MILANO: la Traviata – Teatro alla Scala 28 febbraio 2017

MILANO: la Traviata – Teatro alla Scala 28 febbraio 2017

Giuseppe Verdi
Melodramma in tre atti.
Libretto di Francesco M. Piave
(Editore Casa Ricordi, Milano)

Direttore: Nello Santi
Regia: Liliana Cavani

Personaggi e Interpreti:

  • Violetta Valery: Ailyn Perez (28 feb.; 3, 5 mar.), Anna Netrebko (9, 11, 14 mar.)
  • Flora Bervoix: Chiara Isotton
  • Giorgio Germont: Leo Nucci
  • Alfredo Germont: Francesco Meli, Ivan Magrì (3 marzo)
  • Barone Douphol: Costantino Finucci
  • Marchese D’Obigny: Abramo Rosalen
  • Dottor Grenvil: Alessandro Spina
  • Annina: Chiara Tirotta*
  • Gastone: Oreste Cosimo*
  • Giuseppe: Jérémie Schütz*
  • Domestico: Gustavo Castillo*

*Allievo dell’Accademia Teatro alla Scala

Scene: Dante Ferretti
Costumi: Gabriella Pescucci
Luci: Marco Filibeck

Coro, Orchestra e Corpo di Ballo del Teatro alla Scala

Produzione Teatro alla Scala


La “prima” di sei recite fuori abbonamento della ripresa de La traviata nello “storico” allestimento firmato per la regia da Liliana Cavani, per le scene da Dante Ferretti e per I costumi da Gabriella Pescucci – lasciato decisamente nel freezer quello delle zucchine e tagliatelle di appena tre anni fa – è stata accolta con una Standing Ovation.

Si dirà “e già, una fuori abbonamento”. Certo, a sala stracolma di pubblico pagante e assolutamente voglioso di rivedere ed ascoltare “La traviata”, quella di Verdi per intenderci. E se le recite fossero venti anziché sei il “miracolo” si ripeterebbe. Anche senza il richiamo della “diva” Netrebko, la quale per altro subentrerà per le ultime tre recite – sperem, si dice a Milano… – alla pur bravissima Aylin Pérez, messicana di Chicago e sorprendente protagonista.

Sorprendente, sì. Soprano lirico schietto, già apprezzato nella Bohéme “di Dudamel” in Scala e di carriera internazionale dopo aver vinto l’Operalia indetto dal grande Plassy. Il primo atto passa bene, con un intenso “A forse è lui” ed una cabaletta presa quasi con rabbia e sarcasmo in una esecuzione che, pure senza l’opzionale Mi bemolle conclusivo, fa scattare il primo e prolungato applauso. Il volo, quindi, avviene nel secondo atto. Complice una lettura non meno che emozionante, proprio nella scelta dei tempi dilatati e nella trasparenza orchestrale – orchestra a dir poco smagliante, l’altra sera – che consente una partecipazione totale alla parola cantata, un’espressività da grande teatro con una recitazione da brivido. E pensare che si è dovuto attendere che compisse 86 anni per riaverlo in Scala, Nello Santi! Un direttore che ci ricorda cosa sia la grande scuola italiana, che con un solo colpo spazza via la fretta ed il pressapochismo scambiati per “genialità” e che sostiene il palcoscenico con maestria assoluta, al punto di cantare le frasi del Marchese, palesemente in ritardo nella scena delle zingarelle. Un grande vecchio? Ecco, ne abbiamo bisogno. Di giovanetti imberbi ed inesperti non sappiamo cosa farcene. E qui si deve tirare in ballo la maestria di Leo Nucci, che alla soglia dei suoi “primi” 75 anni, un arietaccio pure lui li compie in aprile, ci offre un’altra lezione magistrale: di tecnica, con un legato ancora ben saldo e con una voce che é sempre lì, sfolgorante in acuto e salda come una torre. Ma ciò che impressiona è la profondità dell’interprete che nel ruolo di Germont può mettere a segno non solo tutti I segni d’espressione insiti nello spartito – il primo, datato 1961 con la dedica della mamma! – ma grazie ad una mimica incredibile, ad una postura ineguagliabile in scena, ci rende nella sua totale dimensione umana, facendoci dimenticare la finzione scenica.

Francesco Meli, professionalmente una roccia, non era in perfette condizioni fisiche, ma lo hanno capito solo quelli che lo conoscono a menadito e sanno che, passato il raffreddore, supererà sé stesso in corso di repliche. Pur così oltre alla gagliardia irresponsabile del personaggio, forse il ruolo più insidioso e meno gratificante dell’intera galleria verdiana, ha aggiunto un canto appassionato, una recitazione credibile e scanzonata, quando non precisa e decisa nel furore della gelosia, regalandoci anche mezze voci e colori, specie nel bellissimo e struggente ultimo atto, dove tutti sotto la guida di Santi si sono superati.

Citiamo, infine, la lunga lista di ruoli di fianco, centratissimi e ben distribuiti: la rigogliosa Flora di Chiara Isotton e la amorevole Annina di Chiara Tirotta, il brillante Gastone di Oreste Cosimo (Alfredo con la compagnia di Aliverta, non ce lo scordiamo!) l’autorevole Dottor Grenvil di Alessandro Spina, il furente barone di Costantino Finucci e lo svagato Marchese del pur bravo Abramo Rosalen, basso baritono di Pordenone. Completavano il quadro I puntuali Giuseppe di Jérémie Schutz ed il Commissionario nonché domestico di Flora, Gustavo Castillo.

Si ritornerà sul “luogo del delitto” il 9 marzo per la “donna russa”, che ci auguriamo che tenga fede al detto d’essere “femmina due volte”, e riferiremo. Chi può, se trova biglietti, non manchi gli appuntamenti sceligeri: un balsamo per le orecchie e per lustrarsi gli occhi!

Andrea Merli

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