BERGAMO: IL CASTELLO DI KENILWORTH  – Gaetano Donizetti, 2 dicembre 2018

BERGAMO: IL CASTELLO DI KENILWORTH – Gaetano Donizetti, 2 dicembre 2018

IL CASTELLO DI KENILWORTH

Gaetano Donizetti

 

Direttore Riccardo Frizza
Regia Maria Pilar Pérez Aspa

 

Personaggi e Interpreti:

  • Elisabetta Jessica Pratt
  • Amelia Carmela Remigio
  • Leicester Xabier Anduaga
  • Warney Stefan Pop
  • Lambourne Dario Russo
  • Fanny Federica Valli

Costumi Ursula Patzak
Lighting design Fiammetta Baldiserri
Assistente alla regia Federico Bertolani
Assistente ai costumi Nika Campisi
Orchestra Donizetti Opera
Coro Donizetti Opera
Maestro del coro Fabio Tartari

Nuovo allestimento e produzione della Fondazione Teatro Donizetti


Teatro Sociale, 2 dicembre 2018

Col titolo di Elisabetta al castello di Kenilworth quest’opera rappresenta l’incipit della più celebre “Trilogia Tudor” che allinea Anna Bolena, Maria Stuarda e Roberto Devereux, dalla cui comunanza, però, è sempre stata esclusa. Ci propone, nella flebile trama, un’Elisabetta improvvisamente remissiva e “disposta a perdonare”, assai distante dalle omonime e vendicative di Stuarda e Devereux, nonché dalla psicologicamente articolata “madre” donizettiana, la quale prima di morire ha pure il tempo di maledire la “coppia iniqua”. Siamo di fronte ad uno spartito che, sebbene ai tempi (Napoli 1829) avesse potuto suscitare qualche sussulto di “modernità” per il pubblico partenopeo, oggi si presenta come un bell’epigono rossiniano, con pagine di grande virtuosismo belcantistico, lontana però dai germogli romantici che verranno in seguito in Lucia, Lucrezia Borgia ed un lungo eccetera nella vasta produzione donizettiana. Inoltre il libretto del Tottola offre una drammaturgia scarsa e quasi nulle situazioni ove il compositore possa esibire la sua innegabile abilità nei grandi concertati che serviranno di ispirazione al futuro Verdi: tolto un quartetto che conclude l’atto secondo, praticamente mancano pezzi d’assieme.

Detto ciò, bene ha fatto il direttore artistico del rinnovato “Donizetti Opera Festival“, Francesco Micheli, a riproporre l’opera dopo 29 anni dalla prima ripresa in tempi moderni del misconosciuto titolo. La memoria ritorna indietro ai tempi in cui “impiccionai”, per giunta in un video artigianale, quell’evento in cui si misurarono “Eva contro Eva” due virtuose al culmine della loro carriera: Denia Mazzola nei panni dell’infelice Amelia e Mariella Devia in quelli regali di Elisabetta. Ai tempi i due principali ruoli maschili furono sostenuti dal tenore Jozef Kundlak, Leicester e dal baritono Barry Anderson, Warney. Oggi, a ragion veduta, il perfido Warney è stato affidato al timbro di tenore, essendo la tessitura molto acuta e, sebbene ciò comporti un inevitabile appiattimento nella vocalità, si pensi al citato quartetto, formato così da due soprano e da due tenori con timbriche praticamente equivalenti, ne giovano le arie, i duetti e, nell’insieme tutta, l’opera.

A confrontarsi, ora come allora, due tra le massime vocaliste dei nostri tempi: Carmela Remigio, Amelia e Jessica Pratt, Elisabetta. Ovviamente il loro incontro-scontro ha una valenza musicale e, soprattutto, drammaturgica, meno incisiva e “provocatoria” (Donizetti anche in ciò era avanti sui tempi!) del celebre scambio di “gentilezze” tra Elisabetta e Maria nella arcinota scena della Stuarda, ma ciò non toglie che ad entrambe siano offerte grandi occasioni per esibire abilità di virtuose; alla Remigio che ha eccelso nella “scena della pazzia” del terzo atto, con obbligato di arpa e glassarmonica, anticipando quella della “sposa di Lammermoor” e la Pratt, che dopo aver disseminato l’opera di sovracuti, affronta una grande scena di estremo virtuosismo nel finale. Entrambe, giustamente, applauditissime sia in corso d’opera che alla ribalta finale dove si sono pubblicamente abbracciate onde fugare ogni, per altro assurdo, sospetto di rivalità amorosa e vocale. Ottimi i due tenori: il drammaturgicamente irrisolto e teatralmente inerte Leicester, cantato con estrema precisione e facilità in acuto dal pur bravissimo Francisco Brito e, soprattutto, il subdolo Warney, intonato con baldanza e valentia da Stefan Pop che si conferma un professionista di alto livello e che, alla pur antipatica figura, ha infuso una personale forza di empatia verso il pubblico che lo ha salutato con applausi frenetici. Bene nei ruoli di fianco, il valido basso Dario Russo, Lambourne e la avvenente Federica Vitali, fedele Fanny.

Ottima la partecipazione del coro Donizetti, ben istruito da Fabio Tartari, e splendida l’esecuzione orchestrale  sotto la direzione di Riccardo Frizza che ha servito a dovere lo spartito prestando un accorto sostegno alle voci ed un empito che ha valorizzato una partitura che rimane confinata al campo delle rarità donizettiane. La regia, affidata a Maria Pilar Pérez Aspa con la scena (ridotta ad una pedana che, nel finale, si trasforma in una simbolica gabbia in cui rimane isolata col suo potere Elisabetta) di Angelo Sala, i bellissimi costumi d’epoca di Ursula Patzak e la centrata illuminazione di Fiammetta Baldiserri, ha fatto quanto ha potuto nel dar, se non credibilità, una logica sequenza agli avvenimenti, lavorando giustamente sul singolo e con una ammirevole gestione delle masse, ivi compresa la scarna figurazione. Una regia adeguata per uno spettacolo comunque godibile sia visivamente che, ancor più, musicalmente.

Andrea Merli

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