MADRID: La verbena de la Paloma – Tomás Bretón, 15 maggio 2024

MADRID: La verbena de la Paloma – Tomás Bretón, 15 maggio 2024

LA VERBENA DE LA PALOMA 

Tomás Bretón


Direzione d’orchestra JOSÉ MIGUEL PÉREZ-SIERRA
Regia e coreografie NURIA CASTEJÓN

Personaggi e interpreti

  • Don Hilarión ANTONIO COMAS
  • Don Sebastián GERARDO LÓPEZ
  • Julián BORJA QUIZA
  • Señá Rita MILAGROS MARTÍN
  • Susana CARMEN ROMEU
  • Casta ANA SAN MARTÍN
  • Tía Antonia GURUTZE BEITIA
  • Cantaora SARA SALADO
  • Tabernero RAFA CASTEJÓN
  • Inspector JOSÉ LUIS MARTÍNEZ
  • Portero ALBERTO FRÍAS
  • Portera NURIA PÉREZ
  • Guardia 1 ADRIÁN QUIÑONES
  • Guardia 2 RICARDO REGUERA
  • Sereno MITXEL SANTAMARINA
  • Doña Severiana ANA GOYA
  • Doña Mariquita ESTHER RUIZ
  • Mozo 1 ANDRO CRESPO
  • Mozo 2 ALBERT DÍAZ
  • Teresa/Vecina 1 CRISTINA ARIAS
  • Candelaria/Vecina 2 Mª ÁNGELES FERNÁNDEZ.

Scene NICOLÁS BONI
Costumi GABRIELA SALAVERRI
luci ALBERT FAURA

 

Orquesta de la Comunidad de Madrid

Titular del Teatro de La Zarzuela

Coro del Teatro de La Zarzuela

Direttore del coro Antonio Fauró

Teatro de La Zarzuela, 15 maggio 2024


 Coincidendo con la festa del patrono di Madrid, San Isidoro l’Agricoltore (San Isidro per gli spagnoli) il 15 maggio, con la città in festa, attraversata madrileni in “costume”, una giacca e la coppola a quadretti bianchi e neri gli uomini, un abito con “mangas de farol” o più semplicemente un garofano rosso tra i capelli le donne, è andata in scena in un tripudio di pubblico gaudente, a teatro “tutto esaurito” per tutte le repliche, La Verbena de la Paloma, ovvero El Boticario y las Chualapas y Celos mal reprimidos, atto unico di Tomás Bretón che si ascrive al “genero chico”, cioè di zarzuelas della durata di circa un’ora, popolarissime ai tempi e tutt’ora facenti parte del DNA della maggior parte degli spagnoli: la celebre Habanera “Donde vas con mantón de Manila?” intonata dal protagonista corrisponde per noi italiani all’incipit “La donna è mobile”, giusto per fare un esempio.

Lungi dall’essere un aggettivo riduttivo, quel “chico” – letteralmente “piccolo” – assume il carattere d’identità della zarzuela che rappresenta scene di vita quotidiana, spesso tolte dal vivo come in questo caso dall’autore del libretto Ricardo de la Vega, il quale assistette alla gelosia di un operaio nei confronti della sua “bella” (così possiamo tentare di tradurre l’intraducibile “chulapa” riferito alle ragazze di Madrid) alla “Fuentecilla” nei pressi della madrilena porta di Toledo; la “democratizzazione” della zarzuela, poichè nella “cattedrale del Genero Chico”, il celebre Teatro Apolo sulla Gran Via (altro titolo, questo di Chueca, che con La revoltosa di Chapí assieme a La Verbena de la Paloma costituisce una vera trilogia popolare) capace di duemila posti, ne venivano allestite quattro per sera. Spettacoli a prezzi bassi, sicché anche un operaio come Julián, il nostro protagonista, con un “jornal” di 3 o 4 pesetas vi poteva accedere senza difficoltà.

Data la brevità dell’atto unico, spesso  per “far serata” se ne associa un altro, come avviene con Cavalleria rusticana e Pagliacci. In questo caso, senza che sia annunciato in cartello, abbiamo avuto un gustoso prologo con Adios Apolo, opera meritoria del drammaturgo Álvaro Tato, dove si è celebrata la chiusura del popolare teatro nel 1929, dopo circa 56 anni di frenetica attività, demolito per costruirvi la sede di una banca! L’azione metateatrale vede in scena gli interpreti della Verbena, che vide le luci della ribalta in quel teatro il 17 febbraio del 1894, prima che la medesima vada in scena: un’ultima prova, inframezzata da schermaglie tipiche delle convenienze ed inconvenienze teatrali. Inframezzatti al divertente dialogo ben cinque numeri musicali con brani tratti da zarzuelas allestite proprio all’Apolo: El sobre verde di Jacinto Guerrero, i due valzer più famosi di Chueca in un divertente pasticcio dalla Gran Via e da El año pasado por agua, il tango del cinematografo da La gente seria di Josè Serrano, la Polka Japonesa da El pobre Valbuena di Torregrosa Valverde, infine la Polka del fotografo da El bateo di Chueca Valverde.

Senza soluzione di continuità si passa a La Verbena, con il celebre preludio in cui Bretón espone i motivi che poi ricorrono nel corso dell’azione. L’atto unico fu offerto in principio a Ruperto Chapí, il quale vi rinunciò per problemi con la gestione del teatro. Bretón, che aspirava a creare l’opera nazionale con titoli quali Los amantes de Teruel e La Dolores, opera recentemente rappresentata proprio al Teatro de la Zarzuela e già recensita, accettò la sfida e la compose in 19 giorni; si narra sfruttando ogni momento utile, anche quando stava al caffè o piuttosto per strada, colto dall’ispirazione, sedendosi su una panchina. Di fatto fu il primo a stupirsi del successo clamoroso che accolse la zarzuela, vergognandosi quasi di averlo ottenuto con il “genero chico”. Un commento al di sopra di ogni sospetto fu quello di Camille Saint-Saëns che esclamò entusiasta: “Se questo lo considerano “genero chico”, come sarà quello grande?”. Bretón si rivela un compositore, oltre che ispiratissimo, assai raffinato. Grande ammiratore di Wagner, fa uso di motivi conduttori. Per esempio quello che anticipa l’ingresso di Don Hilarión, il vecchio farmacista. C’è pure una chiara allusione ai Maestri cantori, nella scena notturna con il “sereno” e le due guardie che dovrebbero reggere l’ordine pubblico.

La musica è trascinante, il testo pure non ha un attimo di calo. A coglierne pienamente lo spirito, due madrileni puro sangue: la regista e coreografa Nuria Castejón, figlia d’arte poiché i suoi genitori Rafael Castejón y Pepa Rosado sono stati due colonne della zarzuela (dal sottoscritto fortunatamente e ripetutamente applauditi in scena), costruisce uno spettacolo semplicemente perfetto, per ritmo, colore e “casticismo”, aggettivo che con il termine “salero” non trova esatta traduzione all’italiano, ma che si può accostare a veridicità ed autenticità. L’azione trasposta di circa trenta anni funziona a meraviglia grazie allo stupendo impianto scenico di Nicolás Boni, ai ben caratterizzati costumi disegnati da Gabriela Salaverri, alla sapiente e suggestiva illuminazione di Albert Faura.

José Miguel Pérez-Sierra a capo della brillante Orquesta de la Comunidad de Madrid e del coro, scenicamente scatenato e musicalmente perfettamente istruito da Antonio Fauró, oltre a confermare qualità superiori nel tenere a bada un palcoscenico così mercuriale, riesce a trasformarsi, lui portato alla “musica seria”, nell’interprete ideale per questa festa musicale, di cui penetra i meandri della nostalgia e dell’emozione, per poi scatenarsi nei ritmi più frenetici. La seguidilla del “Mantón de la China-na-na” e poi l’attacco della habanera, hanno provocato in più di uno tale commozione da sentire l’occhio inumidirsi. Non occorre aggiungere altro.

Il cast è sembrato insuperabile nella sua totale aderenza vocale ed interpretativa. Un elenco lunghissimo dove tutti, dagli artisti del coro chiamati a parti esposte, ad ogni attore e ballerino, oltre che i solisti, è meritorio di menzione. Citiamo, almeno, lo splendido “regista” nella prima parte e poi taverniere en La Verbena, Rafa Castejón; le due avvenenti “chulapas”, la bionda Casta interpretata da Ana San Martin e, soprattutto, la volitiva Susana di grande temperamento di Carmen Romeu. La Tia Antonia dalla voce “aguarddentosa” (avvinazzata) della comica Gurutze Beita, il placido Sereno di Mitxel Santamaria e il compassato Don Sebastian di Gerardo López.

Personalmente mi ha emozionato ritrovare una mitica interprete di zarzuela, il mezzosoprano Milagros Martin qui nei panni della Seña Rita, che ricorda continuamente al geloso Julián “que ties madre!”, impagabile nei suoi interventi, tanto per il canto di forte intensità, quanto per la recitazione imperiosa. Altra lietissima sorpresa il tenore Antoni Comas, artista polifacetico sia come attore che come autore e regista, nella parte del “ganimede” Don Hilarión, risolta senza ridurre, come spesso capita, il ruolo alla semplice macchietta tipo “vecchietto del Far West”, anzi cantando con voce brillante e dando alla parte dell’attempato Dandy un tocco di giovialità e freschezza non comuni. Semplicemente perfetto nella sua incarnazione del baldo giovane geloso il baritono Borja Quiza, vocalmente insultante per impeto e temperamento, scenicamente credibile e ottimo attore.

Come anticipato, pubblico letteralmente in delirio: raramente si vedono tante facce felici all’uscita di un teatro. L’effetto balsamico e terapeutico de La Verbena de la Paloma, forse è racchiuso nella “botica” di Don Hilarión? Chissà. Sarebbero delle pillole da tenere sempre a portata di mano.

Andrea Merli

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