PARMA: LUISA MILLER – Giuseppe Verdi, 12 ottobre 2019

PARMA: LUISA MILLER – Giuseppe Verdi, 12 ottobre 2019

LUISA MILLER

Melodramma tragico in tre atti di Salvatore Cammarano,
dal dramma Kabale und Liebe di Friedrich Schiller

Musica
GIUSEPPE VERDI
Edizione critica a cura di Jeffrey Kallberg
The University of Chicago Press, Chicago e Casa Ricordi, Milano

 

Maestro concertatore e direttore ROBERTO ABBADO

Regia LEV DODIN

Personaggi Interpreti:

  • Il conte di Walter RICCARDO ZANELLATO
  • Rodolfo AMADI LAGHA
  • Federica MARTINA BELLI
  • Wurm GABRIELE SAGONA
  • Miller FRANCO VASSALLO
  • Luisa FRANCESCA DOTTO
  • Laura VETA PILIPENKO
  • Un contadino FEDERICO VELTRI

 

Scene e Costumi ALEKSANDR BOROVSKIJ

Luci DAMIR ISMAGILOV

Assistente regista DMITRIJ KOŠMIN

Drammaturgia DINA DODINA

ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA

Maestro del coro ALBERTO MALAZZI

 

Chiesa di San Francesco del Prato, 12 ottobre 2019


Destinata a carcere con l’invasione napoleonica e come tale in funzione fino agli anni Settanta dello scorso secolo, ora la Chiesa di San Francesco del Prato è in fase di restauro e verrà presto restituita al culto.

Nel mentre, in un ambiente sovraffollato logicamente da impalcature, si è pensato di trovare un’alternativa al Teatro Farnese, dove i veti sanciti dalle “Belle Arti” e, soprattutto, i limiti di una pessima acustica paiono insormontabili per la corretta esecuzione di un’opera. Non che questa struttura ecclesiastica, sebbene preparata per accogliere il pubblico, nello specifico due tribune tra cui quella destinata alla stampa posta assai lontana dall’abside che fungeva da palcoscenico, rappresenti il luogo ideale, ma diciamo che è stato un esperimento non fallito del tutto: almeno il suono, seppure attenuato dalla distanza, non era distorto dal rimbombo che, solitamente, si produce in spazi analoghi, al Farnese in primis.

Certo uno spazio che non può permettere un’azione scenica degna di tal nome. Ed infatti la regia di Lev Dodin, coadiuvato nella “drammaturgia” dalla moglie Dina Dodina, per le luci da Damir Ismagilov e con l’impianto scenico, si fa per dire in realtà scarso attrezzo, e costumi di Aleksandr Borovskij, poco ha potuto fare e ci si è chiesti se, giunti al passo estremo, non sarebbe stata auspicabile, non dicasi preferibile, eseguite la Luisa Miller al Teatro Regio in forma concertante. Il coro imbalsamato nel supposto “coro” disposto lungo l’abside su tre file di impalcature e con la tunica francescana, grande movimento di mimi e la trovata finale di far morire tutti avvelenati, meno il povero Miller e la Duchessa Federica, al tavolo nuziale.

Interessante e molto la parte musicale: ottima la prova di orchestra e coro, istruito da Alberto Malazzi, del Teatro Comunale di Bologna, dove lo spettacolo verrà ripreso, guidati con buon piglio e sicura professionalità da Roberto Abbado. I colori, la “tinta” verdiana, resi in tutta la loro gamma con un dettaglio orchestrale, per quanto si è potuto apprezzare, notevolissimo e, soprattutto con una guida certa, mai prevaricante del palcoscenico.

Qui abbiamo trovato una protagonista assai lirica, forse un po’ scarsa di polpa e di armonici, ma felice musicalmente e doviziosa nel dare senso alla parola cantata utilizzando filati, mezze voci ed un fraseggio vibrante e partecipe. Col sostegno del direttore, Francesca Dotto ha superato brillantemente il difficile impegno e ci ha ricordato che, a tutti gli effetti e specie per Luisa, qui si anticipa La traviata. Il cantabile del secondo atto e la cabaletta “A brani perfidi” l’hanno vista vincente, ma soprattutto ha commosso nel bellissimo duetto del terzo atto col baritono e poi in tutto il finale. Festeggiatissimo, ed a ragione, Franco Vassallo che ha impersonato un ragguardevole Miller, personaggio che a sua volta precede Rigoletto e che offre sì l’occasione per mettere in mostra le proprie capacità vocali e ancor di più quelle interpretative. Vassallo ha dimostrato di possedere la maturità di interprete che si sposa perfettamente alla vocalità sicura e potente. In quest’opera si raddoppia la figura paterna, tanto cara alla drammaturgia verdiana, e al padre “buono” vi si affianca quello “cattivo”, ché poi è solo ansioso di offrire un futuro di gloria al figlio e anche in questo caso possiamo cogliere il nesso con il Germont che verrà di lì a poco. Qui però la corda è quella di basso cantante e Riccardo Zanellato rientra in quella nobile categoria con una voce di bel timbro scuro, con un fraseggio pertinente che riesce a farlo apparire il personaggio nella sua crudele nobiltà e anche meno antipatico del solito. Wurm rappresenta “l’anima nera” per antonomasia, senza possibilità di recupero e o pentimento: adeguata la prova del basso Gabriele Sagona, tra i giovani emergenti ormai una bella realtà. Indisposta la titolare del ruolo, la parte della duchessa Federica è stata sostenuta, e molto bene, dalla stessa interprete che ha vestito pure i panni di Laura, la fida amica di Luisa: in effetti non coincidono mai in scena. Ottimala prova fornita da Veta Pilipenko, dal bel colore di mezzosoprano, facile nella discesa al grave che la parte impone nel duetto con il tenore e poi nella scena in cui interroga la malcapitata Luisa. Detto del Contadino, qui vestito da frate, interpretato con puntualità da Federico Veltri, rimane per ultimo il Rodolfo del tenore Amadi Lagha, dotato di una voce notevolissima per armonici, bellezza di timbro e squillo. Peccato non sia al servizio di un canto meno stentoreo e, alla fine, monotono, in cui il tentativo di smorzare il suono, quando ci prova, risulta inficiato dall’intonazione periclitante e si spoggia, come si dice in gergo. Detto ciò gli va riconosciuta nella sua rusticità una grande presa sul pubblico che, infatti, gli ha riservato un’accoglienza calorosissima. Applausi molto generosamente distribuiti a tutti i componenti del cast, sicché si può parlare di franco successo.

Andrea Merli

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