LAS PALMAS: Lucia di Lammermoor – 23 febbraio 2017

LAS PALMAS: Lucia di Lammermoor – 23 febbraio 2017

 LUCIA DI LAMMERMOOR

Gaetano Donizetti

TEATRO PÉREZ GALDÓS

 

 

 

direttore: Marzio CONTI

regia: Paco LÓPEZ

 

Personaggi e Interpreti: 

  • Lucia di Lammermoor: ELENA MOSUC
  •  Edgardo: PAOLO FANALE
  •  Enrico: ROMAN BURDENKO 
  • Raimondo: DEYAN VATCHKOV 
  • Arturo: MARC SALA 
  • Normanno: FRANCISCO NAVARRO
  • Alisa: ROSA DELL MARTÍN

 

 

scene e costumi: Jesús RUIZMoraya SÁNCHEZ –  Repertorista

Laura NAVARRO – Regiduría general y Jefa de escenario

ORQUESTA FILARMÓNICA de GRAN CANARIA

CORO  de la ÓPERA  de  LAS PALMAS DE GRAN CANARIA

maestro del coro: Olga SANTANA

Producción del Teatro Villamarta de Jérez de la Frontera.



La 50esima stagione della ACO, Amigos Canarios de la Opera, si svolge al Teatro Pérez Galdòs di Las Palmas di Gran Canaria, sostenuta oltre che dall’apporto dei soci e degli sponsor privati, dal contributo pubblico del Municipio cittadino, del Cabildo di Gran Canaria, del Ministero di Cultura del Governo Centrale, del Governo Regionale delle Canarie e dall’apporto decisivo del Patronato del Turismo di Gran Canaria.

E’ dedicata al tenore più celebre dell’Isola, Alfredo Kraus, il quale il prossimo 25 novembre avrebbe raggiunto la soglia dei novant’anni. Cinque i titoli in cartello tra quelli che furono altrettanti suoi cavalli di battaglia. A leggere la cronologia pubblicata sul programma di sala, di Lucia di Lammermoor, eseguita nel corso della stagione 1969 da Kraus ed in rapida successione nel 1973 da Pavarotti e nel 1977 da Aragall, s’intuisce la massima importanza riservata in specie al “tenore della bella morte” e l’interesse che il capolavoro di Donizetti ha sempre avuto in quest’angolo di Spagna immerso nell’oceano Atlantico.

E quindi anche in quest’edizione, cui seguirà in marzo per La Favorite, per la prima volta in francese (Kraus la cantò sempre nella versione italiana del Jannetti), si è puntato sulle vocalità preziose dei due protagonisti principali.

Di Elena Mosuc, che impiccionescamente scoprii proprio in questo titolo in quel di Salonicco diretta da Francesco Maria Colombo e per la regia di Renata Scotto (la quale, tiratomi in disparte, mi sussurrò: “questa ragazza e destinata a fare una grande carriera”) c’è poco da aggiungere. Gli anni ed un repertorio che nel tempo si è progressivamente e comprensibilmente allargato – penso alla Lucrezia Borgia che in ottobre ha inaugurato la stagione a Bilbao a cui è seguita recentemente un’Anna Bolena lusitana, al Teatro di Sao Carlos di Lisbona – sono passati senza scalfire un’organizzazione vocale che, in virtù di una tecnica ferratissima e di una musicalità adamantina, ancor oggi rende piena giustizia al ruolo eseguendone tutte le note senza sconti. S’aggiunga la maturità dell’interprete che ora, fraseggiando ed accentando con grande forza ed incisività, ha raggiunto vette espressive di altissimo livello. La coloratura è sempre impeccabile, ma mai fine a sé stessa, bensì coscientemente eseguita a fini drammatici. I toni nostalgici del primo duetto col tenore lasciano passo all’enfasi e drammaticità del successivo incontro-scontro col fratello. Infine la grande scena della “pazzia” la vede primeggiare gareggiando col flauto e piazzando sovracuti ben sostenuti. Il trionfo personale, a fine recita, è stato prevedibile.

La sorpresa, sebbene se ne conoscesse il valore e la qualità di una voce in natura bellissima, dolce e maschia nel contempo, l’ha riservata Paolo Fanale che ritorna al ruolo di Edgardo dopo un primo ed isolato approccio al Teatro Cilea di Reggio Calabria, ormai circa una decina di anni fa. La perseveranza nello studio ha dato i suoi frutti in un canto romantico dove non c’è un suono forzato, una nota spinta;  il suono, anzi, aleggia sempre sul fiato con messe in voce di rara suggestione, uso del legato ed accentazione della parola cantata semplicemente perfetti. L’intelligenza dell’Artista comporta un dominio del mezzo ed una pertinenza stilistica che ci riportano ad una maniera di cantare “all’antica”, dove le mezze voci hanno un appropriato appoggio e dove colori, tinte e sfumature rispondono ad una tavolozza completa e variopinta. Egli risolve senza sbraitare con effettacci veristi la scena della diffida nel secondo atto, mantenendo un’innegabile autorevolezza; dove poi conquista è nella scena finale, già dal recitativo “Tombe degli avi miei” e con un commovente “Tu che a Dio spiegasti l’ale” provocando un autentico delirio nel pubblico che affollava la sala.

Dotati di sana e robusta costituzione vocale sia il baritono rumeno Ruman Burdenko, Enrico che il basso bulgaro Deyan Vatckov, Raimondo; imponenti anche scenicamente, ma forse più versati ad un canto esplicitamente verista. Il pubblico li ha graditi moltissimo e con loro il sonoro Normanno di Francisco Navarro, la puntuale Alisa di Rosa Delia Martin e l’esangue “sposino” Arturo del tenore Marc Sala dalla voce filiforme. Compatto il coro, come sempre istruito da Olga Santana ed assai bene l’Orchestra Filarmonica di Gran Canaria sotto la guida del direttore toscano Marzio Conti; il quale oltre a procedere con una lettura efficace condivisibile anche nel taglio della scena della torre – a quanto pare imposta dalla regia – ha mantenuto un ottimo rapporto tra buca e palcoscenico, sostenendo opportunamente le voci. Ha pure condotto in porto una “prima” – la recensione si riferisce alla seconda recita – in cui la protagonista è stata sostituita a tambur battente, arrivando in volo da Barcellona all’Isola sei ore appena prima dell’inizio dello spettacolo: complimenti al Maestro ed al coraggioso ed infaticabile soprano Maria José Moreno che ha salvato la recita ed ha avuto un’accoglienza calorosissima.

Poco da dire sulla produzione proveniente dal Teatro Villamarta di Jerez de la Frontera: la scena costituita da tulli e proiezioni ed i costumi, al solito anni trenta dello scorso secolo, non erano privi di un certo fascino. Li ha firmati Jesus Ruiz. Piuttosto cervellotica la regia di Francisco Lopez, che ha provveduto pure alle luci, il quale ha deciso di fare iniziare l’opera col suicidio della protagonista sulla spiaggia e, di conseguenza, con una revisione fuorviante della drammaturgia, salvo poi lasciare che il singolo segua una recitazione convenzionale e stereotipata. Uno spettacolo tutto sommato neutro che “non disturba”. Il ché oggi per oggi sembra quasi un complimento.

Andrea Merli

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