Las Palmas di Gran Canaria WERTHER – Jules Massenet Teatro Pérez Galdòs, 24 giugno 2017

Las Palmas di Gran Canaria WERTHER – Jules Massenet Teatro Pérez Galdòs, 24 giugno 2017

Direttore: Giuseppe SABBATINI

Regia: Rosetta CUCCHI

 

Personaggi e Interpreti:

  • Werther: Aquiles MACHADO
  • Charlotte: Silvia TRO SANTAFÉ
  • Sophie: Marina MONZÓ 
  • Albert: Rodolfo GIUGLIANI
  • Le Bailli: Stefano PALATCHI  
  • Schmidt: Manuel GARCÍA 
  • Johann: Fernando GARCÍA-CAMPERO
  • Bruhlmann: Octavio SUÁREZ
  • Kathchen: Carmen ESTEVE

Scene: Tiziano SANTI

Costumi: Claudia PERNIGOTTI

Luci: Daniele NALDI

 

ORQUESTA FILARMÓNICA de GRAN CANARIA

CORO INFANTIL  de la ORQUESTA FILARMÓNICA  de GRAN CANARIA.

Producción del Teatro Comunale di Bologna.

 


Ultima recita di Werther, trasmessa anche in diretta nella pubblica piazza retrostante il Teatro Péerez Galdòs di Las Palmas di Gran Canaria per chiudere in bellezza una stagione in vero notevole e annunciando la prossima, non meno succosa ed impegnativa: nell’arco di cinque mesi, da febbraio a giugno 2018, in cartello La innominabile di Verdi, Carmen, Turandot e altri tre titoli tra cui il debutto sull’Isola di un’opera di Bernstein, Trouble in Thaiti, vero atto di coraggio.

Grazie sempre alla gloriosa Associazione Amigos Canarios de la Opera, ACO, al governo autonomo dell’Isola, alla muncipilità, al Patronato del Turismo e ad una lenga schiera di sponsor, pubblici e privati, che rendono possibile questo “miracolo” nell’estremo lembo europeo, immerso nell’oceano Atlantico.

Questa produzione di Werther arriva fresca fresca da Bologna ed è stata già impiccionescamente servita, assai bene mi piace sottolineare, dopo la doppietta al Teatro Comunale offerta da Juan Diego Florez e da Celso Albelo, entrambi “quasi” debuttanti di ruolo. E pure alla sua seconda investitura nei panni dell’antieroe romantico di Massenet, il “Tristano francese”, il venezolano Aquiles Machado. Quasi che dell’infelice protagonista sia obbligatoria la presenza ispanica, vuoi del Perù o di Tenerife, del Venezuela nel caso del simpatico Aquiles. Il quale si trova, oggi come oggi, con una vocalità irrobustita, pletorica e armonicamente ricca che lo fa aspirare a prossimi ruoli drammatici se non da “spinto”: il prossimo debutto a Bari quale Radames in Aida e l’Alvaro della Forza, un attesissimo ritorno canarino nel 2018, la dicon lunga. Ciò non toglie che alla rigogliosità di un timbro baciato da Dio, al calore solare di una voce che si espande ed illumina in acuto, mantenendo corpo e colore nei centri, si sposi una tecnica molto forbita che gli permette di smorzare i suoni, di affrontare mezze voci e pienissimi senza il rischio di spoggiare o di ricorrere al falsetto. Il suo canto alla natura all’ingresso in scena rimane un momento memorabile non meno dell’invocazione al Padre nel secondo atto; infine, “Pourquoi me reveiller” ha fatto venir giù il teatro per la forza ed insistenza dell’applauso e delle grida di “bravo”. Un’iniziale oscillazione del suono, a freddo, è stata subito recuperata dalla veemenza del canto e dall’interprete assolutamente credibile e trascinante, specie nel patetico finale tra le braccia di Charlotte. Tutto ciò nella Terra natale dell’indimenticato suo Maestro, Alfredo Kraus, acquista doppio valore e significato.

Charlotte trepidante, femminile ed in virtù della regia di Rosetta Cucchi, di cui si è già dato abbondante dettaglio nella recensione di Bologna, più cosciente e determinata nelle decisioni affettive durante lo svolgersi del terzo atto, è stata la valenciana Silvia Tro Santafé, mezzosoprano recentemente apprezzata quale Elisabetta in Maria Stuarda di Donizetti al Teatro Carlo Felice di Genova. Cambiati i panni – e che panni quelli della dispotica regina inglese! – e la vocalità, è piaciuta pure ed assai. Che Rossini e Donizetti la vedano nel suo terreno d’elezione non vuol dire che la sua musicalità, la vocalità sostanzialmente “Falcon” da mezzosoprano acuto, non siano adatte al ruolo della maggiore ed ambita figlia de Le Bailli. Sia nella giocondità spensierata del duetto al chiaro di luna al primo atto, appena scalfita però dal ricordo dell’onnipresente figura materna che la perseguiterà per tutta l’opera, sia nell’amorevole incontro con Werther nel secondo atto, che specialmente nella tesa lettura delle lettere e finalmente nel precipitarsi in salvataggio dell’amato, nel terzo atto. Anche lei assai e giustamente acclamata dal pubblico. Pubblico che ha riservato un’accoglienza assai calorosa alla giovanissima, appena 23enne, Marina Monzò. Giovane soprano, pure lei di Valencia, nei panni della minore Sophie ha dimostrato di possedere una vocalità preziosa ed una capacità di interprete, sia fisicamente nel volteggiare in scena, che vocalmente per l’ammirevole freschezza del timbro; lecito attendersi da lei bellissime cose, ci si ripropone di non perderla di vista. Stefano Palatchi, basso catalano di lunga carriera, lo si conosce assai bene e lo si è seguito da tempo: la sua partecipazione nella parte di un padre dolce e protettivo, seppure ossessionato dalla perdita della moglie, è stata notevole sotto tutti i punti di vista. Personalmente ha convinto poco, nel ruolo di Albert, personaggio defilato ed introverso, il baritono brasiliano Rodolfo Giuliani, dalla voce notevole per volume e tenuta, ma che ha ostentato virulenza più adatta alla gelosia del carrettiere Compar Alfio che del marito che osserva, capisce e non trascende.

Nel bel tempo andato i ruoli di carattere di Schimdt e Johann venivano drasticamente tagliati nella scena, in vero modesta musicalmente, che apre il secondo atto in cui devono improvvisare una sorta di avvinazzato canto gregoriano: Manuel Garcia, tenore dalla voce sin troppo presente e Fernando Garcia-Campero, baritono di belle speranze, hanno fatto del loro meglio per … sembrare ubriachi, specie nell’improbabile pronuncia francese. Completavano il cast, nell’intervento “Klopstock, o gran Klopstock”, Octavio Suarez (Bruhlmann) e Carmen Esteve (Katchen).

Della regia della Cucchi, rivista per la terza volta, si riconosce oltre che l’efficacia di una post datazione assolutamente condivisibile, la sottigliezza psicologica di rendere la trama come un sogno di Werther che individua in una coppia di figuranti e del loro bimbo la vita domestica a lui negata. Altro particolare che pare nuovo ed azzeccato, il rifiuto finale di Charlotte di sopportare il confronto con la madre e l’imposizione di un matrimonio che nel fondo dell’anima non ha mai accettato.

Infine la direzione di Giuseppe Sabbatini. Il quale di Werther è stato indimenticato e tra i massimi interpreti e che ora, dopo il debutto sul podio in un’edizione precedente all’Opera di Sofia in Bulgaria, ritorna a dirigere un’opera che, ovviamente, sente tantissimo. Direzione avvincente, con una tensione drammatica ed un dominio delle dinamiche assolutamente adeguato a servire su un piatto d’argento il canto e il palcoscenico. Questo un po’ ribelle, a tratti, poiché i tempi delle prove qui alle Canarie sono sempre risicati, ma talmente partecipe da fare passare inosservate piccole inesettezze negli attacchi.

L’intermezzo sinfonico del terzo atto, così come il breve preludio, hanno fornito il banco di prova ad un musicista a tutto tondo. L’orchestra Filarmonica di Gran Canaria ha offerto, ancora una volta, una prova superba ed assai disciplinate sono parse pure le voci bianche, istruite a dovere da Marcela Garròn.

Andrea Merli

 

Print Friendly, PDF & Email
Share this Post

Leave a Comment