Simon Boccanegra – Liceu 2016
Simon Boccanegra
Giuseppe Verdi
opera in un prologo e tre atti
Direttore: Massimo Zanetti
regia: José Luis Gómez
- Simon Boccanegra: Leo Nucci (12, 17 Aprile)
Giovanni Meoni (22, 25, 28 Aprile)
Placido Domingo (23, 26, 29 Aprile) - Amelia: Barbara Frittoli (12, 17, 22, 25, 28 Aprile)
Davinia Rodríguez (23, 26, 29 Aprile) - Gabriele: Fabio Sartori (12, 17, 22, 25, 28 Aprile)
Ramón Vargas (23, 26, 29 Aprile) - Fiesco: Ildebrando D’Arcangelo (12, 17, 22, 25, 28 Aprile)
Ferruccio Furlanetto (23, 26, 29 Aprile) - Paolo Albani: Àngel Òdena (12, 17, 22, 25, 28 Aprile)
Elia Fabbian (23, 26, 29 Aprile) - Pietro: Damián del Castillo
Scene e proiezioni: Carl Fillion
Costumi: Alejandro Andújar
Luci: Albert Faura
Cooproduzione: Gran Teatre del Liceu & Grand Théâtre de Genève
Orquesta Sinfónica & Choir Gran Teatre del Liceu
Al Gran Teatro del Liceu Simon Boccanegra può considerarsi opera di “repertorio. Di fatto quest’allestimento firmato da José Luis Gomez vi ritorna dopo il debutto avvenuto nel dicembre del 2008: Scene e proiezioni di Carl Fillion, costumi di Alejandro Andujar, luci di Albert Faura. Non piacque allora, men che meno oggi. Una versione spoglia e, soprattutto, senza “il mare” elemento che aleggia in tutte le sue tinte nell’opera. La ormai trita attualizzazione, o peggio “tempo indefinito” ma plausibilmente “moderno”, una “non regia” che spoglia di qualsiasi emotività un’opera ricca di riferimenti e di tensioni, specie nel rapporto padre e figlia, tra baritono e soprano in cui è coinvolto a sua insaputa il basso. Irritante e presto dimenticato, nella speranza di non ritrovarlo più in scena.
L’interesse era dunque tutto posto nella componente musicale, particolarmente eccitante per il pubblico del Liceu che nel corso delle recite ha potuto assistere ad una sorta di “duello” tra titani: Leo Nucci e Placido Domingo. Intervallati dalla più che onesta ed apprezzabile prova del giovane Giovanni Meoni, baritono emergente che da tempo calpesta i palcoscenici più prestigiosi. Ritagliarsi uno spazio tra tanto “monumento” non è stata una cosa semplice ne facile, ma ne è uscito a testa alta con un canto controllato, un aplomb interpretativo più che sufficiente ed una vocalità se non torrenziale, parimenti adeguata.
Alla recita del 25 aprile al suo fianco ha sedotto per dolcezza dell’emissione e soavità nel canto l’Amelia di Barbara Frittoli, in forma smagliante e squisita come interprete. Impetuoso e dotato di un timbro autenticamente tenorile, con preziose screziature ambrate, Fabio Sartori, Gabriele Adorno. Non possiede, è pur vero il fisico adatto per essere d’aspetto, almeno, il più gentile tra i genovesi, ma domina talmente bene la tecnica del canto, spaziando da pianissimi ad acuti emessi a piena voce con estrema naturalezza e facilità, da far dimenticare il fisico da ex giocatore di rugby. Buon Jacopo Fiesco il basso Vitalij Kowaljov: una voce non particolarmente ampia, ma usata a dovere ed anche sufficiente nell’accentare e nel fraseggiare. Ottimo Paolo Albiani il baritono di Tarragona Angel Odena: voce emessa con generosità e interprete notevole.
Alla recita successiva, il 26 aprile, vestire i panni del Doge è toccato al Grande Placido. Il quale, girate e volgete sul fatto che non è più tenore e non sarà mai un autentico baritono, ha il dono del carisma e quindi di una personalità travolgente che magnetizza inevitabilmente il pubblico – la strisica “sold out” incollata al cartello e molti i fans disperati, alla ricerca di un biglietto, davanti al teatro quella sera – il quale non chiede altro che acclamarlo impazzito. Non gli si può certo negare un impegno interpretativo superiore e certo va visto in azione. Dopo di ché qualsiasi altro commento è del tuto superfluo. Benissimo la bella e brava Davinia Rodriguez, che così ha fatto il suo debutto fortunatissimo al Liceu. Voce dal timbro peculiare, con un colore a tratti caravaggesco, usata con sensibilità di interprete e buon gusto. Così pure il Gabriele di Ramon Vargas, ormai esperto nel ruolo. La voce è chiara e tende a “nemorineggiare” un po’, ma pur sempre sa cantare ed assai bene. Chi di voce ne ha sempre un torrente è il nostro Ferruccio Furlanetto che sin dalle prime frasi delinea un Fiesco piagato e dolente, ma sempre poderoso e temibile in virtù di una proiezione torrenziale e di un fraseggio da manuale. Molto bene pure il secondo Paolo, il baritono Elia Fabbian, voce bella morbida pastosa “all’italiana” con in più la capacità di grande interprete che, in questo caso, si presta ad un cameo vantando in repertorio ruoli verdiani di ben altro spessore.
Bene il coro, diretto da Conxita Garcia e bene l’orchestra, sotto la guida di Massimo Zanetti: un direttore che è sempre una garanzia e che, soprattutto in questo caso, sa assecondare con polso sicuro le differenze – notevoli – tra un cast e l’altro, tra un protagonista e … Placido Domingo!
Andrea Merli