BARCELLONA: Il trovatore – Giuseppe Verdi, 28 ottobre 2022

BARCELLONA: Il trovatore – Giuseppe Verdi, 28 ottobre 2022

IL TROVATORE

Giuseppe Verdi

 

Direttore Riccardo Frizza
Regista teatrale Àlex Ollé

Personaggi e Interpreti:

  • Conte di Luna Angelo Òdena
  • Leonora Hibla Gerzmava
  • Azucena Judit Kutasi
  • Manrico Yonghoon Lee
  • Ferrando Krzysztof Baczyk
  • Ines Maria Zapata
  • Ruiz Antoni Lliteres

Scenografia Alfonso Flores
Progettazione di costumi Lluc Castells
Assistente alla progettazione dei costumi José Novoa

CoproduzioneOpéra National de Paris e Opera Nazionale Olandese (Amsterdam)
Coro del Gran Teatre del Liceu (Pablo Assante, direttore)
Orchestra Sinfonica del Gran Teatre del Liceu

Gran Teatre del Liceu, 28 ottobre 2022


Capita sempre più spesso che per difendere l’indifendibile, e cioè allestimenti senza capo né coda ché parlare di Regie-Theater gli si fa un torto… al Regie-Theater ben inteso, si prenda di mira il libretto, la trama e addirittura la musica, elementi che senza le idee “illuminanti” di regista e drammaturgo (figura ormai imprescindibile nei teatri che contano) potrebbero addirittura rivelarsi un “insulto alla ragione”. Definizione letta recentemente nella recensione de Il Trovatore, ora in scena al Gran Teatre del Liceu di Barcellona, e riferita al “povero” Antonio García Gutiérrez autore de “Il trovador”, dramma che nel 1836 segnò uno degli apici del teatro romantico spagnolo e che servì da fonte ispiratrice a Cammarano, poi a Bardare, buon ultimo a Verdi, il quale non contento di questo “insulto” mise in musica pure il Simon Boccanegra, sempre di García Gutiérrez.

Come ha risolto Alex Ollé, scheggia impazzita della Fura dels Baus e genius loci, l’originale e scapigliata azione romantica? Posticipandola alla Prima Guerra mondiale, con tutte le incongruenze del caso, che fanno a pugni col testo iniziando dal canto del Trovatore, passando dai duelli di cappa e spada alle sparatorie, dal rogo alle maschere antigas per le suore in convento, alla prova di abiti da sera a cui si presta Leonora nella prima scena, agli zingari in cimitero, ai soldati bloccati in trincea  durante la marcia del coro “Or co’ dardi ma tra poco” e poi “Squilli, echeggi la tromba guerriera” (facile tenerli tutti fermi o, in altri momenti, fare andare quelli di sinistra a destra e viceversa… se questa è regia!), far sparare De Luna una rivoltellata a Manrico e quindi ad Azucena, ed altre amenità spacciate per intenzioni pacifiste. Per non parlare di Ferrando che sequestra Leonora alla fine del secondo atto e delle zingare sputacchianti e schiaffeggiate nel primo quadro. Penso che possa bastare: alla “prima” del 27 ottobre, non sono mancati i “buh” diretti ai fautori dello spettacolo i quali, ben inteso, ne fanno un merito come con intimo disprezzo per il recalcitrante “melomane medio”, una specie che lungi dall’estinguersi a quanto pare si riproduce e si produce sempre più frequentemente con sonore contestazioni.

In cotanta miseria si difende come può la parte musicale: qui ci si riferisce al secondo cast, alternativo più che secondo, salutato alla sua “prima”, la sera del 28 ottobre, con un successo trionfale. Innanzitutto la bella prova dell’orchestra e del coro, questo sotto la guida del Maestro Pablo Assante, ubbidienti alla sicura e decisa bacchetta di Riccardo Frizza, il quale procede ad una lettura ben sostenuta nel ritmo, con agogiche studiate a puntino e servendo ai solisti un sostegno ideale. Peccato i tagli “di tradizione” – strette e ripresa cabalette – ma in questo contesto, dove il teatro ed il disco non son la stessa cosa, ci sta pure.

Sugli scudi la solida prestazione del baritono di Tarragona, di casa al Liceu, Ángel Ódena, Conte di Luna. Voce solida, emessa a dovere e con ricchezza di armonici, colore baritonale DOC, senza problemi nell’estensione e pure efficace fraseggiatore; il suo personaggio, del resto, si aveva avuto modo di apprezzarlo anche recentemente a Palma di Mallorca e funziona assai bene anche sul lato interpretativo, nonostante la penalizzazione della regia e dei costumi (si presenta in borghese al primo incontro con Leonora). Bella prova e successo meritatissimo. Idem la altrettanto apprezzabile Azucena del mezzosoprano rumeno Judit Kutasi, di cui ricordiamo per esempio l’ottima Preziosilla nel circuito emiliano. Voce completa su tutta la gamma, ha pure osato la puntatura al Do acuto sulla cadenza del duetto con Manrico nel secondo atto, riuscendo per altro a dare un’immagine credibile, sia scenicamente che vocalmente, della terribile madre verdiana.

Il soprano abkhazo-russo Hibla Gerzmava, Leonora, possiede una voce notevolissima per volume e pure di bel colore, sebbene tenda ad intubare alcuni suoni nel centro. L’acuto, però, oltre ad essere prossimo al grido, tende a sbiancarsi e non è esente di un certo vibrato. Comunque ha creato un bel personaggio, partecipe e appassionato, riuscendo benissimo più che nelle singole arie, negli assieme e in tutto il finale dell’opera.

Manrico ha avuto come interprete il tenore koreano Yonghoon Lee; si alterna al “nostro” Vittorio Grigòlo del quale, oltre alla ricchezza di armonici, ha l’esagitazione perenne in scena. Pur avendo eseguito in tono la fatidica “pira” ed avendo profuso a piene mani, anzi a squarciagola, acuti e portamenti, il suo fraseggio, l’accento e, buona ultima, una dizione sui generis, personalmente l’ho trovato… insopportabile. Ora capisco che ormai le voci vanno un tanto al chilo e che, specie all’estero con un pubblico assetato di prodezze in acuto, causi sensazione e si guadagni, oltre che ad un lauto cachet, trionfi e Standing Ovation. Personalmente spero di non ritrovarmelo più in scena, ma credo sia una vana speranza.

Il Ferrando del basso polacco Krzysztof Baczyk passa senza colpo ferire, bene le parti di fianco: la Ines del soprano Maria Zapata, il Ruiz del tenore Antoni Lliteres. Vecchio Zingaro ed Usato messo non hanno goduto di nome in cartello ed è da pensare fossero prestati dalle file del coro: ottima scelta.

Andrea Merli

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