NOVARA: Donna di veleni – Marco Podda, 14 febbraio 2020

NOVARA: Donna di veleni – Marco Podda, 14 febbraio 2020

DONNA DI VELENI

musica di Marco Podda
libretto di Emilio Jona

direttore Vittorio Parisi
regia Alberto Jona

Personaggi e Interpreti:

  • Maria Júlia Farrés-Llongueras
  • Ruggero Danilo Formaggia
  • Donna di Veleni Paoletta Marrocu
  • Amante Matteo Mezzaro

 

immaginario visivo Cora De Maria e Jenaro Meléndrez Chas
scenografia Alice Delorenzi
sagome originali Cora De Maria

Paesani, giovani, ragazzi Solisti dell’Accademia AMO del Teatro Coccia
Ombristi Alice De Bacco, Anna Guazzotti, Pierre Jacquemin

Dèdalo Ensemble
Coro San Gregorio Magno
Coro delle voci bianche del Teatro Coccia

Prima esecuzione assoluta
Produzione Fondazione Teatro Coccia in collaborazione con Controluce Teatro d’Ombre

Con il sostegno di Clinians

DONNA DI VELENI – Novità assoluta di Marco Podda

Teatro Coccia, 14 febbraio 2020


E dunque, è possibile scrivere un’opera nuova?” La domanda, retorica ovviamente, me l’ha porta Marco Taralli, compositore vivente (vivissimo, oserei dire) né più e nemmeno di Marco Podda, foniatra triestino che all’attività medica alterna con successo quella di compositore e che ha pure all’attivo lo studio del canto (altrimenti che foniatra sarebbe? viene da aggiungere). Retorica, sì, in quanto l’esito trionfale dell’atto unico, diviso in due parti senza soluzione di continuità, su libretto di Emilio Jona, Donna di veleni non lascia adito a dubbi. Un bel parterre di critica nazionale, è vero, ma ad accogliere l’evento, di cui può andare orgogliosa Corinne Baroni direttrice del Teatro Coccia, anche un folto pubblico, inconsuetamente numeroso per un’opera fuori repertorio, anzi nuova di pacca che nasce da una specifica commissione agli Autori.

La composizione” dichiara Podda nelle Note pubblicate sul programma di sala “di Donna di Veleni è stata rapida e quasi di getto. Sono state utilizzate molte forme e generi musicali differenti mediante riappropriazione della loro forza di comunicazione metalinguistica”. Una musica dichiaratamente e distintamente “contaminata”, dove si possono cogliere echi che vanno dalla polifonia alle più elaborate volute cromatiche, quasi straussiane (il pianoforte in buca contribuisce ad evocarne lo stile) come ha giustamente notato Michele Suozzo nel breve ascolto trasmesso in Barcaccia martedì scorso. “Il progetto di scrittura” continua Podda “è stato concepito per una narrazione sonora con frequenti cambi di funzione emotiva”. Per nostra fortuna una musica che si mantiene in ambito tonale, senza perdersi in onanistici esercizi dove prevale spesso la teoria dei numeri o, peggio, quella dei rumori.

Emilio Jona, dal canto suo, confessa che, inizialmente, l’opera si sarebbe dovuta incentrare su alcune figure di donne siciliane del diciassettesimo secolo, dedite alla trasgressione e al veneficio, ma il materiale fornito da Podda lo ha portato a scrivere una trama del tutto diversa in cui, alla figura centrale della Donna di Veleni si affianca la vicenda di Maria, dal dolente passato di orfana abbandonata alle porte del convento, sposata a forza con maschile tracotanza dal ricco Ruggero. Più in ombra la figura di un Amante, che aspira senza esito all’amore di Maria; viceversa prepotente la presenza del coro che ha la forza e l’incombenza di quello della tragedia greca. La Donna di Veleni, figura a metà tra la stregoneria ed il mito, a cui ricorre tutta la comunità in un misto di riverenza e paura, dispenserà il calice che, a seconda di chi lo beve, offre amore o morte. Ruggero si sacrifica cercando l’amore di Maria, la quale, pur vendicata, si troverà infine svuotata di ogni sentimento. Il richiamo al Tristano è evidente.

Spettacolo di grande suggestione grazie alla calibrata ed efficace regia di Alberto Jona che da anni conduce a Torino la compagnia Controluce Teatro d’Ombre, grazia all’ Immaginario visivo realizzato da Cora De Maria e Jennaro Meléndez Chas, alla scena di Alice Delorenzi. E’ parsa molto adeguata la direzione sul singolo artista, ivi compresi i bravissimi solisti dell’Accademia AMO del Teatro Coccia in parti di fianco, ma molto esposte musicalmente ed ottima la partecipazione del Coro San Gregorio Magno, diretto da Mauro Rolfi, nonché quello delle Voci bianche del Teatro Coccia istruite da Paolo Beretta e da Alberto Veggiotti.

Sul podio, a dirigere l’orchestra Dèdalo Ensemble, il Maestro Vittorio Parisi che si è districato benissimo nelle evoluzioni di una prima lettura tutt’altro che semplice. Ottimo, infine, il cast. Iniziando dal tenore Matteo Mezzaro, nella parte dell’Amante, sorta di irrisolto Turiddu con tanto di cantata fuori scena a inizio dell’opera e quindi ballata finale, attorniato dal coro dei bimbi; voce di bel timbro e anche la meglio trattata nella linea vocale. E’ naturale, più che ovvio, che la scrittura per le voci nelle opere contemporanee non segua la linea del puro Belcanto. Qui la parte di Maria pare, tutto sommato, la meno ostica tra quelle dei tre protagonisti principali. Julia Farrés Llongueras ne viene a capo onorevolmente, tenendo conto che la tessitura picchia spesso in alto e che il canto deve affrontare un notevole muro orchestrale. Scenicamente immedesimata nel ruolo della donna sopraffatta e trattata come un oggetto, ma anche ferma nella sua sete implacabile di vendetta.

Danilo Formaggia, Ruggero, ci ha confidato che alla prima lettura si è spaventato: una parte da tenore eroico cui sono richiesti improvvisi sbalzi e cambiamenti sul versante squisitamente lirico. La professionalità e la tenuta tenace di questo ottimo artista, gli hanno consentito di reggere agevolmente l’ora e mezza di durata dell’opera.

Un capitolo a parte merita la protagonista, la Donna di Veleni, il soprano Paoletta Marrocu, spinta da Podda ad “esigenze di espressività testuale sia di impervi Si acuti che ad abissi rantolanti sul La grave”. E’ letteralmente esplosa la grinta della Lady verdiana che abita in lei, con una forza che oserei definire “etnica”: scarna e dura, ma anche solare ed affascinante come la sua Isola e con un dominio totale, magnetico, della parte che le calza a pennello e la trasforma in una sorta di “Grande Madre” redentrice e salvifica. Nel bel tempo andato Rossini, Bellini e Donizetti scrivevano pensando alle Colbran, Malibran e Grisi. Oggi la Donna di Veleni senza la Marrocu sarebbe impensabile.

Andrea Merli

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