Peralada  TURANDOT – Giacomo Puccini, Auditorio Parc del Castell, 6 agosto.

Peralada TURANDOT – Giacomo Puccini, Auditorio Parc del Castell, 6 agosto.

 

turandot peralda 2016Tra le tante manifestazioni che hanno cadenzato la trentesima edizione del Festival Castell Peralada indubbiamente la più attesa è stata la nuova produzione di Turandot, prevista già la sua ripresa in Italia come, del resto, è già avvenuto con l’Otello verdiano andato in scena l’anno scorso e riproposto recentemente all’Arena Sferisterio di Macerata.

Iniziamo col dire che lo sforzo produttivo immane, tenendo conto della gestione totalmente privata del Festival, è stato premiato da un franco e lusinghiero successo. Con il “tutto esaurito” per le due recite previste, novità pure di quest’anno, poiché fin’ora se ne era programmata sempre una sola.

Lo spettacolo, centrato sulla scena unica creata da Paco Azorin, un praticabile a forma di pagoda girevole, affiancata agli estremi del palcoscenico da due “porte”, in cui si è poi svolta parte dell’azione, con i costumi assolutamente tradizionali, salvo l’eccentricità di vestire in smoking le tre maschere, di Antonio Bellart, le luci di Quico Gutierrez e i movimenti coreografici di Carlos Martos de la Vega, si è avvalso della tradizionale regia di Mario Gas, che non si è discostato dalla narrazione didascalica della trama, salvo includervi alcune trovate non sempre centratissime: Turandot che, nel condannare a morte il Principe di Persia, libera in cielo una colomba bianca, i tre ministri che durante il terzetto del secondo atto ne combinano di tutte, tirando di coca e dandosi all’alcool, e che si improvvisano macellai nel terzo atto, Ping per torturare la povera Liu e Pang e Pong, nei laterali di cui sopra, intenti a squartare dei polli. Teatro di regia alla tedesca? No, certo. Ma un tentativo piuttosto ingenuo di stupire che poco o nulla interferisce con una recitazione per altri versi molto convenzionale.

turandot peralada 206Il colpo di scena, se tale lo si può definire, avviene nel finale. Dopo la morte di Liù, il regista blocca lo spettacolo e dalle quinte ripete l’aneddoto di Toscanini alla “prima” assoluta in Scala il 25 di aprile del 1926. Quindi l’opera riprende, col collaudato “finale Alfano” e con tutti, solisti e coro, parati ad eseguirlo in forma di concerto. Una trovata che, per molti versi, è parsa una scorciatoia drammaturgica. Comunque, va ulteriormente sottolineato, la parte visiva è piaciuta e molto al pubblico.

turandot peralada 2016Pure la parte musicale, affidata alla solida bacchetta di Giampaolo Bisanti, ottimo nel concertare la Orchestra Sinfonica del Gran Teatro del Liceo di Barcellona ed il “Coro Intermezzo”, una formazione cooperativa che sta imponendosi in Spagna, ha fornito davvero una prova rimarchevole. Bisanti ha offerto un ottimo sostegno agli interpreti, senza soffocarli nell’imponente orchestrazione pucciniana, anzi offrendo loro la possibilità di mettere in risalto tutta la potenzialità vocale ed artistica. Iniziando dalla protagonista, il soprano svedese Iréne Theorin, nota al pubblico italiano per aver cantato ruoli wagneriani sia al Teatro Massimo di Palermo che alla Scala. Si riconosce in lei una voce ampia, sonora e ben dosata, anche nel canto in piano e pianissimo, spesso trascurato da molte “principesse di gelo” più inclini ad eseguire tutto forte e fortissimo. Dove però appare una frattura insanabile per la frequentazione wagneriana e straussiana, sta nel settore acuto, proditoriamente strillato. Altro dettaglio non trascurabile, almeno per gli italiani, la dizione abborracciata, dando la sensazione di cantare una lingua il più delle volte inintellegibile. Comunque osannatissima dal pubblico festante. Molto applaudita – anzi l’unica a condividere con Calaf l’applauso a scena aperta – la Liù del soprano messicano Maria Katzarava in cui s’indovina un prossimo futuro in ruoli vieppiù drammatici, pur insistendo nel cantare piano anche passi che esigono una voaclità più spinta. Ciò nonostante l’interprete riesce a piegarsi alle esigenze del canto pucciniano. Festeggiatissimo il Calaf di Roberto Aronica, tenore che è pur sempre una garanzia di professionalità e che ha un timbro caldo, latino e adattissimo al ruolo del baldanzoso ed intrrepido “principe ignoto”. Struggente nella iniziale “Non piangere Liù”, convincente nella scena degli enigmi dove ha prodentemente evitato la opzionale variante acuta, emozionante nel “Nessun dorma” cantato con nostalgica evocazione, senza quella muscolarità che altri esibiscono nel trasognato canto notturno. Notevole l’Imperatore Altoum cantato dal tenore di Matarò Josep Fadò senza dover ricorrere allo stratagemma di rendere la voce senescente, pur rimarcandone perfettamente la ieraticità. Assai bene pure il Timur del basso Andrea Mastroni, difficile da truccare da vecchio cadente: si tratta di un cantante ormai lanciatissimo di cui si è avuto il piacere di seguire fin dai primi passi. Ottime, infine, le tre maschere: in specie i due fratelli Esteve, Manel il baritono Ping e Vicenç, tenore, nei panni di Pong, con una voce squillante adatta a ben altri ruoli. Adeguato il Pang di Francisc Vas che ha completato il pregevole terzetto. Va menzionato il baritono José Manuel Diaz, quale Mandarino.

Dettaglio non da poco: a Peralada si canta all’aperto sì, ma senza ricorrere all’amplificazione ed il suono corre benissimo.

Andrea Merli

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