Milano:  ERNANI – Giuseppe Verdi – Teatro alla Scala, 25 ottobre

Milano: ERNANI – Giuseppe Verdi – Teatro alla Scala, 25 ottobre

ERNANI

 Dramma lirico in quattro atti

Libretto di Francesco M. Piave

Musica di GIUSEPPE VERDI

 (Edizione critica a cura di G. Gallico, The University of Chicago Press e Casa Ricordi srl, Milano)

Prima rappresentazione: Venezia, Teatro La Fenice, 9 marzo 1844

Prima rappresentazione al Teatro alla Scala: 3 settembre 1844

Nuova produzione Teatro alla Scala

 

Direttore ÁDÁM FISCHER

Regia SVEN-ERIC BECHTOLF

 

Personaggi e interpreti

  •  Ernani Francesco Meli
  • Don Carlo Simone Piazzola
  • Don Ruy Michele Pertusi
  • Elvira Ailyn Pérez
  • Giovanna Daria Chernyi
  • Don Riccardo Matteo Desole
  • Jago Alessandro Spina

 Scene JULIAN CROUCH

Costumi KEVIN POLLARD

Luci MARCO FILIBECK

Video Designer FILIPPO MARTA

Coreografia LARA MONTANARO

 Coro e Orchestra del Teatro alla Scala

Maestro del Coro BRUNO CASONI


L’ultima recita di Ernani, assente da oltre vent’anni dal palcoscenico del Teatro alla Scala, ha visto alcuni cambi nel cast e precisamente il baritono Simone Piazzola, al posto di Luca Salsi, a vestire i panni di Don Carlo, Re di Spagna ed il basso Michele Pertusi, subentrato a Ildar Abdrazakov, quale Don Ruy Gomez de Silva, il “vecchio Silva Stendere” ricordato pure da Gian Burrasca nel suo diario.

Recita fortunatissima dal punto di vista musicale e vocale. Innanzi tutto è parso in forma splendida Francesco Meli, che il ruolo ormai conosce bene per averlo eseguito a Roma sotto la direzione del Maestro Muti. Gagliardo, nel fisico e nella voce, ha affrontato con gran piglio il primo grande ruolo romantico di Verdi, quello del “bandito” – che ovviamente è un nobile proscritto – dannato, perseguitato e pure insediato nell’amore per la sua bella Elvira non bastasse il baritono, pure dal basso. Di Meli si è apprezzata la bella linea di canto, virile e morbida nel contempo, il gusto nel centellinare le frasi e l’accento con i colori e la veemenza che, richiesti dal personaggio, non sempre è dato sentire. Un successo trionfale il suo, condiviso dal basso parmigiano Pertusi che al vecchio pretendente ha offerto i tratti della nobiltà, dell’ira contenuta, ma anche infuocata nella cabaletta e nelle strette e pure della perfidia vendicatrice nel bellissimo finale dell’opera. Parlare delle sue proprietà vocali, della sua musicalità e del suo fraseggiare da maestro pare ripetitivo, non di meno è giusto ricordarlo sempre. Piazzola ha tratteggiato un altrettanto nobile Re di Spagna, forte di una linea esemplare e di un tocco introspettivo che è pure inconsueto. Oltre a la celeberrima aria “Oh dei verd’anni miei”, accolta da applauso scrosciante, è piaciuto negli altri momenti specie laddove gli è richiesta la soavità e la persuasione dell’amante, seppure disprezzato.

Passata la bufera della “prima”, franco successo è arriso anche all’Elvira di Ailyn Pérez, che ha superato con grande slancio la difficoltà di una parte che potrebbe mettere in difficoltà un soprano squisitamente lirico come è lei che è risultata bravissima sia nella discesa al grave che, soprattutto nelle agilità affrontate con scioltezza e con perfetta aderenza musicale e stilistica. Inoltre, pure come interprete è parsa molto partecipe ed accorata. Detto dei ruoli di fianco di lusso, il tenore Matteo Desole squillante e subdolo Don Riccardo, il basso Alessandro Spina, un vero lusso disporre di questo artista nella parte di Jago e della precisa Giovanna di Daria Cherny, allieva dell’Accademia della Scala, va rimarcata l’ottima prestazione del coro, sempre sotto la guida affidabile del M° Bruno Casoni e della altrettanto magnifica prova dell’orchestra ubbidiente alla bacchetta sicura e efficace di Adam Fischer, oggetto di due isolati “Buh” alla ribalta finale, uno dei quali proveniente da un signore al mio fianco in platea che, interrogato, ammise candidamente che quello era il suo primo Ernani, mai ascoltato nemmeno in disco. Roba da non credere, e pensare che tra l’altro si è offerta –credo per la prima volta in Scala- la versione integrale nell’edizione critica di Claudio Gallico.

Rimane l’allestimento, su cui si vorrebbe stendere una pesante coltre, piuttosto che il proverbiale pietoso velo. Un nuovo allestimento che di nuovo non ha nulla, ma che riduce il tutto ad una azione meta teatrale, quasi si trattasse de Le convenienze ed inconvenienze teatrali del Donizetti, sconclusionata e che, quel che è peggio, ridicolizza sia l’azione che i personaggi. Tra questi due ballerine di Can can – che dopo i fischi ricevuti alla “prima” si sono guardate bene di esibire il cartello per segnalare la “breve pausa” – per giunta vestite alla Belle époque e dunque assolutamente fuori epoca, poiché nell’intenzione registica il tempo sarebbe dovuto essere più o meno quello della prima rappresentazione assoluta alla Fenice di Venezia, il 9 marzo del 1844. Un altro buco nell’acqua, peccato. Regia di Sven-Eric Bechtolf, scene di Julian Crouch, costumi di Kevin Pollard, per la cronaca.

Andrea Merli

 

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