LUCCA: la Cenerentola – 10 febbraio 2017

LUCCA: la Cenerentola – 10 febbraio 2017

LA CENERENTOLA

dramma giocoso in due atti di Jacopo Ferretti
musica di GIOACHINO ROSSINI
Edizione critica della Fondazione Rossini di Pesaro in collaborazione con Casa Ricordi, Milano, a cura di A. Zedda

omaggio a Lele Luzzati

a 200 anni dalla prima rappresentazione al Teatro Valle di Roma (25 gennaio 1817)

direttore: Erina Yashima
regia: Aldo Tarabella

Personaggi e Interpreti:

  • Don Ramiro, Principe di Salerno: Pietro Adaini
  • Dandini, suo cameriere: Pablo Ruiz
  • Don Magnifico, Barone di Montefiascone: Marco Filippo Romano
  • Clorinda: Giulia Perusi
  • Tisbe | Isabel De Paoli
  • Angelina, sotto nome di Cenerentola, figliastra di Don Magnifico: Teresa Iervolino
  • Alidoro, filosofo, maestro di Don Ramiro: Matteo D’Apolito

scene: Enrico Musenich
costumi: Lele Luzzati
luci: Marco Minghetti
coreografie: Monica Bocci

Orchestra Giovanile Luigi Cherubini

Coro Melodi Cantores
maestro del coro: Elena Sartori

nuovo allestimento del Teatro del Giglio di Lucca
coproduzione Teatro del Giglio di Lucca, Teatro Alighieri di Ravenna, Fondazione Teatri di Piacenza
con la collaborazione di Teatro Comunale “A. Rendano” di Cosenza, Ente Luglio Musicale Trapanese


Lo spettacolo nasce come un omaggio a Lele Luzzati – pittore e scenografo e costumista – nel decimo anniversario della sua scomparsa. E come tale rappresenta per molti un tuffo nel passato, carico di nostalgia e di bei ricordi legati anche e proprio alla Cenerentola che con la sua firma vide la luce a Genova, quando la stagione operistica era ospitata al Teatro Margherita, nell’ormai lontano 1978. A rinnovarne i fasti, l’allegria, la ricchezza cromatica e la frenetica fantasia, ci ha pensato un team di fedelissimi, capeggiati da Aldo Tarabella, regista e ancor di più uomo di teatro e musica, che non si sono limitati a rispolverare vecchie scene e costumi, ma hanno vivificato il ricordo con una originale e nuova produzione.

Ammirevole, in tal senso, il lavoro di restauro operato dai giovani allievi della Fondazione Cerratelli, la celebre sartoria teatrale fiorentina che oggi può vantare un patrimonio di oltre settecento costumi a firma Luzzati, sui costumi originali che sono tornati a splendere “coloratissimi e armoniosi, fiabeschi e rigorosi come le partiture rossiniane”. La tournée che porterà questa Cenerentola, tra altre città, a Ravenna ed a Piacenza c’è da auspicarsi che abbia seguito in molti teatri non solo italiani; celebrerà così il magistero creativo di Luzzati grazie all’intervento scenografico di Enrico Musenich, che ha ricreato la parte visiva in un mosaico di palazzi ed interni genovesi con elementi autoportanti dipinti che si scompongono e ricompongono grazie a mimi e a tecnici invisibili. Soprattutto per il lavoro decisivo di Tarabella, il quale fedele ad uno stile “alla Ponnelle” trasforma il tutto in un perfetto ingranaggio di orologeria teatrale, affidandosi pure alle divertenti coreografie di Monica Bucci, con il perfetto disegno di luci di Marco Minghetti. Il progetto si discosta decisamente dal benché minimo sapore museale, avendo una sua prorompente vitalità e freschezza, risultando coinvolgente e divertentissimo.

Se la parte visuale ha conquistato da subito, non meno esaltante è stata la componente squisitamente musicale. Iniziando dalla direzione di Erina Yashima, tedesca di nascita ed assistente del M° Muti, che ha diretto la valente Orchestra Giovanile Luigi Cherubini con ritmo sostenuto in una lettura avvincente e senza cedimenti di sorta. Alla “prima” forse qualche dinamica ha preso il sopravvento, ma lo spirito rossiniano è stato ben presente in quella “follia organizzata” che, giusto per fare un esempio, si sfoga nell’insuperabile scioglilinguagnolo del sestetto “Questo è un nodo avviluppato” con vigore irresistibile. Molto apprezzati, anche per la disponibilità scenica dove ognuno di loro aveva un ruolo e dove tutti sembravano divertirsi un mondo, gli integranti maschili del Coro Melodi Cantores ben indirizzati da Elena Sartori.

Infine un cast dove tutti sono sembrati perfettamente a fuoco. Iniziando dall’autorevole Alidoro cantato con gusto e morbidezza, ma anche precisione nelle agilità della temibile aria “Là del ciel nell’arcano profondo”, dal promettente e giovane basso Matteo D’Appolito. Ottime ed assai ben assortite le due sorellastre: la straripante Clorinda, simpaticamente petulante del soprano coloratura Giulia Perusi e la imponente Tisbe del mezzosoprano Isabel De Paoli, dispettosa e spigolosa quanto basta. Il ventitreenne tenore palermitano Pietro Adaini è stato un ottimo Don Ramiro, tenendo conto delle difficoltà della parte, dell’estensione richiesta nel corso dell’opera, culminante con l’aria del secondo atto irta di sovracuti che natura gli ha donato generosamente e che gli è valsa un’autentica ovazione. Anche qui siamo di fronte ad un talento in crescita ed è lecito attendersi da lui grandi cose per il prossimo futuro. La figura ha pure un suo perché essendo perfetto quale bel “principino”, seppure la vistosa parrucca ricordasse quella della Sora Cecioni di televisiva memoria.

Le simpatie del pubblico vanno sempre indirizzate ai due personaggi buffi dell’opera. Il cameriere travestito da principe, Dandini, ha trovato nel baritono spagnolo di Huelva Pablo Ruiz la giusta vocalità, lo spirito e lo stile appropriato per fare pure da spalla all’irresistibile Don Magnifico del baritono Marco Filippo Romano. Siamo qui di fronte ad uno dei più brillanti esempi di autentico “buffo” rossiniano, dove al colore ed ampiezza del basso-baritono si sommano sia l’estensione che la precisione nel sillabato. La musicalità e la dizione esemplari si uniscono a doti di attore fuori del comune sia nell’accento e nel fraseggio che nella mobilità fisica e nella mimica facciale, atletica la prima, degna di Fregoli la seconda. Prevedibile l’accoglienza trionfale, specie alla seconda aria “Sia qualunque delle figlie” ed alla ribalta finale.

Ultima, ma gemma preziosa del cast, l’Angelina del mezzosoprano Teresa Jervolino che ci si vanta, impiccionescamente, di seguire dai primissimi passi artistici. Di fatto è stato il suo vero debutto di ruolo, pur avendone sostenuto recite sparpagliate in secondi cast tra Palermo e Torino. Debutto felicissimo per la bellezza del timbro, che ha la suadenza e morbidezza di un prezioso velluto di seta, per la articolazione delle agilità, snocciolate senza intoppi e con una naturalezza deliziosa, per l’emotività che ha saputo donare al personaggio, non senza un pizzico di ironia e di giovanile scanzonatezza. Un’acquisizione di ruolo sulla scia della vocalità piena, all’italiana, che ci riporta idealmente all’indimenticata Lucia Valentini Terrani che quei bellissimi costumi di Luzzati indossò per prima.

Andrea Merli

 

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