44° Festival della Valle D’Itria – Martina Franca: GIULIETTA E ROMEO
44° Festival della Valle D’Itria
Martina Franca, Palazzo Ducale 31 luglio 2018
GIULIETTA E ROMEO
Dramma in due atti di Felice Romani
Musica di Nicola Vaccaj
Revisione sull’autografo di Ilaria Narici e Bruno Gandolfi
Edizione Casa Ricordi, Milano
Direttore Sesto Quatrini
Regia Cecilia Ligorio
Personaggi e Interpreti:
- Capellio Leonardo Cortellazzi
- Giulietta Leonor Bonilla
- Romeo Raffaella Lupinacci
- Adele Paoletta Marrocu
- Tebaldo Vasa Stajkic
- Frate Christian Senn
Scene Alessia Colosso
Costumi Giuseppe Palella
Luci Luciano Novelli
Orchestra Accademia Teatro alla Scala
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Maestro del Coro Corrado Casati
Ultimo appuntamento martinese nell’affollatissimo cortile del Palazzo Ducale che per l’occasione ha registrato il tutto esaurito (si sono dovute aggiungere diverse file di sedie poste lateralmente) con l’opera di Nicola Vaccaj, Giulietta e Romeo. L’attesa e le aspettative sono state abbondantemente gratificate dall’esecuzione dell’opera, ritornata in scena e riscattata da un ingiusto oblio dopo la prima ripresa in tempi moderni a Jesi, nel giugno del 1996, direttore Tiziano Severini con interpreti tra gli altri il soprano Almenares, il mezzosoprano Trullu, il tenore Raffanti ed il baritono Ariostini.
Sfatiamo, tanto per cominciare, il luogo comune di un autore “minore” epigono di Rossini o, peggio ancora, radicato nel Settecento musicale napoletano, da cui per altro, allievo di Paisiello, prese l’avvio ed il volo. Ricordato per il suo celeberrimo “Metodo di canto italiano per camera in 15 lezioni“, dove al posto dei soliti solfeggi Vaccaj introdusse delle ariette su testi del Metastasio e oggi ancora in voga, precisamente con quest’opera, che non si esagera a definirla un capolavoro, diede un impulso notevole nell’evoluzione del nostro melodramma, sganciandosi dal “rossinismo” imperante ed anticipando con incredibili intuizioni, non solo il romanticismo di Bellini e Donizetti, ma addirittura la genialità di Verdi, del suo Nabucco di cui si percepisce un’anticipazione nell’elaborato concertato che chiude il primo atto. Verdi sicuramente quest’opera la conosceva assai bene, in quanto tra il 1825, anno del suo debutto al milanese Teatro della Cannobiana ed il 1850, fu assai popolare e venne eseguita ripetutamente sui palcoscenici di mezzo mondo, anche del “nuovo mondo”: a Città del Messico nell’ottobre del 1841. Il libretto di Felice Romani, che secondo la di lui poco attendibile moglie pare avesse preso spunto, più che da Shakespeare, dalla novella di Matteo Bandello pubblicata nel 1554 a sua volta derivante da quella di Masuccio Salernitano del 1476 di ambientazione senese, tradotta poi all’inglese da William Painter e da cui, finalmente, il drammaturgo inglese trasse la defintiva ed universale storia, fu con pochi ritocchi riciclato a Bellini che vi compose I Capuleti e Montecchi. Vaccaj ne curò una revisione per la ripresa scaligera nel 1835, con interprete la Malibran nei panni di Romeo, la quale già nel 1832 se ne affezionò al punto da chiedere, pare su consiglio dello stesso Rossini che riteneva il Vaccaj il miglior compositore per le voci, ed ottenere di sostituire l’intero terzo atto belliniano con quello a lei più confacente del Vaccaj in una ripresa dell’opera del Catanese a Bologna. Una prassi, ai tempi, piuttosto abituale che fu adottata anche dalle sorelle Grisi, a Torino in quello stesso 1835.
La lunga impiccionesca premessa per annunciare, tra l’altro, la ripresa dello spettacolo in quel di Piacenza nella stagione 2019/20, confermato dalla direttrice del piacentino Teatro Municipale, Cristina Ferrari che non ha voluto mancare all’appuntamento martinese anche perchè ha “prestato” al Festival il bravissimo coro, diretto con grande perizia da Corrado Casati.
Con la pimpante e volenterosa Orchestra dell’Accademia della Scala se l’è vista il Maestro Sesto Quatrini, “rivelazione” del Festival già dalla scorsa stagione in cui diresse Un giorno di regno di Verdi. Ottimo il lavoro svolto, imbrigliando con decisione e fermezza i pur bravi ragazzi senza perdere mai di vista il palcoscenico, dove si sono distinti degli ottimi solisti. Iniziando dalla Giulietta del giovane soprano sivigliano Leonor Bonilla (“scoperta” dalla Ferrari a Piacenza, che le affidò con grande intuito la capricciosa Fiorilla del rossiniano Turco in Italia) che è parsa per bellezza fisica e vocale l’interprete ideale. Voce dal timbro di soprano lirico, facile ed estesa in acuto, oltre a sapersi destreggiare in tutte le dinamiche, possiede una particolare abilità per il canto fiorito e le agilità. Inoltre come interprete risulta trepidante e decisa, in una drammaturgia che, supportata dalla musica, ne fa una donna coraggiosa e determinata. Ha ottenuto un prevedibile e meritatissimo successo personale. Diviso a pari merito con la pur bravissima Raffaella Lupinacci, che nel ruolo en travesti di Romeo ha reso con virile prestanza il personaggio, cantando con ricchezza di colori. La voce si impone nell’acuto, lanciato con veemenza sopranile, sebbene la zona grave non abbia lo stesso peso; ma la resa è stata magnifica e ha convinto per la perfetta musicalità. Ottimo il tenore Leonardo Cortellazzi, un professionista sicuro in un ruolo che richiede il massimo impegno vocale ed interpretativo, quello del vendicativo padre Capellio; benissimo pure il baritono Christian Senn, nella parte tutt’altro che marginale di Frate Lorenzo, dotato di una bella e calda vocalità. Meno apprezzabile il contributo del baritono Vasa Stjkic, acerbo Tebaldo.
Nel cameo di Adele, madre accorata di Giulietta, si è distinto invece il soprano Paoletta Marrocu, in una parte vocalmente anfibia – in principio scritta per contralto – eseguita con grande partecipazione scenica, anche perché sfruttata abilmente dalla regista Cecilia Ligorio. La quale torna a Martina dopo il franco successo de Le Baccanti nel chiostro di San Domenico la scorsa stagione e crea uno spettacolo godibilissimo, assai centrato e per il lavoro sul singolo e, soprattutto, per come ha sfruttato il coro facendone un autentico protagonista. Coadiuvata in ciò dai bellissimi costumi creati da Giuseppe Patella, sfruttando al massimo una scena fissa, ma suggestiva, di Alessia Colosso e realizzando un magnifico gioco di luci grazie a Luciano Novelli. Uno spettacolo che potrà benissimo essere ripreso al chiuso con poche modifiche e che ci si augura possa girare riportando quest’opera di Vaccaj in repertorio per la gioia di tutti i veri melomani.
Andrea Merli