Parma GIOVANNA D’ARCO – Giuseppe Verdi 2 ottobre 2016
GIOVANNA D’ARCO
Dramma lirico in tre atti su libretto di Temistocle Solera dal dramma Die Jungfrau von Orléans di Friedrich Schiller
Musica
GIUSEPPE VERDI
Editore Casa Ricordi, Milano
Maestro concertatore e direttore: RAMON TEBAR
Regia: SASKIA BODDEKE, PETER GREENAWAY
Personaggi Interpreti:
- Carlo VII: LUCIANO GANCI
- Giacomo: VITTORIO VITELLI
- Giovanna: VITTORIA YEO
- Delil: GABRIELE MANGIONE
- Talbot: LUCIANO LEONI
- Giovanna innocente: LINDA VIGNUDELLI
- Giovanna guerriera: LAURA GUIDETTI
- Aiuto regia: SARA THAIZ BOZANO
- Video edit a cura di ELMER LEUPEN
- Scene: ANNETTE MOSK
- Costumi: CORNELIA DOORNEKAMP
- Luci: FLORIAAN GANZEVOORT
- Video design: PETER WILMS
- Coreografie: LARA GUIDETTI
- Maestro del coro: MARTINO FAGGIANI
I VIRTUOSI ITALIANI
CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA
Secondo appuntamento con Verdi al Teatro Farnese, all’interno del Palazzo della Pilotta. Qualche anno fa fu il turno di Falstaff, e già allora apparve come spazio suggestivo, ma acusticamente inappropriato. Un forte rimbombo, dovuto alla dimensione del luogo comporta la “non definizione” dei suoni, specie se viene mantenuta la originale disposizione, per altro con gradinate spericolate anche per i più giovani.
Ora e per l’occasione si è tentato di ovviare ribaltando le posizioni: il pubblico sistemato su una gradinata disposta sul palcoscenico, l’azione nella platea e sulle gradinate in principio destinate alla feste che ivi si svolgevano e che comunque, con l’opera e con Verdi in particolare, nulla avevano da spartire.
Il risultato a dire il vero è stato nettamente superiore alla precedente esperienza, non di meno il luogo per l’opera a Parma è e rimane il Teatro Regio. Premessa necessaria pure per giustificare il bizzarro allestimento, di fatto senza una scenografia, giocato con videoproiezioni, alcune tridimensionali di indubbio effetto, per esempio quella di un’enorme corona aurea che pareva librarsi e girare per magia in aria.
Video edit a cura di Elemer Leupen, video design di Peter Wilms, scene di Annette Mosk, costumi di Cornelia Doornekamp e regia firmata a quattro mani da Saskia Boddeke e Peter Greenaway: di fatto una “non regia” cha ha da subito abdicato nei confronti di una prevaricante coreografia, questa a firma di Laura Guidetti, imbastita da due fanciulle, Linda Vignudelli e Lara Guidetti, incarnanti rispettivamente “Giovanna innocente” e “Giovanna guerriera” in una pretesa dissociazione della protagonista, sulla cui psicotica vicenda, più che altro e un po’ come in Scala nella passata edizione, si è voluto incentrare il dramma, e cioè la storia di una invasata.
Alla prova scenica e ancor più vocale, con risultati encomiabili in entrambi i casi, si è prestata Vittoria Yeo, soprano koreano in piena ascesa, allieva tra le più dotatate tra le dotatissime di Raina Kabaivanska, ovviamente presente e plaudente in prima fila. La Yeo, di cui mi vanto di essere stato tra i primissimi estimatori per una sua davvero eccezionale Fiordiligi nel Così fan tutte in quel di Pafos a Cipro, possiede le carte per assurgere tra i maggiori soprano del momento: una vocalità preziosa e completa, una musicalità ed una tecnica di canto a prova di bomba, dove non si sa se ammirare di più la pienezza dell’acuto o la facilità nel dominare le distinte dinamiche con meravigliose messe in voce e pianissimi, e ciò che è ancor più raro tra gli orientali, una coscienza precisa della parola cantata, un accento autenticamente verdiano e doti di ottima fraseggiatrice. Si aggiunga la notevole facilità nelle agilità, sciolte con totale naturalezza e senza affanno, e si comprendano i motivi di un trionfo meritatissimo del quale si dà atto con gioia e speranza.
Un altro elemento che non si è mai perso d’occhio è il tenore Luciano Ganci, pure lui in crescita vocale ed artistica. Ha interpretato un Carlo VII di trepidante partecipazione sia nell’aria e cabaletta che nel resto dell’opera, culminando per trasporto e dolcezza di canto nel duetto con Giovanna, uno dei momenti più belli della felice serata.
Stessa sorte quella del baritono Vittorio Vitelli, ottimo nei panni del padre accusatore e poi pentito e redento, autorevole nel canto ed interpretativamente di spicco. Bene nei ruoli marginali, ma sempre esposti, il Delil del tenore Gabriele Mangione ed il Talbot del basso Luciano Leoni.
Apprezzatissimo, come sempre, il coro sotto la guida infallibile del Maestro Martino Faggiani e ottima l’orchestra, ubbidiente alla bacchetta emergente di uno dei maggiori talenti della nuova generazione, non solo spagnola: il Maestro valenciano Ramon Tebar, che ha infuso allo spartito il vigore necessario, senza tralasciare mai le ragioni del canto.
Una serata all’insegna del successo sottolineato dai frequenti applausi a scena aperta e dalle numerose chiamate alla ribalta finale.
Andrea Merli