BARCELLONA: Concerto pucciniano, 24 ottobre 2024

BARCELLONA: Concerto pucciniano, 24 ottobre 2024

CONCERTO PUCCINIANO

Sondra Radvanovsky, soprano

Piotr Beczala, tenore

Orchestra Sinfonica del Gran Teatre del Liceu

Direttore Keri-Lynn Wilson

 

Teatro Liceu, 24 ottobre 2024


 Trionfo annunciato e prevedibile quello che ha accolto due beniamini del pubblico del Liceu e non solo: il soprano americano Sondra Radvanovsky e il tenore polacco Piotr Beczala, impegnati in un concerto nel nome di Giacomo Puccini, per celebrare l’anniversario dei cento anni dalla sua morte.

Ad aprire i giochi, con un’esaltante esecuzione di “Donna non vidi mai” dalla Manon Lescaut, il polacco; è parso subito in piena forma vocale, fisicamente gagliardo. Nella prima parte del concerto si è altresì provato in un’ottima “Recondita armonia” e in una trascinante esecuzione dell’addio alla vita di Cavaradossi con un applauditissimo “E lucevan le stelle”.

Elegantissima e svolazzante in un fiammeggiante abito rosso, l’americana non è stata da meno: intensa in “Sola, perduta, abbandonata” memorabile, straordinaria per legato e messe in voce in “Vissi d’arte”, poi ammiccante, civettuola nel duetto con Cavaradossi, altrettanto spiritoso e complice il buon Beczala, nel duetto “Mario, Mario, Mario” che ha siglato la prima parte.

La seconda parte ha avuto inizio con la “Gelida manina” dove sulla “speranza” Piotr ha piazzato un lungo, squillante Do acuto, per continuare con l’aria di Mimì: la “fioraia” ci si è presentata con un abbagliante abito in lamé dorato. Simpaticamente Sondra ha voluto sottolineare che da oltre vent’anni non eseguiva La Bohème, ciò nonostante è stato uno dei brani dove è parsa più convincente, sciorinando con naturalezza il canto di conversazione. Ovviamente è seguito il duetto “O soave fanciulla”, entrambi apparentemente innamoratissimi e brillantissimi nel Do acuto tenuto insieme (lui un po’ più di lei, ma gioca anche l’emozione) di spalle, rientrando in quinta alla conclusione del brano.

“In questa reggia” ha dimostrato quale oggi come oggi sia il repertorio di elezione della Radvanovsky: voce tagliente, ben diversa da quella che ci aveva abbagliato tanti anni fa con un Fa sovracuto a chiusura del Bolero de I vespri siciliani al Carlo Felice di Genova, ora ampia, con un corpo notevole e modulata in acuti poderosi anche sul pieno (e che “pienone”!) d’orchestra. Ovviamente il teatro è letteralmente venuto giù anche con il “Nessun dorma” di Beczala, il quale ha tenuto in chiusura del “Vincerò!” una corona da primato olimpionico. A seguire Madama Butterfly, lei prima con “il fil di fumo”, dove di nuovo ha dato prova di gestire la voce come le garba meglio tra pianissimi, messe in voce intonatissime con suono preso pianissimo e poi rinforzato, acuti smaglianti; quindi il duetto con Pinkerton, perfetto quello del polacco e Cio Cio San.

Vogliamo trovare dei difetti è impossibile nelle loro interpretazioni? Difficile, ma ci si prova! Lui, seppure squillante e pletorico di voce, potrebbe sciogliersi un po’ di più nel canto di conversazione, con maggiore rilassatezza, un po’ meno muscolo e più naturalezza, senza dar la sensazione di premere sempre sull’acceleratore. Lei eccede in moine con la sua personale “regia” che la rende certo complice, ma anche tanto ruffiana col pubblico. Un gusto un tantinello yankee, c’est ça, ma di fronte a tanta bravura di lei e di lui si concede questo ed altro. Tant’è che i Bis sono stati per lui un’esecuzione semplicemente perfetta dell’aria di Sou-Chong dal lehariano Paese del sorriso: “Dein ist mein ganzes Herz”, per lei una applauditissima Leonora della, prossima al Liceu, Forza del destino: “Pace, pace, mio Dio”. E per concludere, con tanto di applausi ritmati, il brindisi della Traviata: divenuta ormai l’equivalente della marcia Radetzky per la lirica!

L’orchestra in palcoscenico è stata diretta da Keri-Lynn Wilsson, la quale è stata conivolta nel comun tripudio, ma alla quale si fatica a riconoscere dei meriti; certo, dista anni luce dalla bruvura dei due solisti, doppiamente eroici a combattere con e contro una bacchetta che più volte ha rischiato di coprirli (e ce ne vuole!) senza nervo, latulenta in più punti, che di Puccini coglie le note ma non l’anima, per esempio nell’Intermezzo di Manon Lescaut, che confonde l’enfasi con il fracasso: la “Tregenda” de Le villi, applauditissima da un pubblico disposto a perdonare… una tregenda, letteralmente.

Andrea Merli

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