SOFIA (Bulgaria): Lohengrin – Richar Wagner, 13 giugno 2024
Lohengrin
opera romantica tedesca scritta e composta da Richard Wagner
fonte il poema epico medievale tedesco Parzival di Wolfram von Eschenbach
DIRETTORE D’ORCHESTRA Costantino Trinks
REGIA Plamen Kartaloff
Personaggi e Interpreti:
- LOHENGRIN Kostadin Andreev
- HEINRICH DER VOGLER, RE TEDESCO Biser Georgiev
- ELSA VON BRABANT, PRINCIPESSA Tsvetana Bandalovska
- DUCA GOTTFRIED, SUO FRATELLO MINORE Kalin Dushkov
- FEDERICO DI TELRAMUND, CONTE DEL BRABANTE Ventseslav Anastasov
- ORTRUD, LA MOGLIE DI TELRAMUND Gabriela Georgieva
- L’ARALDO DEL RE Atanas Mladenov
SCENOGRAFIA Hans Kudlich
COSTUMISTA Mario Dice
EFFETTI LASER Michael Sollinger
DIRETTORE DEL CORO BNR Lubomira Alexandrova
Teatro dell’Opera di Sofia, 13 giugno 2024
Il “Sofia Opera Wagner Festival”, che quest’anno prende l’avvio con una nuova produzione di Lohengrin e che vedrà impegnati i complessi artistici del Teatro fino al 23 giugno, comprendendo anche una nuova produzione dell’intera Teatralogia (nota bene, la precedente e completa si presentò lo scorso anno nello stesso periodo) non solo attrae un pubblico internazionale, ivi compreso quello italiano, alla ricerca del teatro wagneriano di qualità, ma lascia letteralmente sbalorditi per il livello sia musicale che scenico raggiunto in così poco tempo; un’attività che sfrutta in prevalenza – per non dire nella totalità – forze artistiche locali, laddove grandi istituzioni e fondazioni internazionali faticano a programmare la Teatralogia, e pure un Lohengrin (da quanti anni assente dalle scene del Teatro alla Scala? Solo per fare un esempio) e quando lo fanno una “giornata” all’anno e con grande sforzo.
Merito principale del direttore artistico, nonché regista, Plamen Kartaloff e dell’intero suo staff. Coraggioso, intraprendente, con un occhio sempre attento ai giovani talenti, istruiti e preparati in lunghi periodi di prove. Cercando sempre un “tutore”, in questo caso la “madrina” è stata Anna Tomowa-Sintow, soprano bulgaro di Stara Zagora classe 1941, di lunga e prestigiosa carriera. Va anche sottolineato che l’orchestra del Teatro dell’Opera di Sofia, la cui attività seguo da oltre 27 anni, ha fatto passi da gigante, sia nel rinnovamento che nell’ampliamento del repertorio, potendo oggi essere annoverata tra le più autorevoli in campo wagneriano. La trasparenza degli archi in pianissimo quasi impalpabili, la potenza e precisione degli ottoni, cui l’Autore richiede sforzi sovrumani, sono solo due dettagli di una compagine orchestrale ricca, omogenea, perfettamente affiatata. Il merito, in questo caso va attribuito al bravissimo Maestro 49enne di Karlsruhe, Constantin Trinks molto apprezzato per il suo lavoro già un anno fa e che ora ripete il successo trionfale, dirigendo con trasporto, tenuta perfetta del palcoscenico in una lettura che non lascia indifferenti, anzi elettrizza il folto pubblico e spinge gli artisti a dare il meglio di sé. Menzione pure agli ottimi cori, quello titolare dell’Opera di Sofia diretto come sempre alla perfezione da Violeta Dimitrova, rinforzato in questo caso dal coro maschile della Radio Nazionale Bulgara, istruito benissimo da Lyubomira Alexandrova.
Nel cast si sono distinti l’ottimo Araldo, con voce perentoria e ben emessa del giovane baritono Atanas Mladenov, il nobile ed autorevole Re Enrico l’Ucellatore intonato con grande precisione ed un tocco di paterna dolcezza, dal bass-bariton Biser Georgiev, vera e propria rivelazione della serata, sottolineata da applausi a scena aperta (non si straccino le vesti i “puristi”, quando “ce vò ce vò” e, come mi suggerisce una prima donna mia vicina di casa: “per i cantanti sono sempre graditissimi”) l’acquisizione di due nuove voci alla causa wagneriana, entrambi al debutto di repertorio e ruolo; il baritono Ventseslav Anastasov, Telramondo monumentale per voce, potenza di emissione e fraseggio scandito, capace di essere terribile, ma anche piegato dall’ira, vergogna e smacco, con un canto ricco di intenzioni; il soprano Gabriela Georgieva, Ortruda straordinaria per proiezione del suono, ricchezza di armonici e dotata di voce che svetta dallo squillante Do acuto scendendo poi senza sbalzi di passaggio in zona grave. Inoltre, già ad una prima lettura, il personaggio è parso centrato in pieno nella malefica psicologia, smorzando con sapienza il suono in lamenti e sospirosi inganni, trovando poi la tagliente forza della maledizione nelle invettive. Il trionfo che ha accolto i due personaggi “cattivi” si è in parte attenuato con i due protagonisti: l’Elsa del soprano Tsvetana Bandolovska, la quale un anno fa era stata intensa Sieglinde ruolo che doppierà anche in questa edizione della nuova Walkiria, possiede una voce lirica di bella qualità, fraseggia ed interpreta assai bene; solo in estremo acuto presenta qualche fissità, che non nuoce comunque alla linea del canto.
Discorso a parte per il valoroso Lohengrin del tenore Kostadin Andreev, il quale dopo oltre trenta anni di onerosa carriera con puntate internazionali, che al Teatro di Sofia ha retto svariati ruoli del repertorio lirico – personalmente ricordo un ottimo Hoffmann ed un apprezzabile Cavaradossi nella “Tosca del centenario”, nel 2000 a fianco di Raina Kabaivanska – rappresentando quello che un tempo veniva definito “utilité”, cioè una specie di passe-partout buono per tutte le occasioni, è giunto al terzo atto provato e non ha reso il suo solito standard. Certo l’abuso di portamenti, l’uso del falsetto hanno compromesso la linea musicale con suoni aperti, spesso calanti; l’acuto è parso più volte avventuroso. Alla ribalta finale non sono mancati, tra gli applausi, degli isolati e poco generosi “buh”. Ci e gli si augura sia un momento passeggero. A giorni dovrà affrontare niente popò di meno che Siegried… in bocca al lupo!
Vincente su tutti i fronti lo spettacolo firmato da Plamen Kartaloff per la regia, che si avvale dell’impianto scenico di Hans Kudlich, coadiuvato da Nela Stoyanova e Kristiyan Stoyanov in collaborazione con Sven Jonke e Gudrun Geiblinger, mentre i costumi li firma Mario Dice. Illuminazione di Zach Blane, effetti laser di Michael Zollinger. Un’impostazione classica, fedele alla drammaturgia originale di cui illustra didascalicamente tutti i simboli e messaggi: per esempio durante la sinfonia i cavalieri del Santo Gral riuniti, come alla fine del Parsifal e Lohengrin che se ne discosta per intraprendere il viaggio salvifico di Elsa. Uno spettacolo concepito con spirito innovatore, ritrovando nella quercia che domina la scena il comun denominatore del mito, ma che può essere facilmente compreso anche da chi con Wagner e Lohengrin è al primo approccio. Così lo ha inteso il pubblico decretando un’accoglienza entusiastica a cui ci si è uniti con l’intima convinzione che il “teatro moderno” passi per questa via.
Andrea Merli