JESI: la Traviata 4 e 5 febbraio 2017
LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave dal dramma La dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio
Musica di Giuseppe Verdi
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro La Fenice, 6 marzo 1853
Edizioni Casa Ricordi, Milano
regia: Franco Dragone
direttore: Giuseppe Montesano
personaggi e interpreti:
- Violetta Valéry: Salome Jicia, Nunzia De Falco
- Flora Bervoix: Mariangela Marini
- Annina: Teresa Stagno
- Alfredo Germont: Ivan Defabiani
- Giorgio Germont: Giovanni Meoni
- Gastone, Visconte di Létorières: Daniele Adriani
- Il barone Douphol: Omar Kamata
- Il marchese d’Obigny: Cuneyt Unsal
- Il dottor Grenvil: Enrico Marchesini
- Giuseppe: Alessandro Pucci
- Un domestico di Flora: Massimiliano Fiorani
- Un commissionario: Franco Di Girolamo
scene: Benito Leonori
costumi: Catherine Buyse Dian
disegno luci Fabrizio Gobbi
assistente alla regia Michele Mangini
Orchestra Sinfonica “G. Rossini”
Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini”
Maestro del Coro Carlo Morganti
Nuovo allestimento della Fondazione Pergolesi Spontini
Questa nuova produzione de La traviata a Jesi, che conclude una stagione piuttosto stimolante, è foriera di un futuro che si profila laborioso e roseo.
Costituisce la “data zero” della creazione del “Dragone Studio” a Jesi, consolidando la relazione strategica tra Fondazione Pergolesi Spontini per cui Franco Dragone, regista di memorabili spettacoli per il Cirque du Soleil e di grandi eventi attualmente in cartellone in tutto il mondo, da Los Angeles al Lido di Parigi ed alla Cina, ha curato lo scorso settembre l’inaugurazione del XVI Festival Pergolesi Spontini seguita da 2500 persone. Trasformare Jesi, dove già sono attivi laboratori di scenografia che producono spettacoli per molti teatri e fondazioni, in un punto di incontro per operatori e centro di produzione a livello mondiale, offrendo a giovani e meno giovani la possibilità di interagire con il mercato globale dello spettacolo dal vivo, dopo adeguati percorsi formativi ed esperienze di produzione.
Al lodevole ed impegnativo progetto é poi seguita una regia che ha lasciato qualche perplessità. Dragone, di origini italiane ma naturalizzato belga, sceglie la via della “sottrazione”. Proprio lui che ha percorso con eventi fantasmagorici anni di brillante carriera, dallo show di Céline Dion nel 2003 al Caesar’s Palace di Las Vegas alle cerimonie di apertura e di chiusura dei Mondiali di Calcio in Brasile nel 2014. Chi si fosse aspettato, ragionevolmente e prevedibilmente come da libretto e musica, sfavillio di costumi e colori, di zingarelle e toreri, di passione e di coinvolgimento emotivo, è rimasto fortemente deluso da una versione glaciale dell’opera, in cui si individua in Violetta l’unica anima pura mentre tutti gli altri appaiono immersi nel grigiore spettrale della morte e della desolazione. Particolarmente decisiva, in tal senso, la scelta di tenere il coro assolutamente immobile su una gradinata che, seppur divisibile, rimane l’unico elemento scenico assieme a dei drappi enormi, sempre grigi, laterali e pivottanti ed una enorme cornice che funge da specchio nel primo atto e da porta verso l’al di là nell’ultima scena. Nullo l’attrezzo, sostituito da proiezione delle carte sul pavimento durante la scena del gioco; nel voluto “pauperismo” non c’è nemmeno un letto: Violetta, finalmente in grigio pure lei, dorme su un giaciglio in terra e alle parole “A, ma io ritorno a vivere, o gioia” si avvia verso il fondo rimanendo in piedi, mentre a crollare per terra è il povero Alfredo. C’è sempre una prima volta: in questa produzione a morire è dunque Alfredo! Scenografia firmata da Benito Leonori, costumi di CatherineBuyse Dian.
A tanto rigore formale, non privo di una compostezza cimiteriale, è corrisposta una lettura a tratti elettrizzante che ha visto debuttare il giovane Maestro torinese Giuseppe Montesano. Attualmente attivo in Austria, a Vienna dove è direttore della Wierner Mozart Orchester, ha un bel gesto ed un buon senso del ritmo. Ha dimostrato pure una capacità notevole nel mantenere salde le redini in un rapporto col palcoscenico non facilissimo, dovuto ad improvvise sostituzioni. Di questa Traviata si è assistito a due recite, la prima il sabato 4 febbraio prevedeva il solo cambio nel cast della protagonista, all’occasione il soprano salernitano Nunzia De Falco, giovanissima allieva di un altro soprano, Patrizia Orciani. La voce è sicuramente in fase di maturazione e la sua Violetta, trepidante ed assai ben cantata con una disciplina notevole ed una sensibilità tangibile nell’uso delle mezze voci, dei filati e con un legato ben eseguito, ha avuto al debutto un meritato successo, sebbene fosse anche evidente il nervosismo che è andato via scemando durante la recita. Se il Mi bemolle non scritto è stato prudentemente evitato a conclusione della cabaletta, le cui agilità vanno pure rifinite, lo slancio ed il temperamento che ha prodigato nelle frasi appassionate di “Amami Alfredo!” le sono valse un meritato applauso a scena aperta e da lì in poi la recita è andata in crescendo.
Perdurando la bronchite di cui era affetto, il tenore Ivan Defabiani, cui spettava l’onere di tre recite di fila oltre alla precedente “generale” aperta al pubblico, alla recita di sabato è subentrato a tambur battente il tenore koreano Sehoon Moon che ha salvato la recita con grande successo, poiché possiede se non una voce di espansione verdiana, una tecnica ben rifinita, gusto nel porgere ed una naturale eleganza nel canto. Forte di una professionalità a prova di bomba, Giovanni Meoni ha ricreato il suo monumentale, ma nel contempo umanissimo, Giorgio Germont. La linea di canto nobile ed impeccabile, la sicurezza sia nell’emissione che nell’acuto e l’aplomb scenico, nonostante un costume che lo infagottava, gli hanno garantito un trionfo personale, assolutamente condivisibile. Egli ha doppiato e con risultati sempre esaltanti la recita della domenica 5 febbraio, a poche ore dall’altra poiché trattavasi di una pomeridiana.
Così abbiamo potuto finalmente ascoltare il soprano georgiano Salome Jicia, pure debuttante di ruolo, preceduta da una certa fama guadagnata al Festival Rossini di Pesaro la scorsa stagione. Il materiale vocale è indubbiamente interessante e pure ricco in decibel, che però sono stati assai male amministrati in un canto decisamente puntato sul forte e fortissimo, con poche sfumature e colori e con l’acuto prossimo al grido e, comunque, scantonando pure lei il famigerato Mi bemolle conclusivo al primo atto. Sinceramente ha sorpreso in negativo, sebbene alla fine sia stata festeggiata dal pubblico. Di Defabiani si può solo confermare la natura generosa di una vocalità di tutto rispetto, schiettamente tenorile, dotata di ottimo squillo e ben proiettata in avanti. Lo stato di salute, purtroppo, ha condizionato l’intera recita costellata da suoni fluttuanti nell’intonazione compreso il Do sfiorato, e non tenuto per evitare la stecca, a corona della cabaletta “O mio rimorso o infamia”. Curiosamente il tenore, piemontese di Alagna in Valsesia, aveva emesso un bel Do ad libitum ed in quinta durante il pertichino nella cabaletta di Violetta. Scherzi di una natura che va assolutamente imbrigliata e che, se sarà oggetto di studio e perseveranza, ci garantirà un ottimo elemento nel prossimo futuro.
Bene l’orchestra Sinfonica “G.Rossini” e buono il coro Lirico Marchigiano “V.Bellini” diretto da Carlo Morganti. Più che dignitose le parti di fianco, tra cui piace ricordare il poderoso Barone Douphol del bartiono Omar Kamata (che qualche tempo fa ascoltai quale bravo Germont nella compagnia VoceAllopera), la buona Flora del mezzosoprano Mariangela Marini e con lei il tenore Daniele Adriani, (Gastone), il baritono Cunet Unsal (Marchese) ed il basso Enrico Marchesini, Dottor Grenvil. Completavano il cast: Alessandro Pucci (Giuseppe), Massimiliano Fiorani (domestico di Flora), Franco di Girolamo (commissionario), Teresa Stagno (Annina).
Andrea Merli