Silvana Moyso (Silvana Bocchino)

Silvana Moyso (Silvana Bocchino)

In seguito alla segnalazione del soprano stesso abbiamo sostituito il cognome in “Moyso”. Il soprano, che il 31 dicembre a mezzanotte compie 73 anni ha così scritto: “mi è stato cambiato dal maestro Siciliani alla Scala nel 1976“. Facciamo dunque tantissimi auguri di Buon Compleanno e Felice Anno Nuovo a questa splendida artista.

la Redazione, 28 dicembre 2017

Silvana Moyso (Silvana Bocchino)

Riportiamo qui di seguito la nota di Rodolfo Celletti (Roma, 13 giugno 1917 – 4 ottobre 2004) che è stato  musicologo, critico musicale, maestro di canto e scrittore italiano.

silvana bocchinoIl mio primo incontro con Silvana Bocchino risale al luglio del 1973, al tempo del I Concorso Internazionale di canto di Peschiera del Garda. Al termine del consueto iter –eliminatorie, semifinali, finali – la Bocchino si classificò al primo posto; caso, d’altronde, non nuovo, per lei, che di concorsi ne aveva già vinti altri. La Bocchino era allora – ed è ancor oggi, salvo un anno in più –una ventisettenne ragazza torinese, apparentemente placida ed ottimista, che, dopo aver studiato al Conservatorio della sua città, si stava perfezionando con Elvira Hidalgo. Naturalmente aveva alle spalle, come tutte o quasi tutte, una piccola ma amara storia di difficoltà, di ristrettezze e di ostacoli affrontati – o aggirati – per poter arrivare a imparare a cantare. Era stata telefonista, mi raccontò, e poi corista alla RAI di Torino. Due occupazioni, per inciso, pericolosissime per le voci indirizzate al canto solistico. Tuttavia la Bocchino era riuscita a salvarsi dai frangenti dell’una e dell’altra e me ne aveva dato la prova sin dal primo brano che le avevo sentito eseguire a Peschiera, ch’era poi l’aria del Prologo della Lucrezia Borgia di Donizetti, inclusa in questo microsolco. Due mesi dopo, Silvana Bocchino esordiva al Nuovo di Milano con i Puritani e, passata qualche settimana, mi telefonò per comunicarmi una notizia veramente sbalorditiva, dati i tempi e gli usi. Una grande casa fonografica si interessava a lei ed era alle viste un recital in microsolco. Potevo suggerirle qualche pagina di particolare interesse da incidere? Talora il caso segue per manifestarsi, strade tortuose; altre volte batte vie piane e immediate. In quel momento io avevo sotto gli occhi l’aria di Amenaide, de I° atto del Tancredi. Sapevo bene che era uno dei brani più ostici del Rossini giovanile e tale forse da spezzare le ossa, nella seconda parte, a quasi tutti i soprani del nostro tempo. Tuttavia gettai la carta sul tappeto senza esitare; e senza esitare – le bastò dare un’occhiata allo spartito- Silvana Bocchino la raccolse. Nel suo corredo tecnico e stilistico di allora, sebbene già ragguardevole, mancavano certi tratti tipicamente Rossiniani. Ma la Bocchino aveva fiducia nella propria perseveranza e così io, che ho sempre pensato che le cantanti piemontesi, se non ci fossero, bisognerebbe inventarle. La loro abnegazione è praticamente illimitata.silvana bocchino Ma risulta, da fonte abbastanza attendibile – l’interessata – che una diabolica volata discendente di terzine, collocata quasi in apertura di brano, è costata qualche lacrima alla stessa ragazza che a Peschiera avevo udito sgranare le agilità della Lucrezia Borgia con sorprendente pacatezza; ma Rossini, si sa, è un’altra cosa, i suoi ghiribizzi vocali graffiano. In ogni caso, non credo che queste lacrimucce siano destinate a trovare molto posto nella biografia di Silvana Bocchino, se verrà il momento, per gli amanti dell’aneddotica vocale, di interessarsi a lei e di riandare ai suoi primi passi. Sono cose normali, hanno un minimum di sapore soltanto quando il soggetto, come nella fattispecie, di biografia è ancora quasi del tutto sprovvisto e non ha ancora versato lacrime – vere lacrime da diva – al capezzale del cagnolino prediletto o, meglio ancora, del gattino idolatrato caduto infermo. Giacché la nostra Silvana ama i gatti e adesso che ha cominciato a viaggiare mi invia cartoline che appunto riproducono soriani o persiani o siamesi, nella presunzione, non so nemmeno io se giusta o errata, che il gatto sia ancora l’animale sacro degli scrittori, come al tempo della letteratura decadente francese. Sorniona d’una Silvana!
Adesso, però, vorrei dare al discorso un’altra piega e rivolgermi senza veli ai lettori di queste note. In tempi ormai lontani, diciamo tra il 1940 e il 1955, le CETRA svolse una funzione rimasta unica in tutta la storia della discografia. Convocò sistematicamente in sala di incisione cantanti promettenti, ma il cui avvenire era ancora nel grembo di Giove. Non mancò qualche delusione, forse, ma fu ben poca cosa di fronte al vanto di aver impartito il battesimo fonografico a Magda Olivero Ferruccio Tagliavini, Sesto Bruscantini, Carlo Bergonzi, Renata Tebaldi, Maria Callas, Leyla Gencer, Cesare Siepi, Franco Corelli. Adesso la CETRA, molto coraggiosamente, riapre quel capitolo.
Quando ha inciso questo microsolco, la Bocchino aveva cantato in teatro una volta sola. All’ascolto, quindi, possono qua e là cogliersi i limiti dell’esperienza interpretativa. Per di più, il temperamento e il gusto di questo giovane soprano appaiono chiaramente orientati dal “neo-belcantismo” del tempo e tendono a respingere, a volte magari eccedendo in ritegno, ogni legame con l’interpretazione a sfondo verista –“con il core in mano”- di venti o trent’anni fa. Come seguace del “neobelcantismo”, la Bocchino s’è anche data una connotazione vocale che supera le vecchie, anzi decrepite distinzioni fra soprano leggero e soprano lirico: dei “leggeri” ha il candore del timbro e la lieve patina argentea; dei “lirici” ha la forza di penetrazione nel settore alto. Canta con una soavità elegiaca –questa è la sua corda prediletta, per ora- di cui l’ascoltatore troverà saggi persuasivi nelle arie donizettiane e belliniane. L’altra sua sigla è l’eleganza stilistica. Lega, porta, sfuma, smorza con consumata abilità e un pizzico, a volte, di compiacimento e civetteria. Chi poi si soffermerà sulla franchezza, sulla “pulizia”, sul ritmo, sul puntiglioso rispetto della scrittura verdiana che la Bocchino sfoggia nel vorticoso “sempre libera” della Traviata, potrà anche sorprendersi di fronte alla bravura tecnica di questa cosiddetta principiante; e non minore sorpresa proverà ascoltando la cavatina del Tancredi, che fra l’altro non era mai stata incisa prima d’ora. Qui siamo nel fantasmagorico virtuosismo del Rossini più tipico e non è facile, almeno in qualche momento, resistere al desiderio di evocare qualcuna delle acrobatiche vocaliste dei nostri giorni. Ma come dicevo, è meglio respingere simili tentazioni; e non dimenticare che Silvana Bocchino ha esordito soltanto un anno fa.

Rodolfo Celletti

 

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