LIEGI: Adriana Lecouvreur – Francesco Cilea, 18 aprile 2023

LIEGI: Adriana Lecouvreur – Francesco Cilea, 18 aprile 2023

Adriana Lecouvreur

opera lirica di Francesco Cilea

su libretto di Arturo Colautti

dal dramma Adrienne Lecouvreur di Eugène Scribe ed Ernest Legouvé

Prima rappresentazione  6 novembre 1902 al Teatro Lirico di Milano


Direttore Christopher Franklin

Regia Arnaud Bernard

Personaggi e Interpreti:

  • Maurizio Luciano Ganci
  • Il Principe di Bouillon Mattia Denti
  • L’Abate di Chazeuil Pierre Derhet
  • Michonnet Mario Cassi
  • Quinault Luca Dall’Amico
  • Poisson Alexander Marev
  • Adriana Lecouvreur Elena Mosuc
  • La Principessa di Bouillon Anna Maria Chiuri
  • Madamigella Jouvenot Hanne Roos
  • Mdamigella Dangeville Lotte Verstaen
  • Un Maggiordomo Benoît Delvaux

 

Scene Virgil Koering
Costumi Carla Ricotti
Coreografia Gianni Santucci
Luci Patrick Méeüs

 

 

Teatre Royal de Wallonie, 18 aprile 2023


Nuova produzione di Adriana Lecouvreur, opera che ultimamente si vede rappresentare su vari palcoscenici internazionali, al Teatre Royal de Wallonie a Liegi ed è subito grande successo di pubblico.

L’interesse principale, almeno per il sottoscritto, stava nel debutto di Elena Mosuc nella parte della sfortunata attrice della Comédie Française morta avvelenata, secondo una leggenda non priva di fondamento e sostenuta proprio dal suo maggior ammiratore Voltaire, il 20 marzo del 1730. Seguo da tempo quasi immemorabile l’intensa e variegata carriera del soprano rumeno, nazionalizzato svizzero, in un percorso che iniziai in quel di Salonicco con una Lucia di Lammermoor dove fu per me un’autentica rivelazione per il grande talento e per la tecnica impeccabile. Renata Scotto, cui era affidata la regia, mi prese da parte e mi confidò: “questa ragazza è destinata a fare una grande carriera” e fu profetica. Col passare degli anni e con la maturità vocale ed artistica, la Mosuc approda ora ad un repertorio più complesso, squisitamente lirico, senza però mai tradire le radici belcantiste. Nell’affrontare per la prima volta un personaggio che fu cavallo di battaglia di Magda Olivero e di Raina Kabaivanska (e mi limito a due esempi, ma la lista potrebbe continuare con altri importanti nomi) ella si scosta, con grande intuito ed intelligenza, dal cliché della “prima donna” d’impronta Verista, decadente, ché pure è una frequentata e plausibile chiave interpretativa, per privilegiare il lato umano della donna semplicemente innamorata, ma pronta all’estremo sacrificio, imposta per altro dalla efficace e coerente regia. C’è un notevole distacco tra l’enfatico declamato che precede la fatidica “Umile ancella” e, soprattutto, la “scena del richiamo” da Fedra nel terzo atto, opportunamente resi “alla Sarah Bernhardt”, ed il canto intimo, appassionato con Maurizio o piuttosto il discorrere, in un esemplare canto di conversazione, con Michonnet. Sul piano strettamente vocale, Adriana non le crea problemi, né nel settore acuto – qui a dire il vero mai messo a dura prova – né in zona medio grave della voce, teoricamente più improba per le caratteristiche vocali della Mosuc, la quale dimostra di poterla sostenere con ampiezza di suoni, senza forzature e con una cavata che supera agevolmente i pieni d’orchestra. Dove seduce e commuove in particolare è nel quarto atto, facendo sfoggio di messe in voce e fiati interminabili “alla Caballé”, chiaro esempio seguito, riuscendo con grande intensità ad essere commovente e “vera” nella patetica scena della morte che la vede – intuizione registica non nuova ma pur sempre efficace – avviarsi sola verso il proscenio prima di stramazzare al suolo. Trionfo meritatissimo, sottolineato da puntuali e sostenuti applausi a scena aperta.

Ma tutto il cast si è rivelato assolutamente all’altezza. Il tenore Luciano Ganci, ormai di Maurizio di Sassonia ha fatto una “seconda pelle”. Voce stupenda per timbro, brillante e mediterraneo, la gestisce con ottima musicalità, riuscendo efficace tanto nell’appassionato slancio del primo duetto di entrata con Adriana, “La dolcissima effige”, quanto poi nel desolato canto de “L’anima ho stanca” confidato alla spasimante Principessa. Il racconto del Russo Mencikof, dal ritmo saltellante giocato sul passaggio, lo vede padrone della scena con spavalda baldanza. Una gran bella prestazione, sostenuta da una recitazione pure avvincente. Il mezzosoprano Anna Maria Chiuri, nei panni di una Bouillon che entra in scena come fosse scesa da un biplano da lei stessa pilotato, è godibilissima tanto nel canto dove si percepiscono tutte le intenzioni di ogni singola sillaba, con importanti affondi in zona grave ed altrettanto svettanti acuti, quanto nella recitazione sottile, ricca di ironia, caratterizzata da una sottile perfidia che ne fa un personaggio alla fin fine simpatico persino nella crudele smania di vendetta. Le carte se le gioca benissimo nel recitativo iniziale e poi nella sognante “O vagabonda stella d’oriente”, per sfociare nella furente rabbia del duetto con Adriana, uno dei momenti più attesi di tutta l’opera.

Molto bene il baritono Mario Cassi, Michonnet, cantato con dovizia di mezzi e con voce generosa quanto il paterno e tenero personaggio richiedono; sono piaciuti pure il sempre affidabile basso Mattia Denti, autorevole Principe di Bouillon ed il tenore Pierre Derhet, ottimo e sguisciante Abate di Chazeuil. Benissimo anche il basso Luca Dall’Amico, Quinault dalla voce perfettamente emessa, e con lui i preparatissimi altri Soci della Comédie: Poisson, il tenore Alexander Marev, Madamigella Jouvenot, il soprano Hanne Roos e Madamigella Dangeville, il mezzosoprano Lotte Verstaen. Il maggiordomo che annuncia l’ingresso della Lecouvreur e poi del Conte di Sassonia nel terzo atto, ha scandito bene i versi, anzi i nomi: Benoit Delvaux.

Precisa la prestazione del coro, molto partecipe scenicamente, istruito da Denis Segond e assai bene l’orchestra che ha ubbidito alla sicura bacchetta impugnata da Christopher Franklin, il quale ha impresso un buon ritmo narrativo trovando anche il giusto slancio lirico nelle frasi più ispirate dell’opera.

Assai convincente lo spettacolo dovuto alla regia di Arnoud Bernard, che ha firmato pure le scene in collaborazione con Virgile Koering, mentre i costumi si debbono a Carla Ricotti, le luci a Patrick Mésüs e le divertenti coreografie del “Giudizio di Paride”, in stile Cubista e un po’ come quelli russi di Djagilev, sono state create da Gianni Santucci e rese assai bene dall’eccellente corpo di ballo. Si posticipa l’azione i tempi della “prima” dell’opera e la soluzione oltre che plausibile si rivela assai valida. Particolarmente ben costruito il primo atto, dove l’abbondante figurazione rende molto bene e con movimenti ad incastro come nel proverbiale meccanismo di un orologio svizzero, la frenetica vita dietro le quinte. Tutte le scene sono cambiate a vista in un gioco meta teatrale che funziona da un punto di vista sia drammatico che funzionale ed estetico. Una versione godibilissima, che il pubblico ha dimostrato di gradire in toto: oggi come oggi, evento raro mettere d’accordo il pubblico più conservatore con chi ama la novità e Bernard ci è riuscito assai bene.

Andrea Merli

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