TORINO: I Lombardi alla prima crociata, 17 aprile 2018
Dramma lirico in quattro atti
Libretto di Temistocle Solera
dall’omonimo poema di Tommaso Grossi
Musica di Giuseppe Verdi
Direttore d’orchestra Michele Mariotti
Regia Stefano Mazzonis di Pralafera
Personaggi e Interpreti
- Arvino Giuseppe Gipali, Gabriele Mangione (18, 19, 20)
- Pagano Alex Esposito, Marko Mimica (18, 20)
- Viclinda Lavinia Bini
- Giselda Angela Meade, Maria Billeri (18, 20)
- Pirro Antonio Di Matteo
- Priore della città di Milano Giuseppe Capoferri, Vladimir Jurlin (18, 20, 26)
- Oronte Francesco Meli, Giuseppe Gipali (18, 20)
- Sofia Alexandra Zabala
Scene Jean-Guy Lecat
Costumi Fernand Ruiz
Luci Franco Marri
Assistente alla regia Gianni Santucci
Maestro del coro Andrea Secchi
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Nuovo allestimento
in coproduzione con l’Opéra Royal de Wallonie-Liège
I Lombardi sono, praticamente, una novità per il pubblico del Teatro Regio. La precedente esecuzione risale all’ormai remoto 1957 e trattasi tra l’altro di una registrazione radiofonica. Sorte analoga, seppure più fortunata, toccò alla revisione – ma a tutti gli effetti è un’altra opera – Jerusalem: una esecuzione in forma di concerto all’Auditorium Rai il 14 novembre 1975, con gli ancora ventenni Carreras e Ricciarelli e quindi al Teatro Regio, in forma scenica nel marzo del 1995.
E dunque ora, a distanza di oltre vent’anni ci si presenta con un’allestimento proveniente dall’Opéra Royal de Wallonie-Liège che fa rimpiangere… un’esecuzione in forma concertante. Spiace dover ammettere, anche a chi è strenuo difensore della consolidata tradizione italiana, che si oppone tenacemente al Theater-regie di provenienza teutonica, che questo spettacolo nella sua insipienza, in bilico tra il comico involontario e il lo stile naif, si sia rivelato il punto debole di un’esecuzione che musicalmente ha offerto molti spunti interessanti.
A firmarne la regia è l’attuale direttore artistico del Teatro di Liegi, là in carica da oltre 11 anni, Stefano Mazzonis di Pralafera, che pure è un uomo di teatro di larga esperienza. Le scene sono di Jean-Guy Lecat, i costumi che a definire bizzarri si fa loro un complimento, sono creazione di Fernand Ruiz, mentre le luci, distribuite un po’ a casaccio, si debbono a Franco Marri. Un’allestimento che ha l’unico vantaggio di essere esplicito e fluido nell’esposizione degli avvenimenti, che in quest’opera si svolgono in forma atassica e che con sbalzi temporali di difficile risoluzione, è un po’ poco come risultato e, soprattutto, offre il fianco ed il pretesto di invocare attualizzazioni o altre stramberie registiche che, per lo meno, tengano sveglia l’attenzione del pubblico. Quello torinese, va aggiunto, ha colto il tutto senza fare un plissé e, come sostengo in questi casi, se è andata così … tanto basti.
Viceversa si sono avute punte di successo quasi trionfali nei confronti di alcuni degli interpreti. Iniziando dal direttore Michele Mariotti che ha offerto una lettura consona allo spartito, seguito in ciò perfettamente dall’orchestra del Regio in cui si è distinto nell’assolo di violino la “spalla” Stefano Vagnarelli, e cioè dando il necessario vigore alle pagine più risorgimentale e garibaldine (come confessa il Maestro in un’intervista raccolta da Susanna Franchi e pubblicata sul programma di sala, “se Verdi dà uno schiaffo, si deve sentire in orchestra”) senza tralasciare i momenti di abbandono lirico che, fanno intravvedere il Verdi a venire. Ottimo pure il coro, impegnatissimo in quest’opera, istruito a dovere da Andrea Sacchi.
Grande attesa per la Giselda di Angela Meade. A parte che la regia è riuscita, con un orrido ed unico costume per tutto il corso d’opera, a sottolineare l’ingestibilità di un fisico imponente, l’interprete ha ricevuto un meritato trionfo per la incisività di una voce imponente per armonici, che però la vocalista sa trattenere e dosare in pregevolissime mezze voci e canto sul fiato con un legato esemplare. Il leggero vibrato che la caratterizza è parso accentuato rispetto a precedenti ascolti – qui a Torino nel Tell rossiniano – ma ciò non toglie un pelo allo svettare in acuto con estrema facilità e senza perdere le qualità timbriche.
Pure Francesco Meli, reduce dal successo quale Enzo Grimaldo nei teatri emiliani, si conferma tenore di vaglia, specie in questi ruoli, quale è quello di Oronte, del primo Verdi che richiedono veemenza e trasporto. Ed ha ottenuto un altrettanto meritato successo che ha accolto pure Alex Esposito, il quale affronta la via del Verdi “serio”; il ruolo di Pagano mette in evidenza le qualità, ma anche i limiti di un interprete che, indubbiamente, per ora è più a suo agio in un altro repertorio: si farà e questi primi passi ne costituiscono un buon processo evolutivo. Nei ruoli di fianco, che in quest’opera sono importantissimi ed assurgono al protagonismo in più punti, si sono apprezzati Gabriele Mangione, che nella parte di Arvino ha sosotituito l’indisposto Giuseppe Gipali, Antonio Di Matteo, imponente Pirro per figura e voce da basso profondo, Lavinia Bini, ottima Viclinda e Alexandra Zabala, un vero lusso per la parte di Sofia, madre di Oronte e moglie di Acciano, il basso Giuseppe Capoferri. Il priore dei Santì’ Ambrogio dava il tocco esotico al tutto, rispondendo al nome di Joshua Sanders.
Andrea Merli