PARMA:  I DUE FOSCARI – Giuseppe Verdi, 11 ottobre 2019

PARMA: I DUE FOSCARI – Giuseppe Verdi, 11 ottobre 2019

I DUE FOSCARI

Tragedia lirica in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, da Byron

Musica
GIUSEPPE VERDI
Edizione critica a cura di a cura di Andreas Giger
The University of Chicago Press, Chicago e Casa Ricordi, Milano

 

Maestro concertatore e direttore PAOLO ARRIVABENI

Regia LEO MUSCATO

Personaggi Interpreti:

  • Francesco Foscari VLADIMIR STOYANOV
  • Jacopo Foscari STEFAN POP
  • Lucrezia Contarini MARIA KATZARAVA
  • Jacopo Loredano GIACOMO PRESTIA
  • Barbarigo FRANCESCO MARSIGLIA
  • Pisana ERICA WENMENG GU
  • Fante VASYL SOLODKYY
  • Servo GIANNI DE ANGELIS

 

Scene ANDREA BELLI

Costumi SILVIA AYMONINO

Luci ALESSANDRO VERAZZI

FILARMONICA ARTURO TOSCANINI

ORCHESTRA GIOVANILE DELLA VIA EMILIA

CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA

Maestro del coro MARTINO FAGGIANI

Parma

I DUE FOSCARI – Giuseppe Verdi

Teatro Regio 11 ottobre 2019


A dieci anni di distanza dalla precedente edizione del Festival verdi 2009, torna sulla scena del Teatro Regio un’opera emblematica dei cosiddetti “anni di galera”, rifiutata dal Teatro La Fenice di Venezia vide la luce al Teatro Argentina nel 1844, che pur avendo a detta di Verdi “Una tinta, un colore troppo uniforme dall’inizio alla fine”, rappresenta un bel banco di prova per I due Foscari del titolo, tenore e soprattutto baritono in una delle pagine più significative tra le tante, tutte magnifiche, scritte dal buon Peppino per la corda prediletta, la scrittura tra le più scabrose per il soprano e non risparmia certo le parti di fianco, iniziando da quella del “cattivo” per eccellenza, il basso Loredano.

Di nuovo accattivante la parte musicale, affidata alle solerti cure ad alla eccezionale tenuta orchestrale del Maestro Paolo Arrivabeni che ha insufflato lo spirito e l’ardore necessari alle pagine più quarantottesche, senza tralasciare l’adeguato sostegno al canto e, soprattutto, individuando infallibilmente le tinte fosche del dramma politico e familiare. Lo spettacolo, con la scena praticamente fissa di Andrea Belli, i bei costumi firmati da Silvia Aymonino e le suggestive luci di Alessandro Verazzi, nella regia chiara e precisa di Leo Muscato, ci balza all’epoca della composizione dell’opera, uno stratagemma utile per rifuggire la Venezia da cartolina che si è dimostrato coerentemente in sintonia con lo svolgersi dell’azione e della storia.

Buono, con punte di eccellenza il cast. Iniziando dal vero e proprio “lusso asiatico” della partecipazione nella parte di Jacopo Loredano di Giacomo Prestia, che ha dominato i suoi interventi con salda professionalità, autorevolezza, potenza vocale e pure con un’interpretazione così efficace da rendere appieno il germe di Jago, dalla subdola perfidia e sete di vendetta. La fatidica frase “Se vecchio sei… sii saggio” sibilata al Doge, essendone un chiaro esempio. Vocalmente generoso, intrepido e dolente allo stesso tempo, è piaciuto molto il tenore rumeno Stefan Pop tanto nell’aria iniziale “Dal più remoto esilio”, quanto poi nel resto dell’opera per culminare nella grande scena del terzo atto, con l’accorato addio alla sposa ed ai figli. Festeggiatissimo, infine, il Doge Francesco a cui il baritono bulgaro Vladimir Stoyanov ha offerto un’interpretazione superlativa, grazie ad una tecnica di canto sicura che gli permette di emergere in tutte le dinamiche con la voce morbida, timbrata e facilità in acuto. Il grandioso, ed attesissimo finale lo ha visto superarsi con una esecuzione memorabile, umanamente partecipe del dolore per la perdita dei figli, con un fraseggio e degli accenti coinvolgenti e commoventi.

Detto dell’ottima partecipazione di Erica Wenmeng Gu, la Pisana, del Fante Vasyl Solodvky, del Servo Gianni De Angeli e in particolare del bravissimo tenore Francesco Marsiglia nella parte di Barbarigo, si è lasciata per ultima Lucrezia Contarini, il soprano Maria Katzarava che è parsa semplicemente fuori parte ed in grave difficoltà vocale e musicale. Una voce, la sua, inizialmente lirica, lanciata in un ruolo estremo di drammatico d’agilità; ha mostrato subito la corda nelle abborracciate agilità della cabaletta “O patrizi, tremate… l’Eterno” e nell’acuto, sistematicamente gridato. Una voce che, senza il dovuto appoggio, è scivolata in prevedibili difetti di intonazione ed in debito di ossigeno, scendendo a compromessi anche con parole parlate. Tra i molti applausi alla ribalta finale a lei sono arrivati anche, e prevedibilmente, dei sonori “buh”. Il loggione, e non solo, di Parma non fa sconti e non perdona, mai.

Andrea Merli

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