PARMA: TURANDOT – Giacomo Puccini, 10 gennaio 2020

PARMA: TURANDOT – Giacomo Puccini, 10 gennaio 2020

TURANDOT

Dramma lirico in tre atti e cinque quadri su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni

dalla fiaba teatrale omonima di Carlo Gozzi.

Musica GIACOMO PUCCINI

Editore Casa Ricordi, Milano

 

 

Maestro concertatore e direttore VALERIO GALLI

Regia, coreografia, scene e luci GIUSEPPE FRIGENI

Personaggi e Interpreti:

  • Turandot  REBEKA LOKAR
  • Altoum PAOLO ANTOGNETTI
  • Timur GIACOMO PRESTIA
  • Calaf  CARLO VENTRE
  • Liù VITTORIA YEO
  • Ping FABIO PREVIATI
  • Pang ROBERTO COVATTA
  • Pong MATTEO MEZZARO
  • Un mandarino BENJAMIN CHO

Collaboratrice alla regia e alla coreografia MARTINA FRIGENI

Costumi AMÉLIE HAAS

FILARMONICA DELL’OPERA ITALIANA BRUNO BARTOLETTI

CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA

Maestro del coro MARTINO FAGGIANI

CORO DI VOCI BIANCHE ARS CANTO GIUSEPPE VERDI

Maestro del coro di voci bianche EUGENIO MARIA DE GIACOMI

Allestimento Teatro Comunale di Modena

In coproduzione con Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione Teatri di Piacenza

 

Teatro Regio, 10 gennaio 2020


La stagione del Teatro Regio di Parma prende l’avvio in coincidenza della designazione del capoluogo a Città della Cultura, con una produzione di Turandot in un allestimento già collaudato, proveniente dal Teatro Comunale di Modena ed in coproduzione con la Fondazione Teatri di Piacenza. Lo firma nella sua quasi totalità – regia, coreografia, scene e luci – Giuseppe Frigeni, i costumi essendo creazioni di Amélie Haas. Si tratta di uno spettacolo “minimale” costituito da una grande pedana a scalinata che si ritrae in alcuni momenti rivelando i “sotterranei” del palazzo imperiale dove giacciono i corpi dei mancati “scioglitori” degli enigmi che hanno preceduto l’ignoto principe e dove infine trova morte Liù, la quale oltre ad essere schiava ha una presenza determinante nella scena degli enigmi di cui, in pratica, suggerisce all’amato Calaf le soluzioni. Il Coro, sempre perfettamente preparato da Martino Faggiani, è piazzato ai lati della pedana su cui si muovono i solisti, non sempre in posizione ideale per il canto, e dietro cui scorrono dei pannelli che, aprendosi e chiudendosi sul fondale, suggeriscono vari ambienti.

Almeno due i guizzi registici: la scena delle tre maschere, i tre ministri Ping, Pang e Pong, risolta come una partita a Dama (quella a Scacchi è di Giacosa!) e, soprattutto, il finale in cui si viene a scoprire, in barba alla musica di Puccini prima e di Alfano dopo (il finale è quello, coi tagli imposti da Toscanini) che a spingere Calaf non è stato l’amore, bensì la sete di potere: una forzatura non nuova e non necessaria. Ciò nonostante va riconosciuto allo spettacolo la fluidità ed anche una coerenza narrativa.

Note positivissime sul fronte musicale. Innanzi tutto per la bella, coinvolgente ed appassionante lettura che ne offre il direttore viareggino Valerio Galli, il cui amore incondizionato per il conterraneo Compositore è noto, a capo della valida e solerte orchestra FOI “Bruno Bartoletti” impreziosita dalla partecipazione eccezionale dell’arpista Davide Burani.  Del prezioso spartito coglie sia i momenti enfatici, brutali e barbarici, che le nuances di un esotismo mai fine a sé stesso, ma funzionale alla descrizione della favola, sia nelle rarefatte atmosfere orientali, che nei più mediterranei slanci amorosi. Particolarmente suggestivo il coro del primo atto, in cui nel canto alla luna si inseriscono perfettamente le voci bianche “Ars Canto Giuseppe Verdi“, ottimamente istruite da Eugenio Maria Degani e poi tutto il “finale Puccini” della morte di Liù a cui è seguito, senza eccessivi strappi, la più ampollosa scrittura di Alfano.

Il cast ha annoverato ottimi elementi, iniziando dagli ultimi. Le due intonate e puntuali ancelle ed il Principe di Persia, tratti dal coro: nell’ordine Lorenza Campari, Marianna Petrecca e Marco Gaspari. L’Impertore Altoum, insolitamente presente e tutt’altro che vecchio nella voce, del tenore Paolo Antognetti, il tonante Mandarino del baritono Benjamin Cho. Le tre maschere sono state assi ben eseguite dal tenore Matteo Mezzaro, Pong, dal tenore Roberto Covatta, Pang e dal veterano baritono Fabio Previati, Ping. Una nota speciale di merito al Timur di Giacomo Prestia, voce piena e corposa di autentico basso, di grande autorevolezza scenica: un autentico lusso. Annunciato ammalato, il tenore uruguaiano Carlo Ventre ha impersonato un eccellente Calaf, che pur arrivando comprensibilmente un po’ provato alla fine, ha piazzato un solido e prolungato Si sul fatidico (ed attesissimo) “Vincerò” del “Nessun dorma”, ha risolto con accorata partecipazione la ben più raffinata aria del primo atto “Non piangere Liù” ed è risultato eccellente anche nella temibile scena degli enigmi. Che Liù sia, nell’economia dell’opera, il personaggio preferito da Puccini non v’è dubbio: il soprano coreano, ma italiano per formazione e residenza, Vittoria Yeo ne ha proposto una lettura ideale, per l’intensità del canto, per la dovizia di pianissimo, filati e messe di voce, iniziando dal sognante “Perché un dì nella Reggia m’hai sorriso” del primo atto, fino al toccante e commovente finale.

Non meno brava Rebeka Lokar, il soprano sloveno di Maribor ormai di casa anche da noi. La sua vocalità di lirico pieno, facile all’acuto e di colore suadente e morbido, a tutta prima sembrerebbe poco idoneo alla “Principessa di Gelo” che, si suppone, debba avere la voce algida e tagliente. Non di meno la Lokar coglie di Turandot sia la fragilità della donna, che l’altera presenza principesca con una convincente aria di entrata “In questa reggia” e quindi nella successiva scena degli enigmi. Infine emerge con ulteriore felicità e stupefacente facilità, nel finale Alfano, dove pur cantando di forza non forza mai il suono, anzi esprime con struggente dolcezza lo “scioglimento” del gelo di un cuore innamorato. Una bellissima prova la sua, accolta con generosi applausi dal pubblico che ha decretato un successo senza se e senza ma a tutto lo spettacolo.

Andrea Merli

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