44° Festival della Valle D’Itria – Martina Franca: RINALDO

44° Festival della Valle D’Itria – Martina Franca: RINALDO

RINALDO – Georg Friederich Haendel (Leonardo Leo, Francesco Gasparini, Giuseppe Maria Orlandini, Giovanni Porta, Domenico Sarro, Antonio Vivaldi). Cortile Palazzo Ducale, 29 luglio 2018.

Dramma per musica di Giacomo Rossi
su una sceneggiatura di Aaron Hill, dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso

Musica di Georg Friederich Händel / Leonardo Leo (et al.)
Versione di Napoli 1718
Edizione critica e ricostruzione a cura di Giovanni Andrea Sechi
Prima esecuzione in tempi moderni

Direttore   Fabio Luisi
Regia   Giorgio Sangati

Personaggi e Interpreti:

  • Armida   Carmela Remigio
  • Goffredo   Francisco Fernàndez-Rueda
  • Almirena   Loriana Castellano
  • Rinaldo   Teresa Iervolino
  • Argante   Francesca Ascioti
  • Eustazio   Dara Savinova
  • Lesbina   Valentina Cardinali
  • Nesso   Simone Tangolo
  • Araldo di Argante   Dielli Hoxha*
  • Uno Spirito in forma di Donna   Kim-Lillian Strebel*
  • Mago Cristiano   Ana Victória Pitts*


Scene   Alberto Nonnato
Costumi   Gianluca Sbicca
Luci   Paolo Pollo Rodighiero

Orchestra La Scintilla

 *Allievi dell’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”


Rocambolesca storia, quella di questa versione del celebre Rinaldo di Haendel, la cui partitura fu portata a Napoli dall’allora celeberrimo castrato Nicolò Grimaldi, già Rinaldo al debutto londinese dell’opera nel 1711, per eseguirla alla Corte di Carlo VI. Un “pasticcio” con modifiche apportate da Leonardo Leo nel 1718, onde adattarla al gusto partenopeo. Da Napoli tornata in Inghilterra, fu trovata da Giovanni Andrea Secchi, che ne ha curato l’edizione critica, nel 2012 nella Longleat Hause Old Library in un castello del Wiltshire. Finalmente, nel cortile del Palazzo Ducale trecento anni dopo l’esecuzione napoletana, lo si è potuto riascoltare. Delle 216 pagine ritrovate, le arie di Haendel sono solo 4, gli altri 11 pezzi essendo opera di Leonardo Leo, compositore pugliese e cognato del Grimaldi, noto come Nicolino. Dunque solo 15 brani, dei 32 previsti nel libretto napoletano; gli altri 17 essendo “arie di baule” con musiche di vari compositori, quelli citati sopra: da Antonio Vivaldi a Domenico Sarro, come era prassi nelle “convenienze” dei cantanti di allora, il Grimaldi in primis.

I saggi presenti nel programma di sala sono esaustivi e danno l’idea della mole di lavoro svolta, ivi compresa la ricostruzione dei recitativi e degli intermezzi comici, di moda a Napoli, previsti dal Leo per i due servitori, Lesbina e Nesso, ma di cui la musica è andata persa e le cui parti sono state affidate a due, per altro bravissimi, attori: Valentina Cardinali e Simone Tangolo.

Rispetto all’originale londinese ascoltiamo un’opera sostanzialmente diversa con le parti dei due castrati affidate, ovviamente, a due mezzosoprani: Teresa Iervolino, Rinaldo e Francesca Ascioti, Argante. La maga Armida è il soprano Carmela Remigio, Goffredo il tenore Francisco Fernandez-Rueda, Almirena il soprano Loriana Castellano, Eustazio, soprano pure in origine, Dava Savinova. In ruoli minori si sono esibiti tre allievi dell’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”: Dielli Hoxa, Araldo di Argante, Kim-Lillian Strebet, Uno Spirito in forma di Donna (la sirena Partenope) e Ana Victoria Pitts, Mago Cristiano.

Lo spettacolo parte dall’idea, certo non nuovissima, di fare “Ba-Rock” e cioè di trasformare la nota vicenda del Tasso in una sorta di happening musicale in cui si scontra l’Hard Rock, rappresentato dai saraceni, con il genere Pop, che si vorrebbe cristiano. Il “trucco e parrucco“ in ciò, assieme ai bellissimi costumi di Gianluca Sbicca hanno avuto una decisiva importanza: Rinaldo è Freddy Mercury, Armida si vorrebbe Cheer, Almirena uguale a Madonna, Argante leader dei Kiss, accompagnato dal suo complesso, Goffredo nei panni di Elton John ed Eustazio in quelli di David Bowie. Certo, si presuppone che i frequentatori del Festival abbiano conoscenza del genere. Personalmente ho dovuto ricorrere ad un “aiutino” e non me ne vergogno. Ma, soprattutto, pur nella estenuante durata di oltre tre ore e mezzo di musica, tra cui brani famosissimi quali la struggente aria “Lascia ch’io pianga” in origine nella quarta scena del secondo atto affidata ad Almirena e da Leo (o molto più probabilmente dal Grimaldi) trasportata nel terzo atto e carpita da Rinaldo con un testo diverso: “Lascia ch’io resti”, quello che è mancato è stato proprio il Rock, o Pop che dir si voglia. Ne è risultato, piuttosto, il consueto Festival di Sanremo del Settecento: via un‘aria, eccone un‘altra. Sia per la direzione elegante, equilibrata ed impolluta di Fabio Luisi, che ha condotto l’orchestra “La Scintilla” – specialista, dove ve ne siano, in questo repertorio- con morbidezza e soavità, laddove si sarebbe desiderato a volte maggior mordente ed uno stacco di tempi più vivace, ma soprattutto per la parte visiva dello spettacolo, dove sia la scena plumbea di Alberto Nonnato che le luci, sostanzialmente piatte quando ci si sarebbe aspettati una discoteca anni Ottanta, di Paolo Pollo Rodighero, hanno parzialmente deluso. Così la regia, con dei momenti riusciti, per esempio la scena della battaglia, è sostanzialmente scorsa nel solco della tradizione più scontata, senza particolari sussulti: l’ha firmata Giorgio Sangati.

La vera gioia è stata per le orecchie; ce l’hanno serbata alcuni dei protagonisti. Iniziando dalla non meno che sensazionale Teresa Iervolino, ben calata nei panni di Freddy Mercury, alias Rinaldo; ha fatto sfoggio della sua bella vocalità, morbida e corposa in zona centrale e grave, estesa con brillantezza in acuto e ha dato prova di conoscere molto bene le regole del Belcanto, sciorinando vocalizzi ed agilità con estrema naturalezza. Lo stesso dicasi per la pugnace Armida di Carmela Remigio, la cui voce sopranile si stacca su tutti per proiezione e ricchezza di armonici, riuscendo  piegarsi tanto nel canto spianato quanto nelle arie di furore, facendo sfoggio di un settore acuto saldo e intonatissimo. L’artista ha pure fisicamente le carte in regola per rendere alla perfezione il ruolo della maga maliarda e, seppure sotto il costume di Cheer, possiede una personalità individuabile.

Buoni nel complesso tutti gli altri, con menzione speciale per lo scatenatissimo Argante, reso con estrema efficacia da Francesca Ascioti e per la dolente ed assai ben cantata Almirena di Loriana Castellano.

Il pubblico ha stipato il cortile del Palazzo Ducale come raramente si vede, in Italia almeno, per un titolo barocco. Segno che qualcosa sta cambiando anche nei gusti. Le defezioni, in corso di recita e dopo il secondo atto sono state poche, ma soprattutto chi è rimasto, come suggeriva dai microfoni Rai nella diretta radiofonica lo speaker, si è goduto delle pagine più belle dell’opera, uno volta superato lo scoglio del primo atto che dura un’ora e mezza. Successo incontrastato per tutti con ripetute chiamate anche se l’ora era tarda, anzi tardissima!

Andrea Merli

 

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