BILBAO: Il trovatore – Giuseppe Verdi, 29 maggio 2023

BILBAO: Il trovatore – Giuseppe Verdi, 29 maggio 2023

Il trovatore

Giuseppe Verdi

rappresentata in prima assoluta il 19 gennaio 1853 al Teatro Apollo di Roma


Direttore Francesco Ivan Ciampa
Regia Lorenzo Mariani

Personaggi e Interpreti:

  • Leonora Anna Pirozzi
  • Azucena Ekaterina Semenchuk
  • Manrico Celso Albelo
  • Conte di Luna Juan Jesús Rodríguez
  • Ferrando Riccardo Fassi
  • Ines Maite Maruri
  • Ruiz Gerardo López

 

Scene e Costumi William Orlandi
Luci Fabio Berettin

Bilbao Orkestra Sinfonikoa
Coro de Ópera de Bilbao

Direttore del Coro Boris Dujin

Produzione Teatro La Fenice di Venezia

 

Euskalduna Jauregia, 29 maggio 2023


La stagione ABAO 2022/23 si chiude con un’ultima recita de Il Trovatore che ha registrato il tutto esaurito ed ha ottenuto un successo trionfale.

Motivo di maggior interesse, in un cast di altissimo livello, il debutto nella parte del protagonista Manrico del tenore di Tenerife Celso Albelo. Chi firma segue la sua carriera dagli albori, ed il ricordo corre ad un Rinuccio al Teatro Piccinni di Bari e poi al Nadir ascoltato a Trieste poco dopo… e son passati più di venti anni. Allievo di Carlo Bergonzi ed emulo del Canario per eccellenza in campo tenorile, Alfredo Kraus di cui ha ereditato la estensione e la tecnica canora, dotato di un timbro pregevole e di un colore inconfondibile, Albelo modestamente ammette di non aver mai fatto “il passo più lungo della gamba”, ma ha maturato negli anni un’evoluzione vocale che ora gli apre le porte al repertorio verdiano, in particolare del Verdi dei cosiddetti “anni di galera”, che va oltre i personaggi finora affrontati con successo: il Duca di Mantova ed Alfredo Germont. La voce del 46enne tenore è naturalmente evoluta ed egli può affrontare una parte ritenuta erroneamente appannaggio di voci “spinte”, trattandosi in realtà di un ruolo squisitamente lirico e pensato per lo stesso interprete del Duca in Rigoletto, mantenendo inalterata la proiezione in acuto, e non ci si riferisce solo al fatidico “Do di petto” non scritto lanciato e sostenuto con fulminea sicurezza sull’Allarmi che conclude la “pira” ripetuta e variata nelle due strofe, ma pure al Re sovracuto emesso a siglare il terzetto del primo atto. Ma ciò che pare notevolissima, già ai nastri di partenza di un debutto che presenta come è logico un buon margine di superazione in prossime ed ulteriori prove, è la presa del personaggio romantico, reso con adolescenziale e filiale trasporto nei confronti di Azucena, con romantico ed appassionato innamoramento verso Leonora (mirabile la cesellatura dell’Ah si ben mio che gli è valsa un’autentica ovazione), veemente e gagliardo verso il fratello rivale, Nuno Conte di Luna. Colori di una tavolozza ricchissima ed usata generosamente, con dinamica varia e fantasiosa, con un fraseggio ed un accento sempre motivati ed esemplari. Insomma, si è andati al di là delle più rosee ed affettuose previsioni, dettate certo da stima ed anche, perché negarlo, grande affetto.

Merito di una direzione d’orchestra, la sempre ammirevole Bilbao Orkestra Sinfonikoa, calibrata al massimo, intensa ed al servizio, ma non servizievole, delle voci sostenute idealmente, Francesco Ivan Ciampa si conferma Maestro di punta nel panorama internazionale e, particolarmente, nel repertorio italiano. Tenendo conto delle oggettive difficoltà che si incontrano in queste realtà periferiche (tradotte in sintesi in poche prove) la sua lettura ha sorpreso per l’approfondimento dei caratteri, le atmosfere create con una tensione orchestrale che non ha mai ceduto alla routine o, peggio, al pressapochismo. Sia nella gagliardia dei cori, gitani e militareschi, che nella esposizione dei racconti, di Ferrando ed Azucena, per esempio, che possono confluire nella banalità di un ballabile bolero, ma che qui hanno acquistato l’aura del mistero e della disperazione insita nella musica di Verdi.

Bene il coro, che va ricordato non è formato da professionisti, istruito da Boris Dujin, col sostegno dei Maestri di palcoscenico Itziar Barredo ed Iñaki Velasco, e minimale la messa in scena (più che altro una “mise en place”) di Lorenzo Mariani. Uno spettacolo concepito in pieno confinamento per il Teatro La Fenice di Venezia, con i “distanziamenti” obbligatori che in parte hanno condizionato una certa staticità in palcoscenico, dove unico attrezzo sono dei piccoli scanni quadrati, dei tavoli ed una mezza dozzina di grandi candelabri, il più delle volte in mano degli interpreti. I costumi, firmati come la scena da Willy Orlandi, sono ridotti all’osso, praticamente senza cambi, e con il solo riconoscimento del rosso per gli zingari e per i seguaci del Conte d’Urgell. Minimalismo funzionale che, comunque, non ha alterato la drammaturgia ed ha consentito una lettura chiara grazie anche alle semplici proiezioni di fiamme, roghi e di un ciel turbato più spesso notturno: luci di Fabio Berettin e proiezioni di Mattia Diomedi.

Ottimo, come si anticipava, il cast: iniziando dal Ferrando intonato dal basso Riccardo Fassi, cantato assai bene ed assai ben interpretato, passando al robusto e sonoro Conte di Luna del baritono di Huelva Juan José Rodriguez, dalla voce ricca di armonici e dalla notevole linea di canto ove esibisce acuti fermi e sicuri ed un ammirevole legato. Il mezzosoprano russo Ekaterina Semenchuk nella parte di Azucena dimostra la sua grande statura interpretativa, caratterizzandone sia un insolito e dolce lato materno, nella esposizione per esempio del recitativo “Madre, tenera madre non mi avesti ognora?” che il lato allucinato della donna disperata su cui incombe la maledizione materna. Dal punto strettamente vocale un’esecuzione controllata, scevra di affondi inutili quanto volgari, morbida e lanciata senza difficoltà nelle puntature acute al Do. Anna Pirozzi, Leonora, fornisce l’esempio di un professionismo ferreo e di una duttilità ancora ammirevole in chi, come lei, ormai affronta un repertorio spinto e penso alle Abigaille, a Lady Macbeth e a Turandot. Tenendo conto che l’opera si offre nella sua integralità, con la ripetizione di tutte le strette e cabalette, la prova fornita nel quarto atto, a partire da un D’amor sull’ali rosee accolto da un applauso gratificante, seguendo con il toccante Miserere, cabaletta e duetto col baritono, si è conclusa con un toccante addio in Prima che d’altri vivere”, uno dei momenti di maggior volo emozionale di tutta l’opera.

Di buon livello i ruoli comprimari: l’accorata Ines del mezzosoprano Belén Elvira, il Ruiz tenorile di Gerardo López, che ha avuto modo di eseguire una bella cadenza nel breve recitativo della Torre, il potente Vecchio Zingaro del baritono David Aguayo ed infine il solerte e puntuale “Usato messo” del tenore Martín Barcelona. Tutti coinvolti alla ribalta finale, in una interminabile serie di applausi e grida di “bravo”, coronata infine dall’esecuzione dell’Inno Basco intonato dal coro e suonato in orchestra, come consuetudine all’ultima recita della stagione.

Andrea Merli

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