Sagrestano del primo atto, “condannato”, come del resto la comparseria, all’uso della mascherina, e’ stato ben istruito da Daniel Gil de Tejada.

Ottimo il cast, collaudato e ben amalgamato in una esecuzione che ha elettrizzato il pubblico, molto vario e con molte facce giovani, va sottolineato, il quale ha decretato alla fine un successo trionfale, sottolineando con frequenti applausi a scena aperta il suo compiacimento. Iniziando dal sonoro, ma non caricaturale Carceriere del basso Fabian Reynolds e proseguendo con l’intonatissimo Pastorello del soprano Susana Garcia, e con il preciso Sciarrone del baritono Quim Cornet.

Ottimo Spoletta, dalla proiezione e qualità vocale che fanno pensare a ruoli di maggior impegno, insinuante e anche ironico il tenore Joan Garcia Coma’, divertente ed assai ben cantato il Sagrestano dal baritono Pau Armengol, che si è pure esibito nel suono della tirata di tabacco dalla “tabacchiera anatomica” della mano (dettaglio, ricordiamoci, che c’e’ nella musica!) e gratissima impressione quella che ha lasciato il basso Alejandro Balinas nel breve, ma esposto ruolo di Cesare Angelotti, eseguito con grande autorità vocale, grazie al bel colore di autentico basso ed alla ricchezza di armonici.

Luis Cansino è un baritono in proficua carriera ormai da anni, ha avuto modo di farsi conoscere anche in Italia: io tra l’altro gli ascoltai il Rigoletto a Como e il Dulcamara a Sassari. Attivo sia nel campo della Zarzuela che nell’opera – fu Barnaba nell’ultima Gioconda al Gran Teatre del Liceu- ha qui composto uno Scarpia ideale, sia per il bel colore brunito e scuro della voce, che per altro si destreggia assai bene in acuto, che per l’interpretazione in cui ha messo in evidenza più che la crudeltà del capo della polizia, che comunque deve ingannare la disgraziata protagonista, la lascivia e, addirittura, il perverso feticismo del nobile Barone.

Nelle sue sgrinfie sono caduti prima il volterriano e rivoluzionario Mario Cavaradossi, qui lo squillante ed aitante tenore Enrique Ferrer, il cui vibrato non ha influito nella resa del personaggio con tocchi di eroismo e squillo (ben piazzati “La vita mi costasse” nel primo atto e “Vittoria! Vittoria” nel secondo, per esempio) e con un lirismo notevole tanto nei duetti con Tosca, quanto nel toccante “Addio alla vita” giustamente festeggiatissimo dal pubblico.

Quindi Floria Tosca, il soprano Carmen Solis, pure lei di solida carriera, specie in Spagna. Una “diva” cosciente della propria condizione, e “melodrammatica” quel tanto che esige, specie nel secondo atto, la parte. Ma anche donna fremente, innamorata e pure decisa nel vendicare i torti fatti all’amato. Dunque irruente nell’ingresso in chiesa, struggente in un “Vissi d’arte” cantato quasi tutto di schiena al pubblico riflettendo la propria immagine in un grande specchio stile impero, ed infine esultante nel duetto finale, nel cui incipit ha piazzato una “lama” di tutto rispetto e di impressionante tenuta. Il pubblico le ha riservato ovazioni da stadio!

Rimane da dire dello spettacolo: siamo nel solco della più gloriosa tradizione ed in circuito regionale ciò mi pare la scelta più saggia. Il regista Carles Ortiz, lo scenografo Jordi Galobart ed il datore di luci Nani Valls, hanno proposto Sant’Andrea della Valle dominato da importanti lesene di marmo e visto dalla cappella laterale dove il pittore su un palco, dietro un telo, copriva il ritratto della Maddalena. Elegante e funzionale la scena di Palazzo Farnese e secondo didascalia gli spalti merlati di Castel Sant’Angelo. Non di meno, diversi guizzi hanno fatto intuire un bel lavoro registico: il più significativo, a parer mio, quello su Cavaradossi che sospetta l’estrema crudeltà di Scarpia (“Scarpia che cede?” appunto) che forse conosce la fine fatta dal povero Palmieri e, dunque, sembra quasi rincuorare e consolare la sua bella Floria in un finale che, così, risulta ancora più straziante.

Andrea Merli

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