BARCELLONA: La Cenerentola – Gioachino Rossini, 18 maggio 2024
La Cenerentola
dramma giocoso di Gioachino Rossini
su libretto di Jacopo Ferretti
(Il titolo originale completo è La Cenerentola, ossia La bontà in trionfo)
Direttore Giacomo Sagripanti
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
oreografie Manuela Lo Sicco
LUCI Cristian Zucaro
Produzione Teatro dell’Opera di Roma
COR MADRIGAL (direttore PERE LLUÍS BIOSCA)
ORQUESTRA SIMFÒNICA DEL GRAN TEATRE DEL LICEU
Gran Teatre del Liceu, 18 maggio 2024
Questa cronaca si inizia con una nota di tristezza per la recente scomparsa di Marcelo Cervelló, Marcel in catalano per gli amici e familiari, amico fraterno prima ancora che musicologo di ampia conoscenza, poliglotta, ex collega di mio padre nella sede barcellonese dell’Assicurazioni Generali e, non ultimo, corrispondente “storico” dalla Spagna della rivista milanese “l’opera”, dove ebbi l’onore e piacere di introdurlo presentandolo a Sabino Lenoci sul nascere del mensile nella primavera del 1986. Ora tocca a me raccogliere il suo testimone nel recensire gli spettacoli del Liceu. Spero di esserne all’altezza: non sembri falsa modestia perché gli scritti di Cervelló, anche per la spagnola Ópera Áctual, giusto per fare un esempio, di cui assunse l’incarico di vice presidente onorario, erano e sono illuminanti, imprescindibili.
La Cenerentola ritorna al teatro di Barcellona dopo molti anni di assenza, dal 2008 per l’esattezza. Il pubblico si è in gran parte rinnovato e per molti questo capolavoro assoluto, l’ultima opera buffa di Rossini che giunse quando il compositore era appena 25enne nel gennaio del 1817 al Teatro Valle di Roma, si è rivelata una bella novità. Dunque, già alla “prima”, a cui si è giunti – visti i risultati complessivi – con il fiato alla gola, ha ottenuto un vero e proprio trionfo.
Si tratta della produzione nata a all’Opera di Roma e firmata da Emma Dante, che porta con sé tutto il suo team, iniziando dal marito scenografo, Carmine Marigola, Vanessa Sannino che ha realizzato i costumi, Manuela Lo Sicco coreografa, Cristian Zuccaro datore di luci e pure l’aiuto regista Federico Gagliardi. Ça va sans dire, a seguire, tutta la trouppe di sedici ballerini, attori e mimi che costituiscono da sempre lo scheletro su cui si basano tutte le sue regie. In questo caso, nonostante la felice accoglienza, si è trattato di uno spettacolo banale, prevedibile, ripetitivo e spesso senza senso, laddove l’unica “trovata” è stata affiancare ai due protagonisti “romantici”, Angelina la Cenerentola e il Principe Don Ramiro vestito da cameriere, repliche di automi quasi fosse l’atto di Olympia de Les Contes offenbachiani. Un continuo andirivieni per riempire la scena, il più delle volte inutilmente, provocando distrazione sull’azione vera e propria. Si è notata l’assenza di una specifica regia sui solisti, ognuno più o meno affidato alle proprie capacità attoriali: valga l’esempio del sestetto del “nodo avviluppato” nel secondo atto: tutti fermi in formazione contornati dal frenetico balletto.
A leggere le note di regia pare che la Dante non abbia capito, non dicasi l’ironia sottile, il sarcasmo con cui Rossini e Ferretti trattano i personaggi in una vivace satira volutamente estranea ad ogni elemento fiabesco, ma addirittura la trama: sostenendo che Angelina è figlia di altra madre, laddove si canta “Quel che è padre non è padre, onde poi le due sorelle, era vedova mia madre, ma fu madre ancor di quelle”. Che poi lo smaniglio diventi un “piediglio”, trasformandosi in cavigliera, è semplicemente ridicolo!
La parte musicale è andata decisamente meglio. Che l’orchestra del Liceu, ottima ma di scarsa specificità rossiniana, debba affilare le armi contenendo il suono, specie degli ottoni più volte prevaricanti, è palese; ciò avverrà sicuramente nel corso delle repliche, queste in numero di undici, interamente dedicate al contralto polaco, specialista rossiniana, scomparsa lo scorso mese di gennaio Ewa Podleś. La direzione di Giacomo Sagripanti ha colto lo spirito della partitura, realizzando ottimi crescendo e trovando anche il tono melanconico e sognante che la protagonista esibisce nella ballata iniziale “Una volta c’era un re” e poi nel duetto con Don Ramiro; brillante nelle pagine più buffe seguendo con scattante ritmo i vertiginosi sillabati di Don Magnifico. La mancanza di prove si è fatta sentire in qualche percettibile scollamento nei concertati – la regia certo non aiuta – e anche in questo caso è asupicabile che con le repliche si aggiusti il tiro. Il Coro Madrigal diretto da Pere Lluis Blosca ha fatto sentire l’assenza del coro titolare, inspiegabile anche se impegnato nelle prove del prossimo Fidelio in forma concertante, specie dopo la brillante prova fornita proprio con Rossini ne La Petite Messe Solennelle ascoltata recentemente a San Cugat.
Nel cast, sorvolato l’handycapp di due “sorellastre” insufficienti, Isabella Gaudí Clorinda e Marina Pinchuk Tisbe, tutti sono parsi in parte. Un vero lusso poter disporre di Erwin Schrott quale Alidoro, con un’esecuzione memorabile e applauditissima della sua difficile aria “Là del cielo”, apprezzabile pure scenicamente per la severa personificazione del “filosofo” precettore, dotato di un insolito risvolto “esibizionista” che ha mandato in sollucchero il pubblico. Ottimo Dandini, nonostante qualche eccesso nelle cadenze dove ha letteralmente esagerato vocalmente, il baritono Florian Sempey, sciolto nelle agilità e pure molto simpatico in scena. Straordinario per comunicativa, attenzione alla parola cantata dando intenzioni ad ogni sillaba con azzeccatissimi ammiccamenti, il Don Magnifico tratteggiato da quello specialista nella parte che risponde al nome di Paolo Bordogna, vero motore comico di tutta l’azione.
Un capitolo a parte meritano i due “innamorati”: il Don Ramiro eseguito dal tenore messicano Javier Camarena con grande facilità in acuto, esposto sempre con sicurezza invidabile, ma anche ricco di colori e sfumature nel canto a fior di labbro, nelle mezze voci, risultando, parafrasando la Principessa di Bouillon un “perfetto seduttore”. Angelina ha trovato nel mezzosoprano russo Maria Kataeva un’interprete musicale, vertiginosa nelle agilità, completa sia in acuto che nella zona grave a cui scende senza suoni di petto mantenendo un’emissione controllata e priva di forzature. In aggiunta si tratta di una bellissima ragazza, il ché non guasta mai, anche quando a trionfare – teoricamente – è solo la bontà.
Andrea Merli