Don Carlo – Teatro Regio di Parma 1 ottobre 2016

Don Carlo – Teatro Regio di Parma 1 ottobre 2016

FESTIVAL VERDI 2016

DON CARLO

dramma lirico in quattro atti su libretto di Joseph Méry e Camille du Locie

musica di Giuseppe Verdi

Maestro concertatore e direttore: Daniel Oren

Regia: Cesare Lievi

Personaggi e Interpreti:

  • Filippo II: Michele Pertusi
  • Don Carlo: José Bros
  • Rodrigo: Vladimir Stoyanov
  • Grande Inquisitore: Ievgen Orlov
  • Un Frate: Simon Lim
  • Elisabetta di Valois: Serena Farnocchia
  • La Principessa Eboli: Marianne Cornetti
  • Tebaldo: Lavinia Bini
  • Il Conte di Lerma:Gregory Bonfatti
  • Un araldo reale: Gregory Bonfatti
  • Voce dal cielo: Marina Bucciarelli
  • DEputati Fiamminghi: Daniele Cusari, Andrea Goglio, Carlo Andrea Masciarri, Matteo Mazzoli, Alfredo Stefanelli e Alessandro Vandin

scene e costumi: Maurizio Balò

luci: Andrea Borelli

Maestro del Coro: Martino Faggiani

Filarmonica Arturo Toscanini

Coro del Teatro Regio di Parma

Si apre il Festival Verdi, tra mille ed una difficoltà economiche, ma con tenacia e con un’opera che mancava in terre verdiane addirittura dall’aprile del 1998: Don Carlo. Ora, che sia un’opera di difficile programmazione e gestazione, anche nella versione “ridotta” in quattro atti, è risaputo. E certo il Festival prima o poi doveva affrontare la sfida. Vincente a giudicare dal successo trionfale e senza screzi della serata del primo di ottobre, successo destinato a riconfermarsi in corso di repliche e che in gran parte è stato meritatissimo, specie per quanto riguarda il lato musicale e vocale.

doncarlo2016_scena-dellautodafeE partiamo proprio da lì: l’attesissimo debutto della gloria locale, il basso-baritono Michele Pertusi che affronta per la prima volta giocando in casa, ma in questa “casa” ciò non è sempre sinonimo di compiacente accoglienza, il monumentale ruolo verdiano di Filippo II. Quando si dice giunto al momento giusto di una carriera per molti versi esemplare, calibrata e studiata con lavoro costante e con intelligenza nella scelta dei ruoli. Pertusi ha pure qualità e doti indispensabili per affrontare e risolvere al meglio un ruolo di tali proporzioni: la maturità e l’esperienza. Qualità che gli hanno permesso già al suo primo approccio, ovviamente perfettibile perchè questo ruolo più di altri va metabolizzato, di raggiungere livelli, sia vocale che interpretativo, davvero notevolissimi. Già dall’ingresso e nel successivo duetto con Posa, in quella esposizione del canto di conversazione che Verdi ha tessuto qui in maniera sublime, alla scena davanti alla cattedrale di Atocha, quanto i deputati fiamminghi e la reazione del figlio. Intensa e sofferta è parsa l’interpretazione della celeberrima aria “Ella giammai m’amò” con il recitativo che la precede; altrettanto scolpito il seguente duetto con il Grande Inquisitore e pure lo scontro con Elisabetta.

doncarlo2016_vladimir-stoyanovUna prova che ha infiammato il pubblico del Regio. Non meno applaudito e festeggiato il valente Rodrigo interpretato con ampiezza di mezzi e con sagacia interpretativa superiore dal baritono Vladimir Stoyanov, a ragione beniamino del pubblico parmense e di fatto italianissimo per scuola e stile di canto. Da tempo non si ricordava, e mi limito ad un solo esempio, una scena del carcere di tale intensità, emotiva oltre che vocale. Sugli scudi pure l’ottimo Don Carlo di José Bros, che negli anni ha sviluppato un cambio di repertorio consono all’evoluzione della voce che, senza perdere la strada all’acuto, si è rafforzata in zona centrale conservando lo squillo ed il timbro francamente tenorile. In più giova ricordare anche in lui la maturità artistica che ne fa un interprete raffinato, sensibile e dotato di una tavolozza ricca di colori, molto apprezzati nello struggente duetto finale con Elisabetta, di una perfetta scansione della parola cantata, che giunge perfettamente intelleggibile e padrone di un fraseggio infiammato e trascinante. Anche per lui un meritato trionfo personale, che si è garantita pure Marianne Cornetti, applauditissima dopo un “O don fatale” di straordinario impatto vocale. La voce è sempre ben proiettata, gli acuti sono sempre lì sicuri e fendenti come sciabolate, l’interprete gestisce al meglio una fisicità non fortunatissima, ma che non le impedisce di essere credibile nel ruolo di Eboli. Brava, ma piuttosto generica per timbro e fraseggio, la Elisabetta di Serena Farnocchia che, pur non presentando pecche vistose, assumibile un certo eccesso nel vibrato, rimane piuttosto in ombra. In ombra senz’altro il basso Ievgen Orlov, dalla voce potente, ma disordinata nell’intonazione, con una evidente assenza in zona grave, indispensabile al Grande Inquisitore. Molto meglio, per colore vocale e linea di canto il bravo Simon Lim nel ruolo tutt’altro che marginale del Frate, che poi è Carlo V o almeno il suo fantasma. Bello e ben cantato il Tebaldo dal soprano Lavinia Bini, ottimi sia la voce del cielo di Marina Bucciarelli che il Conte di Lerma e l’Araldo di Gregory Bonfanti, e così pure ben assortiti nella loro coralità i deputati fiamminghi: Daniele Cusari, Andrea Goglio, Carlo Andrea Masciarri, Matteo Mazzoli, Alfredo Stefanelli e Alessandro Vandin.

doncarlo2016_michele-pertusiLode incondizionata tanto all’ottimo coro, superbo nella preparazione di Martino Faggiani, Maestro tra i maestri di coro, quanto all’ottima Filarmonica Arturo Toscanini, giunta ad un livello davvero superlativo e particolarmente ispirata sotto la bacchetta di Daniel Oren, autore di una lettura trascinante, che gioca come solo lui sa fare tra chiari e scuri sulla “tinta” verdiana con effetti caraveggieschi e che sostiene idealmente le voci, respirando e cantando con loro: dalla prima fila dove mi sono piazzato a dispetto del posto assegnatomi in una fila centrale, ne ho seguito il gesto e le espressioni: uno spettacolo nello spettacolo.

doncarlo2016_serena-farnocchiaAncora una volta, in fondo, la regia e lo spettacolo. Di sostanziale modestia, giustificabile solo in parte con la crisi e la mancanza di soldi. La scena di Maurizio Balò, che firma pure i costumi, ci infligge una monumentale, marmorea lapide che si trasforma in stanza e solo a momenti si apre e, nel fondo, lascia intravvedere un cielo in tempesta che si colora di rosso per le fiamme dell’Auto de Fe. La piattezza che ne deriva è solo in parte distratta da una regia dove Cesare Lievi, con uno svolgimento assolutamente tradizionale, pecca di ingenuità trattando la trama quasi fosse quella di una telenovela brasiliana. E così abbiamo frati che spiano continuamente quanto avviene in scena, mascherine che si inseguono e che poi fanno le ombre cinesi durante la scena del giardino laddove l’infante scambia Eboli per la regina. Questa appare nella scena, per definizione solitaria, di Filippo che apre il terzo atto, spegnendo la candela del doppiere, in realtà ad una sola luce. Infine, e limitando la descrizione dei dettagli ai più ridicoli, l’Inquisitore che da libretto dovrebbe essere un nonagenario frate francescano, cieco e sostenuto da altri due frati, ci viene presentato in veste cardinalizia, deambulante con l’aiuto di un bastone-crocefisso brandito anche come arma. Ci si chiede, ancora una volta, perché? Domanda retorica. La produzione si vedrà al Carlo Felice di Genova, a Tenerife ed al Teatro de Sao Carlos di Lisbona. Buon viaggio!

Andrea Merli

 

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