DANZICA: Don Bucefalo – Antonio Cagnoni, 15 febbraio 2020

DANZICA: Don Bucefalo – Antonio Cagnoni, 15 febbraio 2020

DON BUCEFALO 

Antonio Cagnoni

 

Direttore Massimiliano Caldi

Regia Paweł Szkotak

 

Personaggi e Interpreti:

  • Don Bucefalo Artur Janda
  • Carlino Tomasz Tracz
  • Rugiada Ewelina Osowska
  • Agata Gabriela Gołaszewska
  • Gianetta Catherine Nowosad
  • Don Marco Bomb Łukasz Motkowicz
  • Conte Belprato Alexander Kunach

 

Scene Damian Styrna

Costumi Anna Chadaj

Proiezioni Elia Stirna

Luci Piotr Miszkiewicz

Direttore del coro Agnieszka Długołęcka

 

 

Teatro dell’Opera Baltica, 15 febbraio 2020


Si riaccendono le luci della ribalta per Don Bucefalo, capolavoro di Antonio Cagnoni, nientemeno che al Teatro dell’Opera Baltica di Danzica. La decisione l’hanno presa il direttore artistico Romuald Wicza-Pokojski e quello musicale José Maria Florencio, ma il merito del successo dell’impresa spetta al mentore di Cagnoni, il Maestro Massimiliano Caldi che vanta, oltre alla cariera internazionale, l‘indubbio ed insolito primato di essere colui che mantiene alta la memoria del compositore di Godiasco, comune presso a Voghera nell‘Oltrepò pavese, avendone diretto la “prima“ in tempi moderni di Don Bucefalo nell‘estate del 2008 al Festival della Valle d‘Itria di Martina Franca, chiamato l‘anno successivo dal compianto Sergio Segalini, direttore del Festival, per dare vita ad un altro lavoro della maturità di Cagnoni: Re Lear.

Curioso destino quello del promettente e dotato studente del Conservatorio di Milano che nel 1847, a soli 19 anni, conquistò un‘immediata e consolidata fama almeno per tutto il resto del secolo con quella che fu l‘opera della sua rivelazione. Il libretto apprestato da Callisto Bassi è un felice rimasticamento di quelle Cantatrici villane che Fioravanti aveva musicato una cinquantina di anni prima. Cagnoni riportò nuova linfa al genere comico e buffo, che ancora in molti credono esaurito con il Don Pasquale donizettiano, a cui per altro Don Bucefalo porta doveroso omaggio. Un genere che, escluso dalle scene dei teatri maggiori, dove imperava Verdi, ebbe una consistente fioritura ed ottenne il consenso del pubblico magari più ingenuo, in cerca di divertimento ed evasione. Si pensi alle opere dei fratelli Ricci, per tutte Crispino e la Comare, di Pedrotti, Tutti in maschera per citare quelle riprese in tempi relativamente recenti, come a Martina Franca Don Checco di Nicola De Giosa.

L’accoglienza festosa che ha riservato il pubblico di Danzica per le complessive sei recite in programma ne conferma la vivacità del testo e l’originalità della musica, che è in debito con Rossini, Bellini e Donizetti, ma che presenta delle curiose anticipazioni di Rigoletto e, addirittura, dell’Aida nella marcia trionfale del terzo atto: del resto i tempi (e l’editore Ricordi) erano gli stessi. Non a caso per la composizione della Messa di Requiem per Rossini, che doveva essere un tributo di tutti i più rilevanti compositori italiani del tempo al Cigno di Pesaro, Verdi richiese la partecipazione di Cagnoni che nel 1869 ne compose il n° 3 “Quid sum miser” per soprano e contralto.

Don Bucefalo conobbe un franco successo a Martina Franca 12 anni fa; ora, spiace ammetterlo, siamo costretti ad un viaggio in Polonia, nella pur bellissima Danzica, per poterlo riascoltare. E ciò la dice lunga sulla lungimiranza delle nostre fondazioni liriche. Che trascurano pure un direttore di vaglia qual’è Caldi, il quale dopo una gavetta proficua e lo studio di un ampio repertorio sinfonico ed operistico, a Danzica è di casa, essendo da 12 anni il direttore principale della locale orchestra Filarmonica e che ora, grazie a Cagnoni, fa il suo debutto all’Opera Baltica ottenendo un meritato successo personale sottolineato da numerose chiamate alla ribalta.

Ben preparato e musicalmente perfetto il cast della recita cui si è potuto assistere il 15 febbraio scorso, e che era il “cast alternativo”. Escluso il protagonista, il giovane e brillante basso Artur Janda dalla voce e dalla verve scenica invero notevoli, i cambi riguardavano il soprano Ewelina Osowska, nella parte di Rosa, la presunta vedovella aspirante cantatrice ambita da tutti, salvo poi ritornare nelle braccia del redivivo marito; questi, Carlino, era il pur bravo tenore Tomasz Tracz e così il baritono Lukasz Motkowicz impersonava con grande efficacia vocale e scenica il buffo Don Marco Bomba.

Ripetere i fasti del leggendario buffo Alessandro Bottero, che ne fece un personale cavallo di battaglia per circa 30 anni nel corso della seconda metà dell’ottocento, non è affare da poco, ma Janda c’è riuscito alla grande, capace pure di accompagnarsi al cembalo durante la “prova della sinfonia” del secondo atto, un numero semplicemente geniale che, ricalcando il modello del Maestro di Cappella di Cimarosa ne amplifica l’invenzione musicale e scenica: Don Bucefalo invoca dal cielo la “fantasia” che si materializza registicamente in una procace ed alata fanciulla. Così il soprano Osowska ha dato prova di eccellente musicalità, estensione notevole e ottime agilità nella parte di Rosa. Il Conte Belprato, che per ottenere le grazie di Rosa prende lezioni di canto da Don Bucefalo, è stato il valente tenore Aleksander Kunach, mentre le due contadinelle, che la regia trasforma in procaci infermiere di un’ipotetica “Clinica Paradiso“, hanno trovato la fresca e promettente vocalità del giovane soprano Gabriela Golaszewska, Agata, deliziosa nella sua aria del secondo atto, ed il mezzosoprano di bella presenza e bel colore vocale Katarzyna Nowosad, Giannetta.

Lo spettacolo, un’autentica follia di “teatro di regia“, ben si è sposato con la girandola di musiche e di situazioni sceniche. Si è passati da un quadro alpino alle gondole del Canal Grande veneziano, in un tripudio di “italianità” che all’estero fa molto “sole, pizza e amore”. Impossibile enumerare le numerose gags, alcune veramente irresistibili, a cui ha preso pure parte il coro, assai ben preparato e molto disponibile all’azione scenica, che ha avuto il suo apice quando si è giunti al momento metateatrale dell‘opera, ovvero all‘allestimento del metastasiano Ezio, totalmente improbabile nel trionfo di pepli e di corazze dorate. Regia firmata da Pawel Szkotak, scene di Damian Styrna, proiezioni multimediali di Eliasz Styrna, costumi di Anna Chadaj. Devo ammettere che rispetto all’edizione di Martina Franca, questa è stata molto più vivace e divertente: non sarebbe una cattiva idea importarla in Italia e consentire a Cagnoni, per polso e bacchetta di Massimiliano Caldi, di tornare in Patria.

Andrea Merli

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