Novara: CARMEN – Georges Bizet 6 ottobre 2017
Dramma lirico in quattro atti
Musica di Georges Bizet, su libretto di E. Meilhac e L. Halévy
Prima rappresentazione: Parigi, Théâtre de l’Opéra-Comique, 3 marzo 1875
Direzione d’orchestra Matteo Beltrami
Regia Sergio Rubini
Personaggi e Interpreti:
- Carmen, zingara e sigaraia: ALISA KOLOSOVA
- Don José, brigadiere: AZER ZADA
- Micaela, giovane navarra: VALERIA SEPE
- Escamillo, torero: SIMON ORFILA
- Frasquita, zingara: LEONORA TESS
- Mercédès, zingara: GIORGIA GAZZOLA
- Il Dancairo, contrabbandiere: PAOLO MARIA ORECCHIA
- Il Remendado, contrabbandiere: DIDIER PIERI
- Zuniga, tenente: GIANLUCA LENTINI
- Moralès, brigadiere: LORENZO GRANTE
Regista Assistente Gisella Gobbi
Coreografie Simona Bucci
Luci Fiammetta Baldiserri
Scene Luca Gobbi – Costumi Patrizia Chericoni
Orchestra Fondazione Teatro Coccia / Orchestra del Conservatorio “Guido Cantelli” di Novara
Coro San Gregorio Magno – Coro delle voci bianche Accademia Langhi
Produzione Fondazione Teatro Coccia Onlus
Ad aprire la stagione 2017/18 del Teatro Coccia una nuova ed ambiziosa produzione di Carmen, in lingua originale e nella versione Opéra Comique, con i dialoghi recitati. Dopo la fortunata Aida dello scorso anno, si riprova con un altro titolo molto impegnativo, specie per quanto riguarda coro ed orchestra: il Coro San Gregorio Magno, formato da cantori non professionisti, ma preparati benissimo dal M° Mauro Rolfi,
le voci bianche dell’Accademia Langhi, sotto la guida di Alberto Veggiotti,
l’Orchestra Fondazione Teatro Coccia integrata con l’Orchestra del Conservatorio G.Cantelli, il tutto affidato alla bacchetta del direttore musicale dal 2016 del Coccia, il Maestro Matteo Beltrami. E guai non ci fosse lui per portare in porto un’impresa ancora più ardua di quella che già pareva impossibile di Aida. Carmen, in verità, è opera assai più complicata, sia sul piano squisitamente orchestrale, dove gli strumenti sono chiamati a sinfonici interventi solistici e che presenta, oltre alla celebre ouverture, ben tre intermezzi musicali, sia per la tenuta del palcoscenico, dove il coro interviene a sezioni, i solisti sono chiamati a frequenti scene di assieme dove è determinate la precisione nelle entrate che non ammettono la benché minima distrazione o ritardo.
Dopo tutte queste considerazioni, diciamo subito che Beltrami, contando su un cast in cui quasi tutti debuttavano, escludendo Escamillo ed il Dancairo, ha ottenuto la proverbiale quadratura del cerchio con risultati ancora una volta stupefacenti. Se si è proceduti, per ovvi motivi, a drastici tagli della parte parlata e anche a snellire la parte musicale, specie nel quarto atto dove è stata omessa tutta l’introduzione con i venditori ambulanti e si è passati direttamente alla sfilata dei toreri, è da considersi in una situazione “border line” il minore dei mali, anzi il primo dei pregi. L’opera acquista, così, una sua urgenza e snellisce il lavoro soprattutto al regista in palcoscenico.
Anche in quest’occasione – è un po’ la regola al Coccia, per un preciso programma della sua direttrice Renata Rapetti – si è chiamato un personaggio noto nel mondo del cinema e del teatro. L’attore e regista Sergio Rubini e con lui il suo team formato da Luca Gobbi, per la scena e Patrizia Chericoni per i costumi, a cui si sono sommate Fiammetta Baldiserri per le luci e Simona Bucci per le coreografie.
Ne è scaturito uno spettacolo che il pubblico ha dimostrato di gradire con un’accoglienza calorosa ai responsabili della parte visiva, sostanzialmente scorre nell’alveo della più confortante e scontata tradizione, inficiata da qualche ingenuità sconfinante in errori registici dettati dalla inesperienza specifica col genere. Per esempio, buona parte dell’azione si svolge su due imponenti scalinate fisse molto laterali, senza contare sulla effettiva visibilità dai palchi laterali e dall’alto del loggione. Per non parlare della sfilata dei toreri dove se il kitsch era voluto avrebbe dovuto essere forse più esplicito, facendo accompagnare Escamillo da improbabili “torere”, alcune a torso nudo e travestendo da toro, con testa d’ariete un ragazzo di colore trascinato per la scena con indosso un tanga. La pruderie risultando però risibile e tutt’altro che erotica.
Sul piano musicale questa Carmen invece la si ricorderà non solo per la direzione scattante di Beltrami, ma per la bellissima prova offerta dal mezzosoprano russo Alisa Kolosova, al suo debutto di ruolo. Tra l’altro era quella dal francese più accettabile. Bella ragazza con le curve al punto giusto e, soprattutto, da giustificare l’essere oggetto del desiderio, possiede una voce assai gradevole di mezzosoprano acuto, e quindi si trova a suo agio tanto nella celebre “Habanera” quanto nella non meno famosa “Seguidilla“. Ha ben figurato nella drammatica lettura delle carte al terzo atto e, finalmente, si è concessa un impeto estremo ottenendo uno stupendo risultato sia musicale che drammatico nel duetto finale che precede la sua uccisione da parte di Don José. Questi era il tenore azerbagiano Azer Zada, pure lui al debutto e comprensibilmente teso, specie all’inizio. Dotato di una magnifica voce lirica con possibilità di future avventure nel repertorio più spinto, ha cantato assai bene, sfruttando pure il suono misto nel primo duetto con Micaela e poi impegnandosi con credibilità ed impeto nel resto dell’opera, concludendo con un elettrizzante finale. La figura non lo aiuta, men che meno i costumi, ma la verità nel canto nonostante gli impacci gli hanno garantito una calorosa accoglienza.
Come spesso capita, l’applauso più scrosciante se l’è guadagnato Micaela a cui l’occasione è fornita da Bizet su un vassoio d’argento con la celeberrima aria del terzo atto. Valeria Sepe conferma le grandi qualità e, sebbene il ruolo sia quello dell’ingenua fanciulla, ne scaturisce un personaggio forte e coraggioso. Il tutto grazie ad una vocalità ricca ed impetuosa che la Sepe sa dominare nei pianissimo quanto espandere in luminosi e potenti acuti. Tra i professionisti di lunga data che han preso parte alla recita, secondo a nessuno il basso di Menorca Simon Orfila, Escamillo insultante per presenza e vocalità franca e baldanzosa. La sua partecipazione è stata prevedibilmente uno dei punti forti della serata, culminando sia nell’esemplare esecuzione del “Toreador” quanto nella scena della diffida con Don José tra le montagne e i contrabandieri. Questi erano capeggiati da Paolo Maria Orecchia, Dancairo robusto come una roccia, affiancato dal Remendado di Didier Pieri, giovane tenore dalla voce in avanti e sempre presente. Dote questa pure della giovanissima Frasquita, il soprano Leonora Tess, deliziosa zingarella dalla voce in punta e che in virtù del timbro chiaro passa su tutti, orchestra compresa e piazza i suoi bravi DO acuti. Bene anche la Mercedes di Giorgia Gazzola, e bravissimi tutti e quattro nel celebre quintetto a cui si è sommata Carmen nel secondo atto. Da ricordare lo Zuniga, che con la versione parlata ha poco da cantare per la verità, di Gianluca Lentini e il Morales ben piazzato di Lorenzo Grante.
Teatro esauritissimo, a riprova che il repertorio richiama sempre pubblico, e festante con tanti volti giovani; tutti molto partecipi alla serata conclusasi con un successo calorossissimo.
Andrea Merli