MADRID: Medée – Luigi Cherubini, 1 e 2 ottobre 2023
Medea
opera in tre atti di Luigi Cherubini
su libretto di François-Benoît Hoffmann
(ispirato alla tragedia classica omonima di Euripide e/o alla versione seicentesca di Corneille, o anche alla tragedia di Seneca dallo stesso titolo)
Direttore Ivor Bolton
Regia e scene Paco Azorín
Personaggi e Interpreti:
- Jason Enea Scala, Francesco Demuro
- Medée Saioa Hernández, Maria Pia Piscitelli
- Néris Nancy Fabiola Herrera, Silvia Tro Santafé
- Créon Jongmin Park, Michael Mofidian
- Dircé Sara Blanch, Marina Monzó
- Prima fanciulla Mercedes Gancedo
- Seconda fanciulla Alexandra Urquiola
- Corifeo David Lagares
Orquesta y Coro Titulares del Teatro Real
Maestro del Coro José Luis Basso
Costumi Ana Garay
Movimenti scenici Carlos Martos de la Vega
Videoproiezioni Pedro Chamizo
Nuova produzione del Teatro Real, in coproduzione con Abu Dhabi Festival
Teatro Real, 1 / 2 ottobre 2023
Più di uno si sarà ragionevolmente chiesto perché sia i poster che annunciano le recite, sia il programma di sala e, ancor più strano, il nome proiettato su un enorme schermo in scena, recassero per titolo Medea, in italiano (o spagnolo) e non Medée, cioè quello della versione scelta per inaugurare la stagione 2023/24 del madrileno Teatro Real.
La questione potrebbe stare che, inizialmente, si pensava eseguire la “solita” versione italiana, tradotta ai primordi del XX secolo da Carlo Zangarini non dall’originale francese Opéra-Comique con alternanza di canto e parlato, bensì dalla versione tedesca preparata da Franz Paul Lachner, il quale nel 1855 per l’Opera di Monaco di Baviera aveva pure musicato i recitativi. Una Medea spuria – pure alquanto Verista, se vogliamo – che dopo un primo debutto al Teatro alla Scala il 30 dicembre 1909 con protagonista la mitica Ester Mazzoleni, rientrò prepotentemente in repertorio dal 1953 quando al Maggio Musicale Fiorentino la interpretò per la prima volta, segnandone una decisa svolta interpretativa, Maria Callas diretta da Tullio Serafin. Seguendo quella scia, la seguirono tutte: dalla Olivero alla Gencer, dalla Caballè alla più recente Antonacci, ultima per me almeno, al Teatro Regio di Torino.
Medée dunque in francese, ma non con le parti parlate dell’originale di François-Benoit Hoffmann per il Théâtre Feydeau di Parigi nel marzo del 1797, ma nell’edizione critica curata da Heiko Cullmann con i recitativi musicati da Alan Curtis. Spiace doverlo ammettere, ma “falso” per “falso”, al lato pratico la versione Lachner – Zangarini personalmente mi sembra più “vera”. Anche perché nella memoria collettiva (e grazie alle numerose edizioni discografiche in studio e Live) si è ormai “stratificata” la versione in italiano, che a conti fatti per il pubblico italiano e spagnolo è pure più facile da seguire e per i cantanti, aiutati dalla nostra lingua sonora, più facile da eseguire. A un discorso a parte obbligano i recitativi musicati da Curtis, lontani anni luce dallo stile dell’opera, accesi in toni veristicheggianti e pseudo wagneriani, per giunta di tessitura impervia ed acutissima, specie riguardo alla protagonista che già di suo deve affrontare un ruolo monstre, impegnativo e sostanzialmente scritto male per la voce già in origine.
Bene ha fatto il Teatro Real a garantirsi tre ottime Medee (senza accento, plurale italiano): nell’ordine Maria Agresta, Saioa Hernández e Maria Pia Piscitelli, poiché il numero di recite, undici in totale ed alcune programmate a giorni consecutivi con un intervallo inferiore alle 24 ore, avrebbe potuto creare qualche problema in caso di defezione in una stagione dove raffreddori e mal di gola sono in agguato. Si è potuto assistere solo a due recite: la prima ha visto protagonista Maria Pia Piscitelli. Confesso, un po’ colpevolmente, che era la prima volta che ascoltavo dal vivo il soprano pugliese, sebbene avesse già affrontato il ruolo in italiano a Catania ormai un bel po’ di tempo fa. Al di là delle indubbie qualità tecniche e vocali che ne garantiscono una tenuta eccezionale (ed un repertorio vastissimo) della Piscitelli ha colpito l’intensa partecipazione, la perfetta dizione e l’accento ed il fraseggio di gran classe. Dopo la prima aria, quella che in italiano ha per incipit “Dei tuoi figli la madre”, un meritato e fragoroso applauso, il primo dei due che in corso di recita hanno interrotto la musica. La Hernández, seppure affetta da un leggero mal di gola, ha cantato benissimo, dominata da una forza leonina, con una veemenza che però non è mai tracimata nella volgarità o peggio nel grido. Vocalità imperiosa e poco importa se lo stile è prossimo ad una Norma o Elektra, conta una presa magnetica sul pubblico che, alla concittadina, ha decretato un autentico trionfo. Della Agresta non posso dire nulla, ma la ripresa video dell’ultima recita la vede applaudita Medee, assieme al resto del cast.
Due i tenori, Enea Scala con la Piscitelli, annunciato malato, ha eseguito benissimo la parte ingrata di Giasone, una tessitura impiccata da contraltino, ma con sotto una musica potente e con richiesta interpretativa da lirico spinto. Benissimo anche Francesco Demuro, tenore che stupisce per la duttilità del repertorio, poiché passa agevolmente da Bellini a Massenet, da Edvino a Werther, di professionalità granitica quanto la dolcezza del timbro e la suadenza del canto. Due le Neris di ottimo livello, Nancy Fabiola Herrera il primo di ottobre, Silvia Tro Santafé il giorno appresso. Entrambe perfette nella episodica parte che però consente la bellissima aria con accompagnamento obbligato di fagotto. Dei due Creonte, più centrato per timbro e autorevolezza Jongmin Park rispetto al pur bravo Michael Mofidian. Glauce qui si chiama Dirce: si alternavano Sara Blanch e Marina Monzó con freschezza vocale e interpretativa.
Del coro compatto e ben preparato da José Luis Basso si può solo dire che è ottimo, sebbene fin troppo presente e numeroso. Così pure l’orchestra del Teatro Real, diretta con buon polso da Ivor Bolton. Sullo spettacolo monumentale creato per l’occasione, ed in coproduzione con l’Abu Dhabi Festival, regia e scena di Paco Azorín, costumi di Ana Garay, movimenti scenici di Carlos Martos de la Vega, luci di Pedro Yagüe, video di Pedro Chamizo e consulenza mitologica (?!?) di Pedro Sáenz Almeida, si dirà che se voleva stupire con grandi effetti ci si è riusciti. Ma trasformare precisamente Medée nel manifesto contro la violenza sui minori proiettando statistiche sulle morti nel corso di un anno e una sorta di vademecum sui diritti dell’infanzia, mi pare semplicemente grottesco, specie se la scena dell’uccisione dei due figli (per altro due ragazzini onnipresenti e bravissimi nella recitazione) è perpetrata per ben quattro volte, iniziando dall’azione che (immancabilmente in una regia che voglia essere “moderna”) precede la sinfonia “spoilerando” il finale dove, per essere originali, l’uccisione non avviene. Si taccia sui mille ed uno particolari disturbanti e fuorvianti, dal bullismo del coro femminile verso Dirce, a Medée presentata come una terrorista pronta a farsi esplodere o, piuttosto, Creonte che minaccia di finire i due figli di Medée puntando loro la pistola alla nuca. Una grande torre con ascensore e scale, una piattaforma che sale e scende e le fiamme finali. Il pubblico ha gradito? Va bene così.
Andrea Merli