CAGLIARI: Gloria – Francesco Cilea, 9 e 10 febbraio 2023
Gloria
opera lirica in tre atti
libretto Arturo Colautti, dalla commedia La Haine di Victorien Sardou
musica Francesco Cilea
Casa Musicale Sonzogno-Milano
versione 20 aprile 1932
Maestro concertatore e Direttore Francesco Cilluffo
regia Antonio Albanese
Personaggi e Interpreti:
- Aquilante de’ Bardi Ramaz Chikviladze (10-12-15-17-19)/Mattia Denti (11-14-16-17-18)
- Gloria Anastasia Bartoli (10-12-15-17-19)/Valentina Boi (11-14-16-17-18)
- Folco de’ Bardi Franco Vassallo (10-12-15-17-19)/Ivan Inverardi (11-14-16-17-18)
- Lionetto Ricci Carlo Ventre (10-12-15-17-19)/Denis Pivnitsky (11-14-16-17-18)
- Il Vescovo Alessandro Abis
- La Senese Elena Schirru
- Un Banditore Alessandro Frabotta
Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari
Maestro del coro Giovanni Andreoli
Scene Leila Fteita
Costumi Carola Fenocchio
costumista collaboratore Marco Nateri
Luci Andrea Ledda
nuovo allestimento del Teatro Lirico di Cagliari
Teatro Lirico, 9/10 febbraio 2023
Gloria, opera in tre atti di Francesco Cilea su libretto di Arturo Colautti, poi riadattato da Ettore Moschino, apre la stagione del capoluogo sardo e torna in scena dopo 26 anni di silenzio; nel 1997 venne rappresentata al Festival di San Gimignano, all’aperto nella “città dalle cento torri”, protagonisti il soprano Fiorenza Cedolins ed il tenore Alberto Cupido.
Ultima opera del compositore di Palmi, la cui perdurante fortuna si deve ad Adriana Lecouvreur, debuttò al Teatro alla Scala il 15 aprile 1907 con scarso successo, anche se a dirigerla fu Toscanini a capo di un cast prestigioso: tra gli altri Solomea Krusheniski, il soprano ucraino che solo pochi mesi prima aveva interpretato Salomè di Richard Strauss al debutto in Scala, il tenore Giovanni Zenatello ed il baritono Pasquale Amato. Dopo sole due recite l’opera fu tolta dal cartellone. Cilea, che la ritenne la sua opera migliore, non si arrese e con ritocchi e modifiche nel corso di oltre vent’anni, finalmente la ripresentò rimaneggiata e con opportuni tagli al Teatro di San Carlo di Napoli, ottenendo un convinto successo nel 1932. Seguirono alcune riprese: a Milano nell’ambientazione medievale del Castello Sforzesco, a Bologna e nel 1938 all’Opera di Roma, protagonisti Beniamino Gigli e Maria Caniglia alla presenza del Duce, il ché se allora poteva essere un evento mediatico, bollò definitivamente l’opera. Il lungo silenzio fu interrotto solo nel 1969, con la esecuzione radiofonica alla RAI di Torino, diretta dal Maestro Francesco Previtali, protagonista il soprano Margherita Roberti (nome d’arte della statunitense Margaret Jean Roberts) seppure in un primo momento era prevista Magda Olivero, ed il tenore piacentino Flaviano Labò.
Cilea si scostò dal “Verismo” cercando nuove strade per l’opera italiana: in Gloria sono evidenti l’influenza wagneriana, nell’uso di motivi conduttivi e l’influenza della musica francese, in particolare Massenet e Debussy, nel virtuosismo orchestrale, ma ponendo sempre al centro la melodia. Il libretto è un adattamento del dramma di Victorien Sardou “La Heine”, una sfortunata storia d’amore tra due giovani appartenenti a schieramenti politici opposti, nella Siena del XIV secolo Guelfi e Ghibellini, in tutto simile alla tragedia shakespeariana di Romeo e Giulietta. Gloria, rapita da Lionetto che ama, è combattuta tra dovere filiale e passione amorosa. Suo fratello Bardo, il baritono e dunque il cattivo, ferisce a tradimento e mortalmente Lionetto il giorno delle nozze; alla povera Gloria, rinnegata ed infelice, non resta suicidarsi con lo stesso pugnale che ha colpito l’amato. L’Alto Medioevo italiano era assai di moda ai tempi e di fatto influenzò tutte le arti, dall’architettura e pittura, alla letteratura e dunque l’opera: Francesca da Rimini di Zandonai, Parisina ed Isabeau di Mascagni servano d’esempio. Il libretto di Gloria considerato il “migliore ed il più nobile” dal Compositore, non se ne discosta, anzi. Il fantasioso Colautti, giornalista dalmata ed irredentista, vi si sbizzarrisce in arcaicismi con vocaboli al limite del grottesco: “l’amanza, la druda” urla con disprezzo Baldo alla sorella, sprezzandola prima per poi subdolamente vezzeggiarla e convincerla ad uccidere l’amato col veleno onde vendicare la morte del padre. Il parallelo con Amonasro sorge spontaneo. L’opera però è ricca di squisite melodie, esposte con eleganza, finezza e sapienza, una cifra che contraddistingue Cilea, non solo in Adriana Lecouvreur pure nella poco rappresentata Arlesiana, predilige le ampie espansioni liriche allo strepitio delle battaglie che, di fatto, avvengono fuori scena.
Lode al Teatro Lirico di Cagliari che ne propone una nuova produzione firmata dal noto regista e attore Francesco Albanese e dal suo team: scene di Leila Fteita, costumi di Carola Fenocchio e luci di Andrea Ledda. Si tratta di una scena praticamente fissa, costituita da una tribuna semicircolare, cui si somma una ricostruzione fantasiosa e monocromatica (tolto il rosso del costume che la protagonista indossa al terzo atto) del folklore sardo. Ciò ha permesso una certa fluidità nell’esposizione, seppure il coro è stato sempre fermo, bloccato nei pesanti costumi ed i protagonisti hanno avuto come spazio per l’azione, ridotta al minimo, la parte centrale del palcoscenico.
Il pubblico, accorso piuttosto numeroso, ha decretato un successo pieno, iniziando dalla componente musicale. Ottima la prova dell’orchestra, con interventi ben calibrati della banda interna, e del coro del Teatro Lirico, ben preparato da Giovanni Andreolli. Il Maestro Francesco Cilluffo, dal podio, si è confermato garanzia di professionalità, accuratezza e pulizia nella resa orchestrale sempre nitida e precisa nei singoli settori, riuscendo ad affascinare il pubblico con questa partitura eclettica, estremamente complessa, ricca di raffinate soluzioni armoniche, dispensando grande varietà di colori, evidenziando i momenti pieni di pathos e tenerezza nel canto di Gloria ed altri eroici ed appassionati di Leonetto. Le arie, i duetti scorrono senza soluzione di continuità nel fluire del discorso musicale, reso alla perfezione pure nei preludi ai rispettivi atti.
Abbiamo potuto apprezzare un doppio cast, presenziando la prova generale del secondo la sera precedente alla prima. Il basso Ramaz Chikviladze, alla “prima”, ha vestito autorevolmente i panni del vecchio padre Aquilante de’ Bardi, preceduto dall’ottimo basso di Piacenza Mattia Denti nello stesso ruolo. Bardo, il fratello vendicatore, ha avuto due grandi interpreti nel baritono Franco Vassallo, di timbro brillante e prestante presenza scenica e nel secondo cast il non meno adeguato Ivan Inverardi, dalla voce potente e sonora. La parte del romantico innamorato ha visto in scena due tenori di grande livello: alla “prima” l’uruguaiano Carlos Ventre, voce perfettamente emessa, espressivo e temperamentale nel fraseggio, dominatore della tessitura vocale di Lionetto, alta e tesa verso il “forte”; il giorno prima il giovane tenore ucraino Denys Pivnitskyi dalla voce più lirica, ma sicura negli acuti, si è imposto come artista da seguire con grande attenzione. Il cast è stato completato molto correttamente dal basso Alessandro Abis, il Vescovo, il soprano Elena Schirru, la Senese e dal baritono Alessandro Frabotta, il Banditore.
Gloria ha visto impegnate due artiste notevoli: Valentina Boi, soprano lirico che ha interpretato molto bene, con slancio e passione, la parte nel secondo cast ed il soprano Anastasia Bartoli, figlia “d’arte” di Cecilia Gasdia, presente in sala. È stata una gradevole sorpresa per chi non l’avesse, come il sottoscritto, mai udita dal vivo. Artista completa, seducente nella parte scenica, si è imposta per la voce di impressionante per qualità, estensione e ricchezza di armonici; un canto reso con perizia in tutte le dinamiche, con sensibilità e gusto sia nel fraseggio che nell’accento. A quelli tra noi che hanno qualche anno in più ha ricordato il soprano greco-argentino Elena Souliotis. Cilea prima di morire inviò alla Callas lo spartito di Gloria sperando che lo prendesse in considerazione e lo interpretasse, il che notoriamente non avvenne. Si tratta di una personale fantasia, certo, ma penso che la “nuova Bartoli” abbia fatto sognare più di uno ad occhi aperti.
Andrea Merli