LAS PALMAS DI GRAN CANARIA:  Tosca – Giacomo Puccini, 20 febbraio 2024

LAS PALMAS DI GRAN CANARIA: Tosca – Giacomo Puccini, 20 febbraio 2024

Tosca

opera lirica in tre atti di Giacomo Puccini

su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica

La prima rappresentazione si tenne a Roma, al Teatro Costanzi, il 14 gennaio 1900


Direzione musicale  Ramón Tebar

Regia  Daniele Piscopo

 

Pesronaggi e Interpreti:

  • Tosca  Erika Grimaldi
  • Mario Cavaradossi – Piotr Beczala
  • Barone Scarpia  George Gagnidze
  • Cesare Angelotti/Carceriere  Max Hochmuth
  • Sciarrone  Fernando Campero
  • Spoletta  David Barrera
  • Il sagrestano  Isaac Galan
  • Pastore  Marina Dìaz 

 

ORCHESTRA FILARMONICA DI GRAN CANARIA

CORO DI VOI BIANCHE dell’OFGC, Direzione  Marcela Garrón 

CORO dell’OPERA FESTIVAL, Direzione  Olga Santana

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ACO Production in collaborazione con Opera Production CD

Teatro Pérez Galdós, 20 febbraio 2024


La 57esima stagione degli Amigos Cánarios de la Ópera (ACO) si è inagurata lo scorso 20 febbraio nel nome di Puccini, nel centesimo anniversario della sua morte, con Tosca, cui seguirà in marzo La Boheme. Titolo popolarissimo pure nell’Isola, preceduto da ben 10 edizioni che hanno visto alternarsi in scena Birgit Nilson, Montserrat Caballé, per ben due stagioni nel 1979 e nel 1984; tra le Floria italiane, vi si annoverano Giovanna Casolla, nel 1994 e Norma Fantini, anche lei per ben due volte nel 2010 e nel 2014. Non meno prestigiosi i vari Cavaradossi: i catalanissimi Carreras ed Aragall, rispettivamente nel 1978 e nel 1979, mentre tra gli italiani, ultimo in ordine di tempo, Fabio Sartori (2019), preceduto da Giorgio Merighi (1975) e da Franco Tagliavini, questi affiancato dallo Scarpia di Giuseppe Taddei, nel 1969.

Per mantenere alto il livello e soddisfare i “vociomani” locali, nonché i numerosi stranieri e turisti che popolano la soleggiata Gran Canaria, è stato scritturato, finalmente libero e dopo lunghi corteggiamenti, il 57enne tenore polacco Piotr Beczala, indiscusso “divo” tra gli artisti della sua corda oggi su piazza. Arrivato in corso di prova, si è inserito nello spettacolo d’impianto tradizionale, con un grande sospiro di sollievo, a quanto riferito, per trovarsi finalmente in una produzione “normale” e con grande facilità scenica e disinvoltura vocale, frutto indiscutibile, incontrovertibile della maturata e professionale esperienza in una parte che quasi sempre – a Vienna recentemente – lo obbliga al bis del celeberrimo “Addio alla vita”, per la salva di applausi che puntualmente scatena. Bis che non ha, molto opportunamente, concesso al pubblico che stipava il Teatro Pérez Galdós, generossissimo in applausi e grida di “bravo”, per via di un percettibile scivolone, una mezza stecca per intenderci, durante l’esecuzione dell’attesissimo brano. Per carità, chi firma fu testimone del clamoroso “gallo”, come dicono in Spagna, che chiuse “La donna è mobile” di Nicolai Gedda (un tenore di cui Beczala sembra ripercorrere i fasti) in una storica recita al Liceu di Barcellona. Una goccia di saliva per traverso, un incidente di percorso capita ai migliori e ci ricorda che “al par di noi respiran l’aere” come suggerisce il Prologo dei Pagliacci. Non di meno, pur riconoscendo la bellezza del timbro, che conserva nonostante l’ormai lunga e proficua carriera, la facilità e lo squillo del settore acuto tutt’ora gagliardo e spavaldo, qualche crepa incomincia ad intravvedersi in una per altro splendida organizzazione vocale: una certa tendenza ad aprire i suoni, un insistere sulla zona centrale, una certa generecità e monotonia nel fraseggio. Si è pignoli perché si tratta, comunque, di un grande e le attese, in questi casi, sono sempre massime e non sempre soddisfano. Successo, anzi trionfo, alla ribalta finale.

Al debutto di ruolo e per la prima volta in Gran Canaria, l’italiana Erika Grimaldi ha ottenuto una lusinghiera e calda accoglienza,: un’autentica ovazione dopo l’appuntamento più atteso con il “Vissi d’arte”, cantato con grande intensità, nobiltà d’animo a dispetto di una tenuta estenuante dei tempi in orchestra. Le note ci sono tutte, compreso il tagliente ed insolente Do acuto della “lama” in cui spesso molte incespicano. A dirla tutta, le manca ancora il carattere della “Diva”, la Grimaldi  puntando su una dolcezza che di felino, anzi di “agil leopardo”, non ha la graffiante presa, ma per essere una prima esecuzione, con tutti i distinguo del caso, visto pure lo scarso tempo di prove, assolutamente sdoganabile e, magari, da risentire in altro contesto.

Chi piuttosto si vorrebbe evitare in futuro è il pur richiestissimo George Gagnidze, Scarpia, rude oltre ogni possibile identificazione con la nobiltà baronale del siculo capo della polizia borbone; più Ochs del Cavaliere della Rosa, dalla sensualità sbracata, che bigotto satiro dalla foia libertina. Conteso dai teatri di mezzo mondo per questa parte, per giunta l’esegue con pessima dizione. Certo, se ci si accontenta del volume ce n’è da vendere e allora siamo a posto: tanto rumore per nulla.

Molto bene le parti di fianco: l’aitante Sagrestano del baritono Isaac Galán, con tanto di tiraggio di tabacco prescritto da spartito, lo Spoletta scenicamente mercuriale e sonoro del tenore David Barrera, l’ottimo Sciarrone, una voce che colpisce per qualità, del baritono Fernando Campero, il basso Max Hochmuth, impegnato sia come Angelotti che poi quale Careriere; infine il Pastorello, ben intonato da una barcaccia di proscenio dal soprano Marina Díaz.

Bene come sempre il coro istruito da Olga Santana, numeroso e molto partecipe il coro Infantil de la OFGC preparato da Marcela Garrón e splendida come sempre l’Orquesta Filarmónica de Gran Canaria. Il Maestro Ramón Tebar ha condotto in porto tutto l’insieme: alcuni scollamenti iniziali, nell’aria “Recondita armonia” per esempio, sono sicuramente imputabili alle scarse prove, ma il tutto è andato rinsaldandosi in corso d’opera. Alcuni tempi, un po’ slentati, hanno messo a prova i solisti, ma gli è pure riuscito di ottenere belle frasi e un toccante e nostalgico preludio al terzo atto.

Accomunati negli appluasi trionfali il regista e scenografo Daniele Piscopo e Claudio Martín a cui, solitamente, è affidato il compito di costumista nelle produzioni ACO. Bene assai pure le luci disegnate da Rodrigo Ortega. Piscopo è stato salutato dalla stampa locale come il detentore, uno dei pochi, della fiaccola della più rispettabile ed autentica tradizione teatrale “all’italiana”, ormai merce rara in tempi in cui impera, importato o rifatto in loco, il famigerato Regie-Theater “alla tedesca”. In verità bisognerebbe conoscere la realtà di queste produzioni nate nella estrema periferia del continente europeo, anzi qui a latitudine africana. In questi casi si deve far di necessità virtù, si deve saper gestire elegantemente un patrimonio di elementi magari giacenti in fondo a magazzini polverosi, si deve saper scegliere costumi adatti da laboratori che li affittano e se necessario rimboccarsi le maniche e mettersi mano all’opera: fare, fisicamente, le scene. Per esempio, il grande dipinto della Maddalena che troneggia nel primo atto, Piscopo, vantando una preparazione alle Belle Arti, lo ha realizzato a colpi … di pennello. È questa un’Arte (la maiuscola è d’obbligo) che non tutti dominano. Dover lavorare in situazioni “border line”, con badget ridotti all’osso e con poche prove, con artisti che ti arrivano all’antigenerale, tra mille ed una difficoltà, è segno di grande scuola. C’è di che essere orgogliosi, noi italiani, che vi siano ancora questi “artigiani” (inteso nel senso più nobile del termine) che ci rappresentano così e bene nel mondo. Bravo ed ad majora!

Andrea Merli

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