GENOVA: Teatro Carlo Felice – Falstaff – 20 gennaio 2017
FALSTAFF
è l’ultima opera di Giuseppe Verdi. Il libretto di Arrigo Boito fu tratto da Le allegre comari di Windsor di Shakespeare, ma alcuni passi furono ricavati anche da Enrico IV, il dramma storico nel quale per la prima volta era apparsa la figura di sir John Falstaff.
Direttore d’Orchestra: Andrea Battistoni
Regia: Luca Ronconi ripresa da Marina Bianchi
Personaggi e Interpreti principali:
- Sir John Falstaff: Carlos Álvarez
- Ford: Alessandro Luongo
- Fenton: Pietro Adaìni
- Dottor Cajus: Cristiano Olivieri
- Bardolfo: Marcello Nardis
- Pistola: Luciano Leoni
- Mrs. Alice Ford: Rocío Ignacio
- Nannetta: Leonore Bonilla
- Mrs. Quickly: Barbara Di Castri
- Mrs. Meg Page: Manuela Custer
Scene: Tiziano Santi
Assistente alle scene: Alessia Colosso
Costumi: Tiziano Musetti
Luci: A. J. Weissbard
Assistente alle luci: Pamela Cantatore
Mimi DEOS: Luca Alberti, Filippo Bandiera, Andrea Dionisi, Maria Francesca Guerra, Nicola Marrapodi, Andrea Repetto Miradello, Roberto Orlacchio, Marco Pericoli, Davide Riminucci, Luca Vacchetta.
Figurante: Vanessa Locandro
Allestimento, Fondazione Teatro di San Carlo, Fondazione Teatro Petruzzelli Bari, Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice
Maestro del Coro, Franco Sebastiani
“Tutto nel mondo è burla” con l’incipit della Fuga che conclude l’opera Andrea Battistoni, direttore d’orchestra ritrovatosi improvvisamente al buio, ha spiritosamente commentato l’improvviso ed improvvido blackout che lo ha costretto ad interrompere l’esecuzione a metà del terzo atto, proprio alla fine del rintocco delle campane che segnano la mezzanotte, l’ora del rinnovato appuntamento galante di Sir John Falstaff con la bella Alice sotto la quercia di Herne nel parco di Windsor. Se amor ama il mistero, al Teatro Carlo Felice di Genova la sera della “prima”, venerdì 20 gennaio, si è avuto anche un attimo suspence all’annuncio di rimanere tranquilli da parte di un responsabile del palcoscenico, poiché l’energia elettrica è stata ripristinata dopo pochi minuti e la recita, che pure stava trasmettendosi in diretta Streaming TV, si è ripresa con un sospiro di sollievo da parte di tutti.
La risata finale, il capolavoro verdiano ha inaugurato con un franco successo il 2017 al Teatro Carlo Felice di Genova: felicissimo spettacolo. Ultimo lavoro di Luca Ronconi, cooprodotto col Teatro di San Carlo di Napoli, il Petruzzelli di Bari ed il Maggio Musicale Fiorentino, ripreso fedelmente da Marina Bianchi – la scena, e soprattutto l’attrezzo, che ci rimanda ad una sorta di scalcinata, a tratti surreale, archeologia industriale, la firma Tiziano Santi, i bellissimi costumi nello stile dell’epoca in cui l’opera fu composta sono di Tiziano Musetti mentre la sapiente e suggestiva illuminazione si deve a A.J. Weissbard – ci ricorda, qualora ce ne fosse bisogno, che in Italia il “Regietheater” d’oltralpe arriva fuori tempo massimo: in teatro si può fare di tutto, purché tutto abbia un senso e questo “testamento artistico” ronconiano, dopo una carriera costellata da spettacoli memorabili e non solo in campo operistico, ne costituisce la riprova. In scena non c’è nulla in pratica, eppure c’è tutto. La camera di Falstaff, una disordinata accozzaglia di mobili da trovarobato; la casa di Ford, una tenda, un paravento e l’immancabile cesta del bucato. Il momento più suggestivo, non compromesso dall’improvvisa mancanza di luce e dal conseguente calo di tensione, non solo elettrica, specie tra il pubblico, rimane comunque quello in cui dal soffitto scende sul letto di Falstaff, che vi giace rannicchiato, la quercia con le radici che lo avvolgono quasi fossero i tentacoli di un polipo: sogno o realtà? Appunto.
Se il pubblico ha dimostrato di gradire molto lo spettacolo con lunghi applausi alla ribalta finale nella vana attesa che i responsabili della parte visiva uscissero per essere festeggiati (bastava che qualcuno avesse alzato un braccio al cielo) ancor di più è piaciuto l’aspetto musicale.
Iniziando dal debuttante protagonista, il baritono di Malaga Carlos Alvarez, che ha fornito una prova a dir poco sbalorditiva. Il ruolo, risaputamente, è un punto di arrivo, banco di prova della maturità artistica di ogni baritono che si rispetti. Alcuni vi giungono a fine carriera, quando il mezzo è ormai usurato e riescono con l’esperienza – con l’astuzia e con l’arguzia, parafrasando il Don Bartolo mozartiano – a venirne a capo. Non è il caso di Alvarez che affronta il ruolo in scena, dopo averlo eseguito una sola volta in forma concertante, con la pienezza di una voce superlativa per bellezza timbrica, tecnicamente perfetta sia nella proiezione che nell’emissione, che il baritono “collega” – lui ci tiene a sottolineare di essere pure laureato in medicina – usa con rara sapienza e gusto, rispettando i segni dinamici dal pianissimo al fortissimo, passando dal falsetto richiesto in più punti, con un legato e tenuta dei fiati esemplari. Ma al di là e sopra ogni cosa, ha sedotto la completezza della sua interpretazione: se il buon giprno si vede dal mattino è lecito aspettarsi da lui altre e meravigliose repliche che saranno rese ancora più preziose dalla frequentazione del ruolo. Egli riesce a dare l’immagine tronfia del personaggio con grande sense of humor e mantenendone sempre in evidenza il lato nobiliare, senza scendere a compromessi di volgarità, anzi con un’autoironia ed un sarcasmo che lo rendono ancora più umano; in una parola: verdiano. E’ stato accolto da un applauso trionfale e da grida di “bravo“ a cui si è contribuito spontaneamente .
Ma non era solo. In campo maschile il suo antagonista, con voce ed interpretazione identificabili ma per molti versi diverse seppur perfettamente complementari, per esempio nel duetto del secondo atto, è stato l’ineccepibile baritono Alessandro Luongo, che ha creato un Ford deciso e squillante in acuto, ma anche con una ottima tenuta in zona medio grave: il suo “sogno” ha letteralmente incantato l’intero auditorio, che non è scoppiato in un fragoroso applauso solo per la continuità della musica. Molto bene anche il fresco e baldanzoso Fenton del tenore Pietro Adaìni, uno degli elementi tra i giovani cantanti da non perdere d’occhio. Straordinario per proiezione vocale e caratterizzazione il Cajus del tenore Cristiano Olivieri, in una parte insidiosa e pure antipatica, e molto ben integrati nello spettacolo sia il Psitola di Luciano Leoni che il Bardolfo di Marcello Nardis.
Con le donne si è stati pure fortunati: bella e molto sexy, in una regia che la vuole provocante, ammiccante e anche complice nella seduzione del beffeggiato Sir, la Alice del soprano Rocio Ignacio, dalla voce assai ben proiettata, apprezzabile nella zona acuta aggredita con forte personalità. Deliziosa e per contrasto più angelica, seppure altrettanto coquette, la Nannetta del soprano sivigliano e quindi andaluso, come del resto Alvarez e la Ignacio, Leonor Bonilla. Un’artista che si segue in un’evoluzione davvero esaltante: prima a Piacenza quale Fiorilla nel Turco rossiniano, quindi a Martina Franca nella Francesca da Rimini di Mercadante. Il suo bagaglio tecnico è notevolissimo in considerazione della giovane età; si sposa con una voce rimarchevole ed a tutto ciò si sommi la bellezza radiosa e l’eleganza squisita, tenendo conto del suo passato di ballerina classica e dunque sciolta nelle movenze con scenica scienza.
Molto centrate sia la spiritosa Quickly impersonata da Barbara Di Castri, che la pepatissima Meg di Manuela Custer, due professioniste esemplari per tenuta vocale e scenica, entrambe dotate di uno spirito indiavolato che ha garantito loro, da subito, le simpatie del pubblico.
Molto bene l’orchestra e così il coro, istruito dal Maestro Franco Sebastiani. Di Battistoni, che in un processo di continuo superamento sta convogliando il suo innegabile talento a risultati artistici e musicali sempre più apprezzabili, rimarrà impressa la direzione, attenta e partecipe a sostenere le voci, decisa con dinamiche che esaltano il lato sinfonico della partitura, ma senza mai trascurare le cangianti tinte e le infinite nuances e nel contempo teatralissima nella tenuta dei tempi. Accolto pure lui, buon ultimo, da un meritato successo.
Andrea Merli