TEATRO ALLA SCALA: Il trovatore – Giuseppe Verdi, 18 febbraio 2020

TEATRO ALLA SCALA: Il trovatore – Giuseppe Verdi, 18 febbraio 2020

IL TROVATORE

Giuseppe Verdi

 

Direttore Nicola Luisotti
Regia e scene Alvis Hermanis

Personaggi e Interpreti:

  • Il conte di Luna  Massimo Cavalletti
  • Leonora Liudmyla Monastyrska
  • Azucena Violeta Urmana
  • Manrico Francesco Meli
  • Ferrando Gianluca Buratto
  • Ines Caterina Piva*
  • Ruiz Taras Prysiazhniuk*
  • Zingaro Giorgi Lomiseli*
  • Messo Hun Kim*

*Solisti dell’Accademia Teatro alla Scala

Costumi Eva Dessecker
Luci Gleb Filshtinsky
Co-scenografa Uta Gruber-Ballehr
Video Designer Ineta Sipunova

 

Teatro alla Scala, 18 febbraio 2020


 

Torna alla Scala dopo 6 anni di assenza Il trovatore. Si sarebbe potuto riprendere lo spettacolo firmato da Hugo De Ana per l’inaugurazione del 2000, ripreso una sola volta nel 2014. Ma no, ultimo “pedaggio” della gestione uscente, ci siamo sorbiti un allestimento proveniente da Salisburgo, spacciato per nuova produzione, firmato da Alvis Hermanis per la regia, che già al suo apparire in terra austriaca aveva lasciato perplessi pubblico e critica. Or bene, se il pubblico del turno “O” in assenza dei fautori della parte visiva si è dimostrato indifferente a quanto passava la scena, non così alla “prima” in cui è stato – giustamente – contestatissimo dal Loggione alla Platea passando per i Palchi. Non ci si attardi oltre a descrivere la trovata (ormai vecchia ed abusata) di ambientare il tutto in un museo. La sensazione è stata che si navigasse contro musica e trama, con soluzioni grottesche ed irritanti. Un flop annunciato e come tale evitabile.

Meglio, con alcuni distinguo, la parte musicale. Il Maestro Nicola Luisotti ha avuto il merito di eseguire una versione quasi integrale, se si esclude la ripresa della cabaletta di Leonora “Tu vedrai che amore in terra” nel ultimo atto. E lì finisce il bello: alla lettura fragorosa e bandistica nei momenti di concitazione è seguito lo slentamento di alcuni tempi e la mancanza di un fraseggio più vario nella ripresa delle strette, altrimenti tanto vale procedere ai tagli. L’orchestra, che pure domina Verdi e quest’opera conosce bene, è parsa ai minimi storici pur nell’esuberanza del suono, e così il coro, sempre ben istruito da Bruno Casoni, ha dovuto più volte gridare per superare il muro sonoro procedente dalla buca.

Nel cast ha primeggiato il protagonista, Francesco Meli, che ci si vanta di seguire dal suo primo Manrico veneziano di ormi qualche anno fa. Certo, abbassa di tono l’”Allarmi” e il “teco” della “pira”, ma mi ricordo perfettamente la delusione che mi provocò nientemeno che Carlo Bergonzi quando fece lo stesso a Trieste nel 1970. Una nota, o meglio due, non inficiano sicuramente una prestazione da tenere sugli scudi per varietà d’accento, fraseggio infuocato e bella tenuta vocale complessiva: il suo “ sì ben mio”, centellinato con dovizia di mezze voci, gli è valso il più caloroso applauso a scena aperta della serata. Massimo Cavalletti, Conte di Luna, procede a volte a ritmo alterno, specie alle “prime” dove un eccesso di adrenalina lo porta spesso a “darci dentro” nel pur stupendo organo vocale, dal colore autenticamente baritonale e facile all’acuto. Alla recita del 18 ha siglato un “Balen del suo sorriso” cantato con trasporto e dominio assoluti ed ha retto benissimo nel resto dell’opera, primeggiando nel duetto con Leonora del quarto atto. Questa era Liudmyla Monastyrska, soprano russo più volte ascoltato pure in Scala. Il suo momento magico lo ha trovato nell’aria del quarto atto, “D’amor sull’ali rosee”, eseguito con soavità ed ottima tenuta dei fiati, messa a dura prova dalla direzione d’orchestra. Non di meno, abituati alle sue precedenti prestazioni, il suono è apparso in più punti affievolito, specie in zona centrale, quasi che accennasse la parte, saettando comunque in acuto.

Anche Violeta Urmana, Azucena nel 2000 giova ricordarlo, paga il tributo di essere passata per un lungo periodo nella corda sopranile. Musicalmente ineccepibile, il timbro si è schiarito al punto da essere confuso e spesso più chiaro di quello di Leonora.

Gianluca Buratto ha dato vita ad un ferrigno Ferrando, esibendo tanta voce; benissimo nei ruoli di fianco gli allievi dell’Accademia della Scala: Caterina Piva, Ines, Taras Prysiazhniuk, Ruiz, Giorgio Lomiseli, un vecchio zingaro. L’usato messo era Hun Kim.

Andrea Merli

Print Friendly, PDF & Email
Share this Post

Leave a Comment