NOVARA: Ernani – GIUSEPPE VERDI, 18/20 OTTOBRE 2019
Ernani
Dramma lirico in quattro atti di Giuseppe Verdi
Libretto di Francesco Maria Piave
Direttore Matteo Beltrami
Regia Pier Francesco Maestrini
Personaggi e Interpreti:
- Ernani Migran Agadzhanyan
- Don Carlo Amartuvshin Enkhbat (18), Massimo Cavalletti (20)
- Don Ruy Gomez de Silva Simon Orfila
- Elvira Courtney Mills, Alexandra Rosa Zabala
- Giovanna Marta Calcaterra
- Don Riccardo Albert Casals
- Jago Emil Abdullaiev
Scene e costumi Francesco Zito
Luci Bruno Ciulli
Orchestra della Fondazione Teatro Coccia in collaborazione con il Conservatorio “Guido Cantelli”
Coro Sinfonico di Milano “Giuseppe Verdi”
Maestro del coro Jacopo Facchini
Recupero storico dell’allestimento in coproduzione con il Teatro Massimo di Palermo
Coproduzione della Fondazione Teatro Coccia e del Teatro Verdi di Pisa
Teatro Coccia, 18 / 20 ottobre 2019
Progetto accarezzato da tempo da Renato Bonajuto e da Matteo Beltrami, che l’opera ha diretto per la prima volta al Teatro Principal di Mahon a Minorca lo scorso mese di giugno, Ernani ha inaugurato la stagione del Teatro Coccia, da cui mancava da 92 anni, in una produzione “antica”, ma ricostruita con amore e pazienza, che si vedrà in dicembre pure a Pisa. Si è trattato di un omaggio all’arte scenica e registica del compianto amico Beppe De Tomasi che questo Ernani firmò a Palermo più di venti anni fa e che poi girò altri teatri.
Come si è anticipato recensendo la Tosca torinese di pochi giorni fa, il caso vuole che nella stessa regione, il Piemonte, e praticamente in contemporanea siano andati in scena due allestimenti firmati per scene e costumi da Francesco Zito e per le luci da Bruno Ciulli, gli stessi che collaborarono con De Tomasi alla creazione dello spettacolo. Di nuovo, e forse ancora di più che in Tosca dove la perfezione calligrafica nel riproporre gli ambienti originali è straordinaria, in gioco l’abilità teatrale degna della nostra più nobile tradizione. A Novara con mezzi tecnici, intesi come maestranze di scena, attrezzisti, sarte e parrucchieri, irrisori rispetto a quelli a disposizione al Teatro Regio di Torino o al Teatro Massimo di Palermo: 52 contro una scarsa dozzina! Eppure, seppure ciò abbia comportato ben tre intervalli per i cambi scena, il miracolo si è ripetuto. La magia di queste scene parzialmente dipinte con effetti di prospettiva perfettamente realizzati ed illuminati, ed in parte corporee (per tutte le tre grandi sculture equestri del secondo atto e la tomba di Carlo magno nella cripta di Aquisgrana) si è rivelata in tutta la sua magnificenza, grazie anche alla ricchezza dei costumi e l’opportunità di un attrezzo perfettamente in sintonia: finalmente al “brando” corrispondeva una spada e non una pistola! Pier Francesco Maestrini, figlio d’arte dell’indimenticato Carlo, ha iniziato la sua carriera di regista come assistente di De Tomasi: la scelta non poteva essere più felice e fedele, ma pure personale con un’impronta tutta sua, nell’affidare a lui la ripresa, meglio “ricreazione” dell’allestimento. Un successo sincero ed appagante ha accolto alla ribalta i fautori dello spettacolo.
Successo che si è rivelato un trionfo senza precedenti a Novara per la componente musicale. Innanzitutto per l’ottimo lavoro svolto da Matteo Beltrami, che ha ottimi collaboratori nella direzione musicale e ne cito solo uno: Nicolò Suppa che già è lanciato in una proficua e promettente carriera di Maestro direttore. Procedendo seppure con qualche taglio nelle cabalette e nelle strette dei concertati, va ricordato che l’orchestra della Fondazione Teatro Coccia è rimpolpata dalla presenza di ottimi elementi del vicino Conservatorio “G. Cantelli”, ad una lettura entusiasmante nella scelta dei tempi vivaci che si sposano alla perfezione con questo “primo Verdi”, ma lasciando ampio spazio e grande cavata ai momenti di aperta cantabilità, specie nelle arie del soprano “Surta la notte” e del basso “Infelice, e tuo credevi” nel primo atto e, soprattutto, nella grandiosa scena che apre il terzo atto in cui in bocca di Carlo, e con la preziosa ed innovativa “tinta” orchestrale si intravede il futuro di Verdi, del Macbeth e anche del Don Carlo. Ottima la costruzione delle scene d’assieme, dei concertati che sono tra i momenti più salienti dell’opera, specialmente quello del terzo atto che prende l’avvio con “O sommo Carlo” e che rappresenta, in assoluto, una delle pagine verdiane più ispirate e trascinanti.
L’entusiasmo di orchestra e coro, questo quello Sinfonico di Milano “Giuseppe Verdi” diretto con precisione da Jacopo Facchini, erano palpabili, ma lo era ancor di più quello del cast allineato per l’occasione, di un livello inusitato per il Coccia (ma ormai sappiamo in molti che è la provincia italiana quella che ci riserva le maggiori soddisfazioni ed ha di che essere orgogliosa, in questo caso, Corinne Baroni la direttrice del Teatro Coccia) e che non avrebbe sfigurato nei maggiori teatri internazionali. Il casting manager Bonajuto è per natura curioso e preveggente, alla perenne ricerca di elementi da scoprire e da lanciare e anche attento ad artisti che, per il fatto di non appartenere a agenzie prestigiose e potenti, non son perciò da far passare alla sordina. Se nella precedente Traviata un chiaro esempio lo si è avuto col soprano ungherese Klàra Kolonits, una sorpresa per molti, ma che in Patria è un’artista acclamata, in questo caso la scommessa era il soprano americano Courtney Mills, vincitrice tra l’altro del Concorso “Beppe De Tomasi” a Reggio Calabria nel 2018. Voce imponente per armonici e bellezza naturale del timbro di lirico spinto, purtroppo caduta in corso di prove, e quindi per la prima, per colpa di una laringite che le ha consentito di affrontare solo la recita domenicale del 20 ottobre e per giunta il solo primo atto. Prevista già per le repliche a Pisa e dunque in prova, il soprano colombiano, ma italiano di adozione, Alexandra Rosa Zabala è stata una stupenda Elvira, dimostrando per giunta un bel po’ di sangue freddo e di self control nell’accettare di subentrare alla collega malata in corso di recita. Voce squisita di lirico puro, a tuta prima si potrebbe pensare che il suo repertorio sia un altro, certo non questo del “primo Verdi” che richiede sì agilità, ma anche un’estensione notevole ed un corpo di voce in grado di affrontare improvvisi affondi in zona grave. La Zabala, che è una musicista a tutto tondo dall’intonazione adamantina, ha avuto l’intelligenza di non forzare mai la propria preziosa voce che ha svettato nei concertati su un ordito orchestrale complesso ed in mezzo al canto dei suoi sonori colleghi. Inoltre il canto di agilità, nella cabaletta “Tutto sprezzo che d’Ernani” per esempio, la risolve con ammirevole scioltezza, facilità e luccichio. Dove però risulta esaltante è nell’uso dei pianissimi, delle mezze voci, delle messe in voce e dei filati che, a ragione, le valgono il nomignolo di “Zaballé” in omaggio alla compianta Diva catalana. Simon Orfila, basso di Alaor in Minorca, era l’unico a non debuttare nell’opera, avendo avuto la precedente occasione di cantare Silva proprio nel suo teatro e nella sua Isola, ottenendo un trionfo plausibile nel giocare in casa. Qui il successo si è ripetuto ed è stato, addirittura, più meritato e per la forma smagliante che sta attraversando questo relativamente giovane basso, appena quarantenne: un’età “giusta” per la sua corda, e soprattutto per l’ulteriore e prevedibile maturità del personaggio che fa prevedere per Orfila una prossima galleria di altri impegnativi ruoli verdiani. Trionfo dopo l’aria del primo atto, ma il momento più toccante a mio avviso si è avuto nel cantabile del secondo “Ah, io l’amo…” laddove l’austero personaggio cede all’emozione. Del baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat, debuttante Don Carlo, non si sa più cosa dire. Basti il furore che han destato su Facebook le brevi registrazioni video. Dire che è un fenomeno, che è la voce più completa ascoltata negli ultimi vent’anni e che ricorda i fasti della “vecchia scuola” italiana pare un controsenso riferito ad un uomo di 33 anni che viene da Ulan Bator. Eppure in questo ruolo ha dimostrato, ancora una volta, di essere un “gigante”, emozionando non solo il pubblico che voleva il bis della sua grande scena al terzo atto, ma addirittura i colleghi in palcoscenico che, pendendo dalle sue labbra, mi hanno confidato di rischiare di sbagliare gli attacchi! Bravo, bravissimo in tutta l’opera, ma per il sottoscritto particolarmente nell’adagio cantabile “Vieni meco, sol di rose” dove ha toccato vertici paradisiaci. Alla recita domenicale del 20 ottobre, Don Carlo era un altro baritono debuttante nel ruolo: Massimo Cavalletti. Prova superata con doppia lode, poiché subentrare ad Enkhbat non era cosa da ridere, per la bellezza pure del mezzo vocale, giostrato con grande duttilità, ricchezza di sfumature e potenza nell’emissione, sempre fluida e mai forzata. Pure per lui un meritato trionfo e, come interprete, in scena imponente e anche superiore al collega almeno nell’invettiva “Lo vedremo, o veglio audace” di forte vigore espressivo. Malaticcio pure lui, ma comunque dotato di uno squillo invidiabile, è piaciuto tantissimo anche il protagonista, l’Ernani del titolo: il tenore armeno Migran Agadzhanyan. Fraseggio ardente, accento convinto, bel colore e belle intenzioni risolte sempre con la facilità del canto spiegato senza intoppi di sorta. Al suo debutto sui palcoscenici italiani dove ci si augura di ritrovarlo spesso.
Ma in questa produzione son stati preziosi anche i ruoli di fianco: lo Jago del basso ucraino Emil Abdullaiev, dalla bella e sonora linea di canto, la presenza del tenore catalano Albert Casals, Don Riccardo, un autentico lusso cisto che in Patria canta ruoli di primo piano e che di fatto ha dimostrato una presenza rilevante nei concertati, e la novarese Marta Calcaterra, una presenza sempre rassicurante per precisione musicale e partecipazione scenica, qui nel ruolo mezzosopranile di Giovanna risolta con nonchalance da lei che è soprano, ma che ha così potuto svettare proficuamente negli assieme.
Andrea Merli