GRAZ: La forza del destino – Giuseppe Verdi, 2 ottobre 2021

GRAZ: La forza del destino – Giuseppe Verdi, 2 ottobre 2021

La forza del destino

opera  in quattro atti

di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave

tratto da Alvaro o la forza del destino di Ángel de Saavedra

 

Direttore Matteo Beltrami
Regia Eva-​Maria Höckmayr

Personaggi e Interpreti:

  • Il Marchese di Calatrava Wilfried Zelinka
  • Donna Leonora Aurelia Florian
  • Don Carlo di Vargas Jordan Shanahan
  • Don Alvaro Aldo Di Toro
  • Preziosilla Mareike Jankowski
  • Padre Guardiano Timo Riihonen
  • Fra Melitone Neven Crnić
  • Curra Corina Koller
  • Un alcade Ivan Oreščanin
  • Mastro Trabuco Mario Lerchenberger
  • Un chirurgo Dariusz Perczak

Scene Momme Hinrichs
Costumi Julia Rösler
Luci Olaf Freese
Video Momme Hinrichs
Drammaturgo Marlene Hahn, Alexander Meier-​​Dörzenbach
Maestro del Coro Bernhard Schneider

 

Oper Graz, 2 ottobre 2021


La prima bella ed appagante sensazione la si ha entrando in teatro dove, una volta verificato il possesso del famigerato “green pass”, l’assistenza è garantita al cento per cento e senza l’obbligo di tenere la fatidica mascherina. Una sala piena, quella del magnifico edificio ottocentesco dell’Opera Graz, ricolma di pubblico evidentemente felice di ritrovarsi e di godere, finalmente, di un’opera dal vivo come due anni fa, è di per sè un bel successo.

Successo con punte di autentico trionfo -nel dettaglio al tenore, al soprano protagonisti ed al direttore d’orchestra- con frequenti applausi a scena aperta (mi si dice che il pubblico austriaco non interrompe, concedendo applausi, e con il contagocce, solo alla fine) che ha coinvolto tutti: la splendida orchestra, il magnifico coro, che ha recitato e danzato oltre che aver cantato benissimo prestandosi anche ai piccoli ruoli solistici, per tutti il Chirurgo Dariusz Perczak, istruito a menadito dal M° viennese Bernhard Schaneider, gli interpreti e pure i fautori della nuova produzione: la regista Eva-​Maria Höckmayr, lo scenografo  Momme Hinrichs autore pure delle riprese video, la costumista  Julia Rösler, il datore di luci Olaf Freese. Citiamo i responsabili della “drammaturgia”, inevitabile nel teatro di regia “alla tedesca” anche se siamo in Austria (e qui, orgogliosamente, ci tengono a sottolinearlo)  Marlene Hahn e Alexander Meier-​​Dörzenbach.

Come si sarà già intuito, del libretto e delle sue didascalie qui se ne farebbe volentieri a meno. A ciò si sommino pure vistosi tagli allo spartito, laddove la messa in scena comanda con il beneplacito della direzione artistica. In breve, e senza scendere troppo nel dettaglio, se si è capito il messaggio (il dubbio è d’obbligo in tali situazioni) si assiste ad una sorta di “flash-back” in cui il personaggio assolutamente marginale della domestica Curra,il soprano Corina Koller, è qui una vecchia cadente, il fantasma della povera Leonora, la quale dunque se la trova sempre tra i piedi, che rivive il tragico passato. Si aggiunga che Preziosilla, assai brava e visibilmente soddisfatta dell’inconsueto protagonismo che acquista, il mezzosoprano Mareike Jankowski combinata con un vestito aderentissimo e sgambato, dotata di parrucca rossa come la “atomica Gilda” di Rita Hayworth o piuttosto Jessica Rabbit, fate voi, rappresenta letteralmente “la forza del destino” e, limitandoci ad un esempio solo, spara lei il colpo fatale al Marchese di Calatrava, l’autorevole e molto in parte basso-baritono Wilfried Zelinka. Merito della regia riunire tutta l’opera in due parti, anche perché la scena girevole è unica. Sui costumi, sull’epoca, si sorvoli: Leonora ci si presenta con una “mise” ed una parrucca impossibili che, a tutta prima, farebbero pensare al Paggio della Duchessa di Rigoletto, poi indossa un abito sgargiante giallo e viola e, con un po’ di fantasia, si trasforma in una Menina del Velasquez, in compenso Alvaro la raggiunge notte tempo indossando il tipico “traje de luces” dei toreri, novello Escamillo. Insomma, dal punto visivo e registico, la coerenza latita. E ci si chiede cosa possa capire chi assiste per la prima volta ad una recita della Forza, ma questa è una domanda retorica che fa tanto salotto di Nonna Speranza Lirica ed è meglio evitarla.

A ricompensare la parte visiva ci ha pensato con ottimi risultati la componente musicale. Tutti, tranne il valido baritono hawaiano Jordan Shanahan dotato di un bel colore e ottimo interprete, al loro debutto. I bravissimi Alcalde del baritono Ivan Oreščanin e il Trabuco del tenore Mario Lerchenberger, il ben caratterizzato Melitone del baritono Neven Crnić. Voce possente quella del giovane basso finlandese Timo Riihonen, Padre Guardiano, vestito da vescovo con tanto di mitra in testa e per giunta in lutto per via del colore viola, salvo poi trasformarsi nella “fantasia” di Curra-Leonora nel marchese di Calatrava in veste da camera nel terzetto finale. La fonazione “nordica”, con affondi e prese di suono dal basso, per il canto all’italiana stanno come la panna nella pasta alla carbonara, ma indubbiamente si tratta di un elemento da seguire con interesse e che, specie nel repertorio wagneriano, può riservare belle sorprese.

Sorpresa, almeno per il sottoscritto, il tenore italo-australiano Aldo Di Toro. Ci troviamo, ci si permetta l’accostamento, di fronte ad un altro “caso Kunde” e cioè quello di un tenore che nasce lirico puro, se non addirittura contraltino visto che eseguiva Sonnambule e Puritani, che con gli anni e la maturità vocale ed interpretativa raggiunte è passato ad un repertorio lirico spinto. Che le categorie vadano rispettate è vero fino a un certo punto. Ciò che è rimarchevole è il fatto che egli affronta il terribile ruolo di Alvaro, giocato in gran parte sul fatidico “passaggio”, con una facilità sbalorditiva, con emissione ferma, brillante in acuto, affrontato com’è facile immaginare con grande sicurezza, completa anche in zona centrale e grave e, quel che conta, senza sforzo e, soprattutto, senza forzare i suoni. Merito anche di una direzione che ne ha messo in risalto le indubbie qualità, che sono anche timbriche oltre che di fraseggio e accento, l’esecuzione di recitativo ed aria che aprono il terzo atto -qui la seconda parte- è parsa esemplare per colori, sfumature e una dolcezza nell’esposizione della parola cantata oggi come oggi inconsueta, laddove molti si rifugiano nel forte e cercano effetti plateali. Veemenza e slancio, del resto, non gli sono mancati già a partire dall’ingresso in scena e quindi nei duetti col baritono, fortunatamente risparmiati dai tagli. Nel finale poi, addirittura commovente. Che non frequenti i nostri teatri rimane un mistero, ma forse è meglio così.

Una conferma la splendida Leonora interpretata dal soprano rumeno Aurelia Florian, che da tempo non avevo avuto modo di riascoltare. La più penalizzata dall’assurda regia che, a un certo punto, la obbliga ad entrare in una teca funeraria trasparente, e dai terribili costumi, non di meno ha composto una Leonora trepitante e vocalmente superba sin da “Me pellegrina ed orfana”, sorta di “prova generale” di Verdi del più celebre “Cieli azzurri” in Aida, ma incisiva sia nel primo duetto col tenore durante il prologo che poi nel resto dell’opera, iniziando dall’aria “Son giunta, grazie a Dio”, salutata da un prolungato applauso con richiesta di “bis” e poi nel lungo duetto col Padre Guardiano, irto di acuti per il soprano, per concludere con un coinvolgente “Pace mio Dio” ed un finale emozionante. Anche in questo caso si tratta di un debutto felice per la linea di canto controllata e nobile, per la tenuta in acuto sempre timbrato e fluido, per l’interpretazione di alto livello.

Altissimo, infine, il livello dell’orchestra obbediente al gesto limpido ma deciso di Matteo Beltrami. Nonostante i tagli, oltre alla Ronda del terzo atto, che pure ha una funzione temporale tra la battaglia in cui viene ferito e la completa guarigione di Alvaro, la più incresciosa tra le omissioni è stata quella del duetto tra Melitone ed il Padre Guardiano nel quarto atto, Beltrami si dimostra, comunque ed ancora una volta, tra le massime bacchette italiane nel repertorio verdiano. Questa opera atassica, in cui i momenti di fosco e nero dramma si alternano, sin dall’inizio, con pagine brillanti, giocose (il richiamo alla ballata di Oscar de Un ballo in maschera in bocca a Preziosilla è praticamente testuale) costituisce un temibile banco di prova per ogni Maestro che si rispetti. Ora al sicuro ed efficace sostegno al palcoscenico, dove davvero si serve agli interpreti l’occasione di emergere su un vassoio d’argento, si somma la capacità di scendere nelle spire incalzanti del destino, con dei fremiti avvertibili già nella travolgente sinfonia, alla felicità di trovare il giusto ritmo folle e orgiastico, ad esempio nelle tarantella del campo di Velletri, dove l’incedere della danza è parso musicalmente la faccia diabolica della Forza sulla quale, non a caso, vige sempre la solita fama qui ampiamente smentita da un risultato fortunatissimo.

Andrea Merli

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