CAGLIARI: PALLA DE’ MOZZI – Gino Marinuzzi, 31 gennaio 2020

CAGLIARI: PALLA DE’ MOZZI – Gino Marinuzzi, 31 gennaio 2020

PALLA DE’ MOZZI
melodramma in tre atti
libretto Giovacchino Forzano
musica Gino Marinuzzi

 

maestro concertatore e direttore Giuseppe Grazioli 

regia, scene e video Giorgio Barberio Corsetti e Pierrick Sorin

 

personaggi e interpreti:

  • Palla de’ Mozzi Elia Fabbian 
  • Signorello Leonardo Caimi 
  • Il Montelabro Francesco Verna 
  • Anna Bianca Francesca Tiburzi 
  • Il Vescovo Cristian Saitta
  • Niccolò Luca Dall’Amico
  • Giomo Murat Cam Gῡvem
  • Spadaccia Matteo Loi
  • Il Mancino Andrea Galli
  • Straccaguerra Giuseppe Raimondo
  • Il capo dei Lanzi Alessandro Busi
  • Una suora Elena Schirru
  • Un’altra suora Lara Rotili

attore e acrobata Julien Lambert


Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari

Coro di voci bianche del Conservatorio Statale di Musica “Giovanni Pierluigi da Palestrina” di Cagliari


maestro del coro Donato Sivo
maestro del coro di voci bianche Enrico di Maira

regia, scene e video Giorgio Barberio Corsetti e Pierrick Sorin
costumi Francesco Esposito
luci Gianluca Cappelletti
assistenti alla regia Fabio Condemi, Raquel Silva
direzione tecnica e video Eric Perroys
assistenti video e manipolazioni sceniche Nicolas Sansier, Martin Pageot

nuovo allestimento del Teatro Lirico di Cagliari

prima esecuzione in tempi moderni

Teatro Lirico, 31 gennaio 2020


Gino Marinuzzi (Palermo 1882 – Milano 1945) deve la sua fama principalmente all’attività di direttore d’orchestra – una preziosa edizione discografica de “La forza del destino” realizzata nel 1942 ne rimane tra le più vivide testimonianze – ma fu anche acclamato compositore e la sua terza opera, “Palla de’ Mozzi”, che inizialmente doveva intitolarsi “Le Bande Nere”, titolo che nel 1932  il direttivo del Teatro alla Scala, dove venne eseguita in “prima” assoluta diretta dall’Autore, suggerì di abbandonare per motivi politici in quanto troppo allusivo alle famigerate “camicie nere”, è stata riesumata dal benemerito Teatro Lirico di Cagliari, sempre il primo in Italia nella ricerca e proposta di titoli desueti.

Giovacchino Forzano (Firenze 1883 – Roma 1970) lavorò al libretto con “grande lentezza e meticolosità” Palla de’ Mozzi, personaggio di fantasia come i restanti del melodramma in tre atti, devoto a Giovanni delle Bande Nere, è uomo d’azione tutto d’un pezzo capo di un’armata mercenaria che assedia il castello di Montelabro, presso Siena. Il figlio Signorello, di indole sensibile e melanconica, si innamora di Anna Bianca, figlia di Montelabro e per amore ne libera il padre e perciò viene condannato a morte da Palla, inflessibile nei confronti del figlio. I mercenari delle Bande Nere si ribellano a questa crudele decisione e gli impongono di perdonare Signorello. Palla, incapace di vivere senza onore, si uccide.

La musica di Marinuzzi, pur nel ricco cromatismo e nell’abile orchestrazione, non si sottrae a quel gusto ridondante che permeò gran parte dei musicisti che seguirono dopo la morte di Puccini: esempio preclaro lo offre Alfano con la sua conclusione di Turandot.

Il libretto offre spunti psicologici che ricalcano la drammaturgia di Rigoletto: Montelabro, come Monterone, maledice Palla “Hai tu figli, Palla? Dio ti danni a soffrire per loro quel ch’io soffro” e Palla stesso, nei confronti del timido ed imbelle figlio Signorello, pare quasi il rovescio di Rigoletto e Gilda. Nel secondo atto Anna Bianca, per sedurre Signorello, si finge “cortigiana perversa” e anche in orchestra il richiamo alla Salome di Strauss è palese. Non manca, nel terzo atto, l’enfasi retorica in bocca a Signorello “Figli d’Italia, stretti dall’amore, tutti soldati contro l’oppressore, l’idea divina di una patria nostra: Italia! Italia!” preceduta da una perorazione di Anna Bianca “Fratelli! Egli muore per una colpa d’amore… Per amore di me. Per amore di te, di voi fratelli…” in debito con la Minnie della Fanciulla pucciniana. Per tacere del grido “Alalà” lanciato dai soldati alla fine del primo atto, a ricordarci che Forzano era amico, per quel che conta, di Benito Mussolini.

L’opera godette di un’accoglienza calorosa e per dieci anni circolò in Italia e in Germania, essendo l’ultima ripresa all’Opera di Roma nel 1942 diretta dall’Autore. Ora ci vuole coraggio non solo nel riproporla, aprendo così uno spiraglio su Marinuzzi e pure su un periodo storico fin troppo trascurato, ma anche a dirigerla ed a cantarla, oltre che a curarne l’allestimento.

Eroico il lavoro svolto dal Maestro Giuseppe Grazioli, che ci ha confidato i dubbi e le difficoltà iniziali, scioltisi i primi come neve al sole e superate le seconde in corso di prove per la dedizione, oltre che grande impegno professionale dell’Orchestra e del Coro del Teatro Lirico, diretto da Donato Sivo – comprese le Voci bianche del Conservatorio “G.P. da Palestrina” istruite da Enrico Di Maira – che si sono superati con un lavoro indefesso approdando a risultati davvero notevoli per quella che, a tutti gli effetti, è da considerarsi una “novità assoluta” dopo quasi 80 anni di silenzio. Un lavoro certosino, poiché l’orchestrazione è complessa, l’intrecciarsi ed interagire delle cellule tematiche di estrema difficoltà. Già ai nastri di partenza si è raggiunto un risultato eccezionale: la musica di Marinuzzi non poteva essere servita meglio.

Lode incondizionata anche al cast e ci si riferisce al primo, essendoci forzatamente un cast alternativo per le complessive nove recite poiché nel caso di una defezione sarebbe impossibile trovare un sostituto e farlo arrivare, per giunta, a Cagliari. Iniziando dal protagonista, il poderoso baritono Elia Fabian che ha impersonato idealmente il personaggio del burbero e dominatore Palla de’ Mozzi, garantendogli una voce di grande potenza, tale da reggere le ondate di suono provenienti dal golfo mistico e un’interpretazione possente, ma ricca di intenzioni; non meno impegnativa la parte del tenore, Signorello, concepita per un lirico spinto a cui si chiede sia il canto eroico e declamato che la natura del timido ed introverso innamorato. Ideale sia scenicamente che vocalmente Leonardo Caimi, tutt’altro che intimorito dalla scabrosa tessitura, in una parte che prevede continui cambi di umore e pure passione e slancio. Bravissima pure Francesca Tiburzi, soprano già apprezzata in ruoli belcantistici e che qui, con una linea di canto sempre controllata ed efficace, riesce a trovare gli accenti drammatici ed una vocalità spinta in acuto, specie nel terzo atto, dove le si richiede uno sforzo da far impallidire quello di Turandot nel finale Alfano.

Molto ben assortite le parti di fianco, iniziando dalle due suore nel primo atto, il soprano Elena Schirru ed il mezzosoprano Lara Rotili, il Vescovo di Cristian Saitta, il Capo dei Lanzi, Alessandro Busi. Ben affiatato il quartetto dei mercenari che si contendono Anna Bianca ai dadi e poi, per denaro, la cedono a Signorello: Andrea Galli, il Mancino, Murat Can Guvem, Giorno, Matteo Loi, Spadaccia e Luca Dell’Amico, Niccolò, in una scena che si vorrebbe grottesca, ma che per difficoltà musicale è pari all’analoga tra gli ebrei nella Salome di Strauss. Ottimi Giuseppe Raimondo, Spadaccia e Francesco Verna nei panni di Montelabro.

Lo spettacolo di Giorgio Barberio Corsetti e Pierrick Sorin, che firmano anche scene e video, si avvale dei costumi di Francesco Esposito (sempre una garanzia di pertinenza ed eleganza) delle luci di Gianluca Cappelletti. Con l’uso di modellini ripresi dalle video camere e sulla scena dei pannelli “neutri” color celeste, gli interpreti “entrano” nel quadro come oggi avviene in gran parte delle inquadrature dei film, simulando un’azione che ha un corrispettivo spaziale nella ripresa. Indubbiamente è uno stratagemma di grande effetto e singolare efficacia, specie in un’impostazione sostanzialmente ed inevitabilmente convenzionale e didascalica, come in questo caso. Se bisogna trovare un limite sta nel fatto che l’azione la si segue sullo schermo, come al cinema appunto, ponendo meno attenzione all’artista in carne ed ossa, che pure è preso di mira e “amplificato” nelle inquadrature impostate dalla regia. La presenza di un mimo, in varie vesti: prima sagrestano, poi sorta di buffone nel secondo atto, infine cuoco e boia nel terzo, può suggerire il “matto shakespeariano”, ma sinceramente non se n’è capita la necessità.

Successo calorosissimo e teatro praticamente esaurito: le rarità a Cagliari sono ormai di casa!

Andrea Merli

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