VERONA: Aida – Giuseppe Verdi, 17 giugno 2023
AIDA
opera in quattro atti di Giuseppe Verdi
su libretto di Antonio Ghislanzoni
(basata su un soggetto originale dell’archeologo francese Auguste Mariette, primo direttore del Museo Egizio del Cairo)
Direttore Marco Armiliato
Regia, scene, costumi, luci e coreografia Stefano Poda
Marco Armiliato
16, 17, 25, 29 giugno 09, 16, 21, 30 luglio 02 agosto
Personaggi e Interpreti:
- Il Re Simon Lim
- Amneris Olesya Petrova
- Aida Maria José Siri
- Radamès Yusif Eyvazov
- Ramfis Michele Pertusi
- Amonasro Amartuvshin Enkhbat
- Un messaggero Riccardo Rados
- Una sacerdotessa Daria Rybak
Arena, 17 giugno 2023
La millenaria Arena romana di Verona festeggia quest’anno la sua 100esima stagione debuttando con una nuova produzione di Aida, trasmessa in Mondovisione il giorno prima di questa cronaca, affidata interamente al “tutto fare” Stefano Poda, che debutta così in Arena.
Poliedrico e visionario uomo di teatro, mosse i suoi primi passi al Teatro La Farandula de Sabadell, città satellite di Barcellona e capocordata del circuito lirico catalano, grazie all’intuizione premonitrice e meritoria della sua direttrice, il soprano Mirna Lacambra. Gli spettacoli di Poda sono universalmente conosciuti, caratterizzate da un imponente uso della figurazione. Ma è davvero “regia teatrale”? L’horror vacui domina; molti hanno rimpianto il compianto Zeffirelli, che tuttavia ha sempre valorizzato la drammaturgia originale e mai, essendo anche un regista cinematografico, “si è fatto un suo film” che è poi ciò che risulta da questa messa in scena, sberluccicante, dominata dai “soliti” bianco, nero e rosso, con una profusione di lustrini d’argento e cristalli Swarowski più adatti ad una produzione di Broadway o di Hollywood. Regia convenzionale dei solisti troppo spesso persi ed indistinguibili tra le masse, queste composte da 180 coristi, 170 comparse maschili, 50 femminili, più corpo di ballo per un totale di quasi 500 persone sul palco, il più delle volte tutte insieme. Sulla scena “minimalista” si impone una grande mano articolata ed un uso esagerato del fumo (con il ronzio costante e fastidioso delle macchine che lo lanciano in aria) per evidenziare i raggi laser. Va aggiunto che il pubblico che ha gremito l’Arena, pur senza mostrare eccessivo entusiasmo, sembra aver gradito.
Ciò che ha convinto è stato l’aspetto musicale, confermando quella del Maestro Marco Armiliato come la bacchetta più affidabile, sicura nel dirigere… il traffico di solisti e masse: il coro, sempre molto ben preparato da Roberto Gabbiani. Solido il cast capeggiato dalla squisita Aida di Maria José Siri, che ha cesellato con successo un ammirevole “Cieli azzurri” nel secondo atto. Yusif Eyvazov è un Radames valoroso e molto ben cantato che risolve smorzando il finale della prima aria. Nella scena della tomba con un toccante “Morir si pura e bella” trova mezze voci e colori suadenti. Che la voce non abbia un bel timbro passa quasi inosservato. Amartuvshin Enkhbat, Amonasro, costituisce un gran lusso, seduce la voce piena, dal caldo colore ambrato dell’autentico baritono e l’interprete pare ogni volta più partecipe, esemplare nel canto. Molto bene i due bassi, il coreano Simon Lim, Faraòn e Michele Pertusi, Ramfis glorioso per fraseggio e autorevolezza. Meno entusiasmo verso la Amneris del mezzosoprano russo Olesya Petrova, vocione di colore sopranile e acuti al limite del grido. Nei ruoli di “fianco”, bene la sacerdotessa di Daria Rybak e benissimo il Messaggero di Riccardo Rados, dotato di proiezione “corelliana”, da cui è lecito attendersi un futuro incoraggiante.
Andrea Merli