MILANO: Simon Boccanegra – Teatro alla Scala 13 Febbraio 2018
SIMON BOCCANEGRA
Giuseppe Verdi
Direttore Myung-Whun Chung
Regia Federico Tiezzi
Personaggi e Interpeti:
- Simone Leo Nucci
- Amelia Krassimira Stoyanova
- Jacopo Fiesco Dmitri Belosselskiy
- Gabriele Adorno Fabio Sartori
- Paolo Albiani Dalibor Jenis
- Pietro Ernesto Panariello
Scene Pier Paolo Bisleri
Costumi Giovanna Buzzi
Luci Marco Filibeck
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Produzione Teatro alla Scala e Staatsoper Unter den Linden, Berlin
Gloriosa recita la terza di Simon Boccanegra al Teatro alla Scala, quella dello scorso martedì 13 febbraio, turno C. Un turno stranamente disertato da buona parte degli abbonati – numerosi i posti vuoti in platea e parecchi pure i palchi… disabitati – solo in parte ripopolato dai numerosi turisti di passaggio, tra i quali piace segnalare non già i soliti russi o americani, per i quali la Scala è tappa obbligata non meno di quanto sia la Tour Eiffel a Parigi o la statua della libertà a New York, bensì una famigliola procedente da Los Angeles, California, come poi si è appurato. Lui forse oriundo italiano parlava abbastanza bene la nostra lingua, lei e la bimba di tre anni facevano fatica a capirla, ma seduti una fila davanti a me, sono stati tra i più attenti e partecipi spettatori, con la bimba attentissima, un po’ in braccio alla mamma e un po’ in quello del papà, silenziosa e come ammaliata da quanto avveniva in palcoscenico. Si aggiunga l’abbigliamento assolutamente casual e il borsone della mamma, con dentro c’è da immaginare tutto l’occorrente per la bambina. Uno spettacolo nello spettacolo e, finalmente, una ventata di aria fresca sotto la volta del Piermarini.
Tornando alla recita, poco da aggiungere sullo spettacolo di Federico Tiezzi, ripreso con cura da Lorenza Cattini, “censurando” strada facendo alcune incongruenze. A forza di vederlo ci si è assuefatti e, ammettiamolo, non stravolge la drammaturgia, anzi svolge una lettura chiara dell’ingarbugliato libretto e dunque alla fine della fiera si può assolutamente sdoganare. Al pubblico sembra piacere e molto e tanto basti.
Pubblico che ha colrosamente festeggiato lo schivo direttore coreano Myung – Whun Chung, che torna a dirigere il Simone a meno di due anni di distanza sempre alla Scala. Una direzione coinvolgente, dosata nelle dinamiche, sostenendo il palcoscenico idealmente e facendo cantare l’orchestra con il coro ed i solisti. La tinta è quella autentica, cupa e fortemente verdiana, sin dalle prime note di questa opera notturna. Il mare, assente in scena, si percepisce in vari momenti e ritorna, dal golfo mistico, ad essere uno dei protagonisti. Tutti, coro ed orchestra, in stato di grazia ci hanno riportato al “livello Scala” sempre invocato ma a volte disatteso. Qui tutto è filato nei migliore dei modi anche in virtù di un cast che raggiunge la perfezione.
Di Leo Nucci c’è poco da aggiungere: ogni recita si trasforma in una classe magistrale di canto. L’altra sera era in stato di grazia, sia fisica che vocale, e in scena e per voce, si stenta a dargli quarant’anni quando è prossimo a compierne settantasei. Un miracolo per tenuta, proiezione e vigore, ma anche un esempio di sapienza teatrale e di scavo nel personaggio. Cito per tutti il momento della maledizione a Paolo, sul finale della scena del gran consiglio: il sibilo della voce, perfettamente in avanti e percorrente tutto il teatro, sulle parole “sia maledetto” ha procurato un brivido. Cosa abbia raggiunto nel precedente duetto con Amelia/Maria, la superlativa Krassimira Stoyanova che in questa parte rappresenta l’assoluta incarnazione del personaggio per dolcezza nell’emissione e musicalità adamantina, è difficile spiegare. E così il terzetto del secondo atto ed ancora il duetto col basso nel terzo. Momenti di grande emozione. Fiesco è stato il pur bravo basso russo Dmitry Beloselskiy, in crescita di maturazione vocale ed interpretativa, applauditissimo e meritatamente. Chi, a dispetto della figura, rimane pur sempre “Fra i liguri il più prode, il più gentile…“ è Fabio Sartori, che ha riscosso l’unico applauso a scena aperta dopo l’aria del secondo atto. Per colore maschio, per timbro schiettamente tenorile, per la morbidezza ed espressività di un canto davvero alato e sostenuto mirabilmente dal fiato anche in smorzature e pianissimi. Dalibor Jenis ha scolpito un Paolo di grande spessore, con particolare attenzione alle frasi più subdole e che ne fanno l’anticipo dello Jago in Otello. Bene pure il veterano Ernesto Panariello, solido Pietro e puntuali nei loro interventi sia Luigi Albiani, Capitano dei balestrieri che Barbara Lavarian, Ancella di Amelia. Superlativo il coro, affidato come sempre ad un altro pilastro in Scala, il Maestro Bruno Casoni.
Andrea Merli