Berlino, 19 dicembre 2015 LA TRAVIATA – Giuseppe Verdi

Berlino, 19 dicembre 2015 LA TRAVIATA – Giuseppe Verdi

LA TRAVIATA

opera in tre atti

musica di Giuseppe Verdi

libretto di Francesco Maria Piave

dall’opera letteraria: La dame aux camélias

di Alexandre Dumas (figlio)

SOLD OUT

 

MANIFESTO ORIGINALE DELLA PRIMA ASSOLUTA

MANIFESTO ORIGINALE DELLA PRIMA ASSOLUTA

Direttore: Daniel Barenboim
Regia: Dieter Dorn

Personaggi e Interpreti:

  • Violetta Valéry: Sonya Yoncheva
  • Flora Bervoix: Cristina Damian
  • Annina: Katharina Kammerloher  Luisa Mandelli
  • Alfredo Germont: Abdellah Lasri
  • Giorgio Germont: Simone Piazzola
  • Gastone: Florian Hoffmann
  • Barone Douphol: Dominic Barberi
  • Marchese d’Obigny: Grigory Shkarupa
  • Dottor Grenvil: Jan Martiník

Assistente di regia: Christiane Zaunmair
Scene: Joanna Piestrzyńska
Costumi: Moidele Bickel – Dorothée Uhrmacher
Coreografia: Martin Gruber
Luci: Tobias Löffler
Drammaturgia: Hans-Joachim Ruckhäberle – Katharina Winkler

STAATSOPERNCHOR
STAATSKAPELLE BERLIN

 

traviata berlino 2

Prima di procedere ad una ricapitolazione dei fatti, di riportare la cronaca dello spettacolo e di esprimere, infine, un giudizio è il caso di porre la parola fine al “caso Mandelli” che ha infervorato le discussioni sui vari forum nell’ultima settimana. E cioè, concludendo: è stato un bene non partecipare a questa produzione ed uscirne, come ha dichiarato davanti alle telecamere la diretta interessata con una buona dose di orgoglio, “a testa alta”.

Luisa-Mandelli-with-Maria-Callas-in-La-Traviata-1955-403x500La storia ormai è nota, quasi come la favola di Cenerentola. Luisa Mandelli, un pezzo di Storia della vita musicale milanese. Classe 1922, nata a Saronno, entrata giovanissima con scrittura stabile alla Scala dove per oltre quindici anni ha ricoperto circa trecento ruoli di fianco, tra i quali quello che le ha dato maggior “visibilità”, come si dice oggi, interpretando la serva Annina a fianco della Violetta di Maria Callas nella celebre edizione della Traviata firmata da Visconti e diretta da Giulini nel 1955. Impiegata quindi da Ricordi dal 1968, dal 2010 ospite della Casa di riposo “Giuseppe Verdi”; assidua frequentatrice, tra le più attive e battagliere anche nell’ora delle contestazioni, del loggione del “suo” teatro. Verdiana per nascita, wagneriana per passione, nel 2013, anno del bicentenario di entrambi i compositori, ogni sera in teatro e per l’uno e per l’altro. Serate concluse in via Filodrammatici a fine recita, attardandosi all’ingresso artisti per salutarli e per scambiare opinioni con gli appassionati che lì vi si radunano. Barenboim la nota, complice Placido Domingo viene a sapere della sua fatidica Annina e nonostante le rimostranze: “Maestro, ho 93 anni! Non canto da oltre quaranta!” le estorce una promessa: “Lei una recita, almeno una, me la deve fare. La voglio presentare al pubblico di Berlino, lei che ha cantato con la Callas”.

mandelli malata?

Un invito che si è rivelato, è il caso di dirlo, la tipica promessa da mercante. Si fa presto a dire “La Mandelli doveva dire di no” o “è stata male consigliata”. Lei ci ha creduto a quello che si è rivelato uno scherzo crudele. Si è preparata per otto mesi, rimettendosi in pista con l’aiuto di amici che l’hanno preparata a titolo di amicizia; la notizia è stata diffusa dalla stampa; è partita per Berlino per prendere parte alla “prima” con una settimana di anticipo; dopo appena due giorni, di cui solo uno di prova, è stata convocata da Barenboim che in poche parole le ha fatto capire che non era adatta a quella regia “pericolosa” (poi si capirà il perché) che lui non si assumeva la responsabilità della sua incolumità e che dunque era meglio per lei ritirarsi e ritornare in Italia. Da dove era giunta accompagnata da un fedele amico, pagandosi parte del viaggio e sostenendo pure altre inevitabili spese che, per inciso, non le sono state rimborsate. Non un accenno alla possibilità di trattenerla, di presentarla al pubblico, fosse stato anche con una semplice apparizione in palcoscenico e la consegna di un omaggio floreale, visto che comunque era in cartellone. Anzi, la sera dello spettacolo, un foglio in bacheca ne annunciava la sostituzione dandola per “ammalata”. Non occorre aggiungere altro.

traviata berlino 2015Pare che effettivamente Daniel Barenboim sia stato assente per motivi di salute e non abbia partecipato alle prove, affidate al maestro preparatore italiano Michele Gamba, stabile alla Staatsoper. Si dice che non fosse a conoscenza della regia – la qual cosa è assai strana, trattandosi del direttore musicale del Teatro – anche perché se era inadatta alla ultranovantenne Mandelli sarebbe stato opportuno trattenerla a Milano, evitarle la fatica del viaggio e l’umiliazione. Comprensibilmente il regista per la “prima”, essendo una nuova produzione ed in presenza della stampa, avrà osteggiato la scelta di Barenboim. In quel teatro è norma provare almeno cinque settimane un nuovo spettacolo e specie in caso di “drammaturgie” strampalate è pressoché impossibile inserirsi senza aver assimilato lo spettacolo. Soprattutto se si ha un’età così avanzata, pur mantenendo un’agilità invidiabile, non si possono logicamente eseguire i movimenti con la scioltezza di una trentenne. Del resto, difficilmente un direttore d’orchestra, oggi come oggi, può ed osa intromettersi nel lavoro del regista.

traviata berlino 2015Tant’è, è andata così. Un bel gruppo di italiani ci si è ritrovati in teatro: chi per dovere di cronaca e per il piacere di una bella rimpatriata in dimostrazione di affetto e stima per la battagliera amica, come il sottoscritto, chi anche solo per curiosità o perché aveva programmato un fine settimana prenatalizio a Berlino, città sempre affascinante e sotto Natale con bellissime giornate di sole ancor di più.

Altra stramberia: eseguire l’opera senza intervallo, di seguito i tre atti. Preceduti da un’azione mimica –oggi sono assai in voga – in cui quella che si viene a scoprire poi essere Annina, deposita una camelia sulla buca del suggeritore. Il preludio prende il via a scena aperta. Una scena fissa costituita da un fondale a semicerchio nero in cui all’occasione si aprono dei varchi, a volte illuminati, una pedana circolare al centro su cui si svolge tutta l’azione. In mezzo un muro riflettente e traslucido a seconda dell’illuminazione, sovrastato da un gran sacco da cui, come da una clessidra, inesorabilmente scende un filo di sabbia nel corso di tutta la recita. Oltre al muro si materializza a momenti un teschio formato da mimi disposti ad arte e “vestiti” di una calzamaglia semitrasparente che copre loro pure il volto. Il teschio a volte si scompone ed i mimi, quali zombies, circonderanno la sciagurata protagonista. La quale circola più spesso in sottoveste nera e scalza, a volte indossa a vista un abito di lamé argentato e le scarpe, oppure una vestaglia. Tra le cadute di tono, per non dire scivolate di gusto, il “Sempre libera” si conclude con la seconda strofa cantata mentre Alfredo si spoglia e si prepara a giacere con Violetta; si passa così, senza soluzione di continuità, al secondo atto con i due che si rotolano su un misero futon in terra; non c’è nulla di più involontariamente comico di sentire il tenore cantare in faccia alla protagonista “Lunge da lei per me non va diletto”.

traviata berlino 2015Al ridicolo si somma la volgarità gratuita quando, nella scena della diffida, Alfredo ficca le banconote tra le gambe di Violetta sollevandole la gonna. Il colmo si raggiunge quando Annina, cercando di non farla svegliare, gliele sfila ad una ad una durante il preludio al terzo atto (ve l’immaginate quest’azione affidata alla Mandelli?!?) e le ripone nello stipo. Quindi mente nel dichiarare che vi siano solo “venti Luigi”, poiché ne ha nascosti là molti di più, pensando forse, in  prossimità della morte della padrona, di garantirsi almeno la liquidazione. La morte, infine, avviene con la protagonista sempre in piedi e che poi scompare nello specchio, novella Docteur Miracle, mentre i restanti si guardano attoniti con l’espressione di chi si chiede “dunque è proprio finita? Ma dove è finita?”.

Violetta Valery è Sonya Yoncheva, di bella presenza, molto partecipe nel ruolo. Piuttosto generica nel fraseggio però e, a dispetto della bella e sonora voce piegata anche in pianissimi ed intonata, gli acuti sono lanciati senza controllo, tendenti al grido. Il Mi bemolle non scritto è stato molto opportunamente risparmiato. Gli uomini vestono “alla moderna”, ma in maniera bislacca: per tutti si citi il dottor Grenvil, il pur bravo basso Jan Martinik, il quale oltre ad essere in visibile sovrappeso, indossa una ridicola giacca sgualcita color rosa confetto e gira per la scena spaesato, fumando un sigaro toscano e portandosi sempre dietro la borsa da medico, tanto per ricordarci qual è il suo del tutto inutile ruolo. Il viscontino Gastone, il tenorino Florian Hoffmann, il barone Douphol ed il marchese d’Obigny, i baritoni Dominic Barbieri e Grigory Shkarupa rispettivamente, sono dei notevoli bellimbusti quanto di belvedere risultano la Flora di Cristina Damian e la Annina di Katharina Kammerloher, tutti assai disinvolti nelle loro funzioni registiche, ma vocalmente senza l’attenuante di avere 93 anni.

traviata berlino 2015

Un’attenuante si vorrebbe concedere all’Alfredo del tenore marocchino Abdellah Lasri, dotato di un bel colore di voce, che però non sa amministrare in acuto, essendo incorso più di una volta al rischio stecca, nè nell’emissione: i tentativi di “piano” sono risultati suoni falsettanti e spoggiati. Il valore delle note, infine, gli rimane pressoché sconosciuto: zero intonazione. Si è percepito qualche timido buhh indirizzato a lui, l’aria è passata senza un applauso. E tanto basti.

Non favorito né dalla regia né dalla direzione, Simone Piazzola è riuscito, comunque, ad emergere su tutti nel ruolo di Giorgio Germont. Cantato con dovizia di colori, con attenzione alla frase ed alla parola accentuata con le giuste intenzioni, con sentimento, ma anche con paterna autorità. Il grande merito di questo giovane baritono in rapida ascesa, sta nell’usare con intelligenza la voce, senza spingere i suoni, senza tentare inutili affondi. La voce corre in avanti e per bellezza di timbro, per morbidezza del suono, si impone tra le più pregevoli oggi su piazza. L’aria “Di Provenza“ è stata accolta dall’unica ovazione a scena aperta nel corso di tutta la serata.

L’orchestra si è difesa bene, meno il coro spesso sopra le righe e vociante. Daniel Barenboim aveva la giustificazione di essere stato malato, ma sarebbe stato meglio per lui, e non solo per la “malata” Mandelli, abbandonare la produzione e cedere la bacchetta. Di fatto si è percepito il mancato sostegno ai cantanti, con rallentamenti al limite della catalessi, mettendo a rischio la respirazione e quindi improvvise accelerazioni, quasi si riprendesse da uno stato comatoso. I suoni non sempre sono stati dominati nelle dinamiche, prossime al fracasso nei “tutti”.  A garantirsi il successo, che c’è stato e anche caloroso, Barenboim ha fatto salire in palcoscenico tutta l’orchestra per gli applausi finali. Applausi che hanno accolto anche il regista 82enne Dieter Dorn, la scenografa Joanna Piestrzynska, la costumista Moidele Bicket ed il datore di luci Martin Gruber.

A qualcuno piace … caldo o freddo poco importa.

Andrea Merli

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