BARCELLONA: Eugene Onieghin – Pyotr Ilyich Tchaikovsky, 4 ottobre 2023

BARCELLONA: Eugene Onieghin – Pyotr Ilyich Tchaikovsky, 4 ottobre 2023

Eugene Onieghin

Pyotr Ilyich Tchaikovsky

opera in tre atti
su libretto di Pyotr Ilyich Tchaikovsky e Konstantin Shilovsky

basato sull’omonimo romanzo in versi di Alexander Puskin
Prima mondiale: 29/3/1879 al Conservatorio di Mosca
Prima assoluta a Barcellona: 4/1/1955 al Gran Teatre del Liceu

Direttore Josep Pons

Regia Christof Loy

Personaggi e Interpreti:

  • Larina Liliana Nikiteanu
  • Tatiana Svetlana Aksenova
  • Olga Vittoria Karkacheva
  • Filipievna Elena Zilio
  • Eugene Onegin Audun Iversen
  • Vladimir Lenski Alexey Neklyudov
  • Principe Gremin – Zaetsky Sam Carlo
  • Capitano Josep Ramón Olivé
  • Monsieur Triquet Mikeldi Atxalandabaso

Ballerini Anna Briansó, Patricia Hastewell, Irene Madrid, Clara Navarro, José Ruiz, Mikael Rønne e Marianne Ustvedt.
Coreografia Andreas Heise
Scenografia Raimund Orfeo Voigt
Costumi Herbert Murauer
Luci Olaf Inverno
Produzione Den Norske Opera (Oslo), Teatro Real (Madrid) e Gran Teatre del Liceu

Coro del Gran Teatre del Liceu (Pablo Assante, direttore)
Orchestra Sinfonica del Gran Teatre del Liceu

 

Gran Teatre del Liceu, 4 ottobre 2023


La stagione al Liceu si apre con l’Onieghin, opera che mancava dalle scene Barcellonesi dal 1985. Troppo per un capolavoro di tale fatta, molto amato dal pubblico che frequenta il Colosseo delle Ramblas. La produzione arriva dall’Opera di Oslo e la firma Christof Loy per la regia, scene di Raimund Orfeo Voigt, costumi di Herbert Maruer, luci di Olaf Winter, coreografia di Andreas Heise e nasce in collaborazione pure col Teatro Real di Madrid, dove approderà la prossima stagione.

Modestissimo spettacolo: una sorta di tinello nel prima parte che racchiude due atti, da dove si intravedono scale a sinistra e un cortile in fondo attraverso porte a vetri e finestroni, tutto sui toni grigi così come di colore spento ed austero sono i costumi delle donne, più o meno contemporanei, una scatola bianco accecante con unica porta, il tutto a ridosso del palcoscenico, per il resto dell’opera. Quando il minimalismo rasenta e spesso tracima il “nullismo”. L’intento registico sarebbe quello di inquadrare le due solitudini, di Tatiana prima, di Eugenio poi. Infarcendo il tutto da una schiera di mimi attori/ballerini invadenti con controscene del tutto inutili: la cameriera che addenta la mela, quella che pulisce l’argenteria, un’altra che tiene i conti di casa. Personale sboccato, con urla ripetute sulla musica, ed assatanato in scene di sesso che lasciano quanto meno perplessi. Che poi, mi chiedo e chiedo, si può concepire un’amicizia tra due persone dello stesso sesso senza che pratichino sesso? Per Loy pare di no. Le allusioni tra Onieghin e Lensky sono esplicite, e ci si stupisce solo che Tatiana ed Olga non se ne rendano conto, mentre lo ha capito da subito la fedele Filipievna. Tralasciamo poi la volgarità truzza di Onieghin, scomposto, manesco, che al duello si porta come testimone una marchetta (Guillot). Il vantaggio? Uno ce n’è sempre: la scatola armonica che ha favorito il canto.

Sul podio Josep Pons dirige metronicamente bene, con scarse intenzioni e pochi colori, esagerando spesso nei “forte” la pur brava orchestra sinfonica del Liceu. La tenuta c’è`quasi semprre, anche se tenere a bada il coro, stritolato ed ammassato nel breve spazio scenico, costretto a una gestualità sboccata, a caroselli, urla e quant’altro, non è risultato cosa facile. Quest’ultimo, ben istruito da Pablo Assante.

Due i cast: ci si riferisce a quello della prima, dove ha spiccato l’ottimo Lenski del tenore russo Alexey Nekludov, linea esemplare, bello slancio lirico e controllo delle dinamiche gli hanno garantito già nel primo atto un ingresso intenso e commovente, raggiungendo l’apice ovviamente nell’aria “Kuda, kuda” della seconda parte. Nei panni di un ragazzaccio ipersessuale e violento, anche ironico e volutamente sguaiato, è parso perfetto nell’osservare la regia il baritono Audun Iversen, ottimo anche sotto il profilo vocale e molto convincente nel duetto finale. Pallida Tatiana, in senso sia fisico che vocale, piuttosto il soprano Svetlana Aksenakova, dalla voce opaca, ingolata nel centro e piuttosto asprigna in acuto, però l’aria della lettera se l’è portata a casa e poi alla fine ha raggiunto un momento espressivo con Onieghin. Bene la Olga tal timbro sopranile di Victoria Karkacheva, accettabile la Larina di Liliana Nikiteanu, e molto apprezzato il triquet del tenore Mikeldi Atxalandabaso, chissà perché trasformato in un pagliaccio.

Un discorso a parte merita la Filipievna di Elena Zilio, classe 1941, che negli ultimi anni sta conoscendo una vera e propria “estate di San Martino”. “Il mio agente (Virginio Fedeli, ndr.) mi dice: con te non devo lavorare, faccio fatica a rispondere al telefono a tutte le richieste e proposte”. Mamma Lucia, Zita, Madelon sono ruoli che ormai per lei sono di riferimento: qui, nel cameo della nutrice di Tatiana supera sé stessa: quando entra in scena per gli altri (e altre) non ce n’è. Qui troncarla convien… non ci fosse la Zilio, bisognerebbe inventarla!

Andrea Merli

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