MODENA:  i Puritani – Vincenzo Bellini 19 marzo 2017

MODENA: i Puritani – Vincenzo Bellini 19 marzo 2017

 

Opera seria in tre parti di Carlo Pepoli

Direttore Jordi Bernacer
Regia e costumi Francesco Esposito

Personaggi e interpreti:

  • Elvira: Irina Lungu
  • Arturo Talbo: Celso Albelo (16 e 19 marzo) / Keon Woo Kim (21 marzo)
  • Sir Giorgio: Luca Tittoto
  • Sir Riccardo Forth: Fabian Veloz
  • Enrichetta di Francia: Kato Nozomi
  • Lord Gualtiero: Lorenzo Malagola Barbieri
  • Sir Bruno Roberton: Juan Pablo Dupré (16 e 21 marzo) / Keon Woo Kim (19 marzo)

Scene Rinaldo Rinaldi
Luci Andrea Ricci
Coreografie Domenico Iannone

Maestro del coro Stefano Colò

Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna
Coro della Fondazione Teatro Comunale di Modena

Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena
Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia

Nuovo allestimento


E di nuovo la provincia mette a segno un altro bel colpo!

Ci riferiamo alla “dorata” provincia italiana, in specie quella emiliana e al Teatro Comunale di Modena, rinominato a Luciano Pavarotti e che, in coproduzione con i teatri di Piacenza e di Reggio Emilia, ha messo in scena nientemeno che i belliniani Puritani, opera che richiede quattro fuori classe, impegna orchestra – in questo caso l’ottima Regionale dell’Emilia Romagna – coro, quello della Fondazione Teatro Comunale di Modena istruito da Stefano Colò e che comporta uno sforzo produttivo notevole per quanto riguarda l’allestimento.

Ultima opera del cigno di Catania che, senza andar lungi, manca da tempo immemorabile al Teatro alla Scala come del resto quel capolavoro assoluto che è Norma, sebbene si prospetti all’orizzonte e timidamente Il pirata.

E dunque qui ci si trova con un cast oggi per oggi “il meglio possibile”: banco di prova dei tenori (I puritani non si programmano senza aver la certezza dell’Arturo!) a dieci anni dal debutto di ruolo in quel di Bologna in alternanza con il peruviano Juan Diego Florez (che però l’aveva già cantato a Las Palmas di Gran Canaria), Celso Albelo si conferma ai massimi livelli. La completa padronanza di un registro acuto fulminante nel Do e nel Re sovracuto – il Fa, suono che a Bologna prese in piena voce, essendo una “prodezza” che la saggia maturità dell’interprete evita molto opportunamente – si sposa con un legato di grande maestria, con messe di voce e controllo assoluto delle dinamiche: note prese piano, rinforzate e quindi smorzate senza sforzo apparente e con totale naturalezza. Inoltre l’interprete sa essere vario nel fraseggio e acceso nell’accento: per esempio nel furente terzetto del primo atto con Riccardo ed Enrichetta. Belle le sue esplosioni canore in “Non parlar di lei che adoro”, dove la cantabilità si espande piena e lucente. Nostalgico e poetico tanto nella “melodia lunga lunga” di “A te, o cara” quanto nel canto del pellegrino al terzo atto. Esplosivo nel “Vieni tra queste braccia” e nel successivo “Credeasi misera”. Trionfo finale meritatissimo.

Altra piacevolissima conferma ci viene dalla straordinaria Elvira di Irina Lungu, ormai italianissima per carriera e residenza, che debutta il ruolo e che dimostra di averlo già acquisito nella sua pienezza, sia vocale che interpretativa. Sin dall’accorato duetto con lo Zio che nella Polonaise “Son vergin vezzosa”, variata con ottimo gusto, che nel drammatico svilupparsi della pazzia al finale primo. Quindi superlativa tanto nel recitativo che nel cantabile e quindi nella cabaletta del secondo atto ed infine splendida in tutto il terzo. Voce svettante, ma anche liricamente corposa: non già una pallida coloratura, ma liricamente piena e timbrata in tutto l’arco del suono. Si sommi la bellezza della donna, il fascino del gesto e del portamento e si capisca l’entusiasmo del pubblico alla fine dell’opera.

Il pubblico ha gratificato con applausi molto insistiti il basso Luca Tittoto, Sir Giorgio: in effetti come non condividerne l’entusiasmo? Si sente di rado una voce grave cantare con tanto gusto e morbidezza, risultando davvero paterno e confortante nella sua decisiva autorevolezza. Nel canto del secondo atto, col coro, ha dosato la voce con estrema efficacia drammatica, senza mai spingere un suono anzi, mantenendo un patetico canto a fior di labbro: bravissimo!

Una sorpresa, del tutto impiccionesca ma non si può sempre essere a conoscenza di tutto, l’ha riservata il baritono argentino Fabian Veloz che finora non si aveva avuto il piacere di ascoltare. La sola sua sortita “A per sempre io ti perdei” vale da sola la trasferta. Anche qui un esempio di una vocalità importantissima, con un timbro virile e vellutato nel contempo, maschio ma non cavernoso e fluente con ricchezza di armonici, dotato di un acuto solido e tenuto senza problemi. Ma ciò che più conta la sensibilità dell’interprete, che canta e non sbraita in un ruolo dove spesso si sente furia vocale più che interpretativa. Altro elemento che fa riflettere sulla “bufala” della mancanza di voci (e di interpreti!) bisogna solo saperli ascoltare e proporre loro ruoli che siano consoni alle loro capacità.

Il cast comprendeva pure l’ottima Enrichetta del mezzosoprano Kato Nozomi ed i funzionali Sir Gualtiero di Lorenzo Malagola Barbieri e il Sir Bruno Robertson del tenore Kim Keon Woo, accumunati nell’applauso finale che ha coinvolto pure il direttore d’orchestra, Jordi Bernàcer di Valencia: un bel gesto, attenzione massima al palcoscenico e una lettura stimolante nei ritmi e seguita la meglio dalla citata orchestra e dal coro locale.

Lo spettacolo, di grande suggestione ed eleganza, si avvale del bellissimo impianto scenico di Rinaldo Rinaldi e di Maria Grazia Cervetti, che ricreano uno stilizzato forte che via via si sgretola, come lo spirito della protagonista impazzita, per la guerra civile dei tempi di Oliver Cromwell. Ben dosate le luci di Andrea Ricci e coerenti le coreografie di Domenico Iannone. I costumi elegantissimi e giocati sui toni del nero e del grigio, salvo quello rosso e poi blu della protagonista, come la regia, rispettosa della drammaturgia, ma con dei tocchi indovinati di originalità nella figurazione che interviene sempre a proposito, si debbono a Francesco Esposito che firma qui uno degli allestimenti più riusciti non solo tra i suoi e a Modena, ma dell’intera stagione in corso in Italia.

Il pubblico  che affollava il teatro, in gran parte giunto da fuori sede per la pomeridiana di domenica 19 marzo, ha molto gradito attardandosi ad applaudire in ripetute chiamate alla ribalta. Si replica a Piacenza il prossimo 24 e 26 marzo: chi può, non manchi l’appuntamento!

Andrea Merli

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