PIACENZA: Falstaff – Giuseppe Verdi, 24 gennaio 2020
GIUSEPPE VERDI
FALSTAFF
Commedia lirica in tre atti
Libretto di Arrigo Boito dalla commedia Le allegre comari di Windsor
e dal dramma Enrico IV di William Shakespeare
Direttore Jordi BERNÀCER
Regia Leonardo LIDI
Personaggi e Interpreti
- Sir John Falstaff Luca Salsi
- Ford Vladimir Stoyanov
- Fenton Marco Ciaponi
- Dottor Cajus Luca Casalin
- Bardolfo Marcello Nardis
- Pistola Graziano Dallavalle
- Mrs. Alice Ford Serena Gamberoni
- Nannetta Giuliana Gianfaldoni
- Mrs. Quickly Rossana Rinaldi
- Mrs. Meg Page Florentina SoareEmanuele Sinisi scene
Valeria Donata Bettella costumi
Fiammetta Baldiserri luci
Riccardo Buscarini assistente alla regia
Corrado Casati maestro del coroORCHESTRA DELL’EMILIA-ROMAGNA ARTURO TOSCANINI
CORO DEL TEATRO MUNICIPALE DI PIACENZACoproduzione
Teatro Municipale di Piacenza, Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena, Teatro Valli di Reggio Emilia
Teatro Municipale, 24 gennaio 2020
Un’altra bella scommessa vinta quella di Cristina Ferrari e del “suo” Teatro Muncipale a Piacenza, città e teatro di punta non solo nella programmazione regionale – nello specifico in coproduzione con i teatri Pavarotti di Modena e Valli di Reggio Emilia – ma pure a livello nazionale nel panorama operistico.
Questo Falstaff, che vede il debutto di Luca Salsi nella parte del “Pancione” – che poi tanto pancione non è, e soprattutto esibisce una folta chioma a dimostrare che l’immedesimazione di un personaggio va oltre il trucco-parrucco – è un progetto accarezzato da almeno due anni. Quando in occasione di una trasferta a Salisburgo durante il Festival estivo in cui era impegnato il baritono di Parma, la Ferrari sua concittadina gli pose la fatidica domanda: “Quale opera vorresti debuttare a Piacenza?”. Detto e fatto: Falstaff. Così si fa, non come in certi teatri in cui si decide un titolo e poi si va alla “spera in Dio” nella caccia dei protagonisti, confidando in un colpaccio al Superenalotto e terminando spesso malamente col … Rischiatutto!
E dunque, già ai nastri di partenza si preannunciava il trionfo che ha arriso lo scorso venerdì 24 al protagonista e che ha coinvolto meritatamente tutta la compagnia. Ruolo “monstre” ove ne siano, l’antieroe shakespearino è molto spesso retaggio di grandi interpreti verso la fine della carriera, quando l’esperienza e l’aver respirato tanta polvere di palcoscenico suppliscono a volte alla vocalità in declino, affidando l’esecuzione del recitar cantando del Verdi dell’estrema maturità ad un declamato che si rifugia nel parlato e, peggio, con stratagemmi e trucchetti per nascondere l’usura del mezzo.
Non è certo il caso di Luca Salsi: addirittura dalla prima lettura si percepisce un interprete che scandaglia la parola, che accomuna il gesto scenico, sempre misurato nell’ambito di una recitazione ricca di intenzioni ma scevra di qualsiasi ammicco alla volgare platealità, e che soprattutto esibisce una vocalità piena, rotonda, morbida, estesa e ricca di armonici. Conquistando il pubblico per la simpatia ed umanità e centrando in pieno l’enorme personaggio sin dalle prime frasi, culminando con un memorabile “L’onore? Ladri!” nel primo quadro e proseguendo in continua crescita nella scena prima con Quickly, la bravissima e godibilissima in scena Rossana Rinaldi, e quindi nel duetto con Ford, un altro baritono di vaglia, amatissimo specie in ambito emiliano: il bulgaro Vladimir Stoyanov, ideale per vocalità ed eccezionale musicalità per il ruolo baritonale “antagonista”. E qui, nuovamente, si coglie la bravura ed intelligenza della Ferrari che mette a confronto due interpreti di estrema bravura, ma che pur nella stessa corda hanno caratteristiche e personalità diverse. Tentando un paragone “impossibile“, Salsi possiede una voce più “grassa” che ricorda quella rigogliosa di Giuseppe Taddei, Stoyanov, con una vocalità altrettanto preziosa, ma più di punta, si può accostare per brillantezza ed incisività a quella di Leo Nucci. E dico niente! Salsi ha letteralmente cesellato il fugace cantabile “Quand’ero paggio”, per poi infine eccellere sia nella prima scena dell’ultimo atto che sotto la quercia di Herne fino alla fuga finale. “Tutto nel mondo è burla“ è vero, ma qui si fa sul serio e questo, c’è da scommetterci ed auspicarlo, è il suo primo di una lunga serie di Falstaff.
Le liete sorprese non sono finite qui: Serena Gamberoni, specie dopo il recente Gala Verdiano a fianco del marito Francesco Meli proprio qui a Piacenza, dove è stata squisita Amelia del Simon Boccanegra e commovente Desdemona in Otello, è ormai lanciata in un repertorio di lirico pieno e lo ha dimostrato ancor una volta realizzando una splendida Alice Ford, autorevole sì, ma tutt’altro che matronale. Anzi fresca come una rosa e per la vocalità argentina e per la figura da eterna ragazzina: del resto anche nella vita, madre e figlia (la bellissima diciottenne Melissa) sembrano in realtà sorelle. Come, del resto in scena con la deliziosa Nannetta del soprano Giuliana Gianfaldoni, dalla vocalità di spicco e capace di dominare il suono in eteree mezze voci e filati per esempio in un’esemplare esecuzione di “Sul fil d’un soffio etesio” nell’ultimo quadro. Un palcoscenico che sprizzava bellezza femminile: splendida pure la Meg di Florentina Soare, dalla voce notevole di mezzosoprano e dalla figura elegantissima: c’è da credere che Falstaff perdesse la testa per queste belle comari!
Il fronte maschile è stato assai ben completato, iniziando dal Fenton intonato con estrema musicalità da Marco Ciaponi, che si conferma ottimo tenore lirico dal bel timbro e colore ”all’italiana”, soave ma maschio nel contempo. Apprezzato nei due duettini con Nannetta, nel primo e nel secondo atto, ha siglato con suadente eleganza l’arioso del terzo, dispensando pregevoli mezze voci frutto di un’emissione fluida e ben sostenuta. Continuando con il petulante Cajus dell’ottimo tenore Luca Casalin, dalla voce sempre avanti e dalla dizione perfetta, e con i buffi servitori di Falstaff, il mercuriale ed incisivo tenore Marcello Nardis, Bardolfo divertentissimo ed il non meno comico Pistola del basso Graziano Dallavalle, dal bel colore vocale e di notevole e sonora proiezione.
Ottima la prova dell’Orchestra dell’Emilia-Romagna “Arturo Toscanini” e molto valido, anche se limitato a due scene, l’apporto del sempre apprezzato coro del Teatro Municipale perfettamente istruito da Corrado Casati. La bacchetta l’ha impugnata il Maestro valenciano Jordi Bernacer, con un piglio e sicurezza notevoli, bravissimo nel tenere le briglie del palcoscenico ed attento a far scaturire dalla partitura tutte le preziosità e raffinatezze timbriche. Lo spettacolo conta con le scene di Emanuele Sinisi, che hanno il grande pregio di suggerire bene l’interno della Osteria in cui soggiorna Falstaff, ma perdono di efficacia negli altri quadri, sebbene la comparsa finle di un’enorme quercia bianca possieda un’innegabile suggestione. Consentono, questo sì, un rapido cambio a vista e ciò è sempre una nota positiva. Adegauti i costumi di Valeria Donata Bettella, procedenti dalla Sartoria Teatrale Arrigo di Milano, e perfette come sempre le luci di Fiammetta Baldiserri. La regia di Leonardo Lidi, che procede dalla prosa e debutta nell’opera, scorre sui binari della più consolidata tradizione, e ciò per molti è un pregio. Declina a quattro mimi, vestiti con le gonne e dunque… le comari?, gran parte dell’azione, lasciando i solisti seduti su lunghe panche, come si trattasse di una prova all’italiana, per gran parte del tempo. La fatidica cesta del bucato, da cui per una volta Falstaff non esce dal retro, viene trascinata fuori mentre un’altra cesta cade dall’alto in fondo scena, e ci sta. Un po’ meno tutto il finale che vede una staticità totale di coro e solisti in primo termine. Insomma, uno spettacolo “neutro”. Ma va bene così: l’interesse era concentrato sulla musica e non ci sono state distrazioni: anche questo è un risultato.
Andrea Merli